Questo Shakespeare un po' bislacco, un po' geniale di Ruggero Bianchi

Questo Shakespeare un po' bislacco, un po' geniale Questo Shakespeare un po' bislacco, un po' geniale RECENSIONE Ruggero Bianchi E bizzarre inter�pretazioni dei LSonetti di Shakespeare proposte da Loren�za Franco per le Edi�zioni La Vita Felice di Milano (187 page., 24.000 lire) con le rapide note introduttive di Franco Monleforte e Micha�el Leone meritano, al di là di ogni giudizio di valore, una certa attenzione: anche perché l'autrice non è nuova a simili esperimenti, avendoli già tenta�ti con le poesie di Kavafis, da lei pubblicate nella medesima collana dei Labirinti. Esse co�stituiscono d'altronde una con�ferma del costante interesse che i componimenti brevi shakespeariani destano nei let RECENRugBia IONE ero chi lori contemporanei e non soltanto negli specialisti. Si pensi, per citare un unico esempio, a! lavoro meno bizzarro ma non meno provoca�torio svolto da Gio�vanni Ce -chin, ap�passionalo stuuuiao Ji Hemin�gway, che dei Soneffi presenta per le Edizioni Canova di Trevi�so una traduzione e un lunghis�simo studio, sotlolitolato Shakespeare, Emilia Bussano e altri: un quadro di vita elisa�bettiana 1287 pagg., s.i.p.i. Rispetto alla versione di Cec�chin e ad altre più canoniche e accreditale, quella della Fran�co offre tuttavia alcuni spunti particolari, in quanto aggiunge in appendice una Quarantina di imitazioni o di calchi, da lei definiti «apocrifi» e, soprattut�to, sacrifica senza ritegno, a volle in forma quasi imbaraz�zante, la fedeltà al testo e il significato originale non tanto al ritmo quanto alla metrica e alla rima, riproducendo uuntigliosamente lo schema del co�siddetto sonetto «elisabettia�no» o «shakespeariano», gioca�to, a differenza di quello petrar�chesco, su tre quartine e un distico finale di taglio epigram�matico. Simile scelta potrebbe ridur�si a un puro esercizio retorico controtendenza, di gusto cosi vecchiotto da far pensare al Monti o al Pindemonte, se non si offrisse come utile pretesto por interrogarci su quesiti a tutt'oggi irrisolti. Che cosa, in ultima analisi, è sacrificabile quando si traduce poesia? E' proprio vero che il significato sia prioritario rispetto alla struttura ritmica del testo ori�ginale? E, più in generale, se metrica e rima hanno fatto il loro tempo, come si spiega la loro persistenza? Che dire ad esempio del fatto che nella tradizione contemporanea non solo popolare la componente ritmica e sonora, si affidi essa a formule quantitative o quali�tative, regia sovente fondamen�tale ed è semmai il «verso libero» a suscitare fastidio e noia, ad apparire scontalo e desueto, a identificarsi per mol�li lettori con una semplice prosa spezzettata, giocata su un uso arbitrario deli'a capo? Non voglio dire con questo che l'operazione della Franco si muova verso nuove frontiere o pervenga ad esili necessaria�mente alti. Parecchi suoi ende�casillabi sono forzati o un po' zoppi e abbondano di vocaboli tronchi di forte sapore ottocen�tesco. Ma le domande che le sue scelte a volte un po' bislac�che buttano sul tappeto un po' di senso ce l'hanno; anche se le sue soluzioni poetiche cancella�no spietatamente gran parte della trama e dell'ordito degli arazzi tessuti da Shakespeare. r^tr William Shakespeare Sonetti la Vita Felice, pp. 153, L. 24 000 CLASSICI

Luoghi citati: Emilia, Milano, Trevi