TORINO 1922-1945 gli eroi e gli opportunisti di Angelo D'orsi

TORINO 1922-1945 gli eroi e gli opportunisti Intellettuali e fascismo, risponde Angelo d'Orsi: «Non arretro un millimetro dalle mie interpretazioni» TORINO 1922-1945 gli eroi e gli opportunisti Alberto Papuzzi TORINO PIÙ' amarezze che soddi�sfazioni». È il bilancio del professor Angelo d'Orsi, storico conlemI poraneista dell'Universi�tà di Torino, dopo il dibattito sul suo saggio La cultura a Torino tra le due guerre, pubbli�cato da Einaudi. Siamo nella sua casa nel cuore di Borgo San Salvarlo, per sentire cosa ri�sponde a quanti lo hanno criti�cato, fra i quali c'è un suo maestro: Norberto Bobbio. Il suo sapgio ha raccolto molti elogi, anche da chi lo critica, ma ha provocato, se permette l'espressione, un can can, perché mette in discussione l'immagine del�l'antifascismo torinese. Lei voleva infrangere un cano�ne con la sua ricerca? «No. Il can can non era nella mente dell'autore né in quella dell'editore; forse era "in mente dei", ma nessuno lo sospettava. Quanto al senso del mio lavoro ventennale io non mi propone�vo di "infrangere un canone" per la semplice ragione che ritenevo che quel canone la pretesa antilesi tra fascismo e cultura fosso infranto e non da ieri, da una non piccola schiera di studiosi tra i quali Nicola Tranfaglia, Gabriele Turi, Luisa Mangoni, Mario Isnenghi, Giu�seppe Carlo Marino o Paolo Simoncelli. Con saggi scientifi�ci, relazioni e conferenze ho portalo avanti una linea che, nata da un dubbio, mi si è andata via via precisando e irrobustendo sulla base di una enorme massa di documenti. Vorrei ricordare che il mio inter�locutore principale lungo que�sto ventennio è stato Norberto Bobbio, che ha seguilo con inte�resse crescente il mio lavoro incoraggiandolo e apprezzando�lo. La sua critica mi sorprende, prima di addolorarmi». Come Bobbio ha scritto sul�la Stampa, gran parte del libro parla della produzio�ne culturale di intellettua�li antifascisti, cui si con�trappongono figure di fasci�sti che non hanno lasciato tracce durature. Per cui le si obietta, anche da parte di Bruno Bongiovanni e Massimo Salvadori, che a Torino la cultura fu antifa�scista e che il fascismo non ne produsse. «Beh, si tratterebbe di un auten�tico azzeramento della ricerca slorica degli ultimi decenni. Se posso capire che Bobbio ripro�ponga questa tesi, assai più difficile mi riesce capire la posi�zione dei colleglli e amici Salvadori e Bongiovanni. Come oggi uno storico possa riproporrela doppia equazione bobbiana (fascismo^incultura, cultura^an�tifascismo) costituisce davvero per me il quarto mistero di Fatima. Come si possono dimen�ticare imprese e istituzioni che vanno dall'Enciclopedia Italia�na all'ISPl e la miriade di altre, spesso ancora in vita, che procu�rarono agli uomini di cultura provvigioni, commesse, occasio�ni di lavoro. La cultura del fascismo, con buona pace di Bobbio, non fu solo la barzelletti�stica devecchiana. Sarebbe co�me dire che la cultura di oggi è rappresentata, che so. da Alvaro Vitali sul piano cinematografi�co, o dall'onorevole Borghezio su quello della politica. Se non si è accecali dal pregiudizio, come sostenere che un Bontempelli, un Cantimori, un Cecchi, un Alvaro, un Pagano non rappre�sentassero autentica cultura?». Però si parlava della cultu�ra torinese... «È comunque doppiamente scorretta la doppia operazione che fa Bobbio di annettere al�l'antifascismo ogni buona o ec�cellente iniziativa culturale nel�la Torino degli anni Venti e Trenta e di rifilare al fascismo solo la paccottiglia o quella che egli, a ragiono o a torto, vuole considerare tale. Che cosa ha da spartire con l'antifascismo quel�l'eccezionale organizzatore di cultura che fu Guatino?» Scusi, non fini anch'egli al confino, nonostante fosse imprenditore e finanziere? «Intanto non fu invialo al confi�no per antifascismo. Inollre fe�ce un confino mollo di lusso». In ogni caso il Foglio di Ferrara, presentando il suo libro, cui ha dedicato numerosi interventi, ha ti�tolato: finalmente crolla il tabù dett'azionismo torine�se e si rovescia una tradi�zione ideologica e politica. Si tratta di una forzatura? «Come ho già avuto modo di dire, la Storia ò un grande, anonimo ipermercato, in cui chiunque può trovare mito quello che cerca. 11 gioco dell'im�piego a fini politici dei materiali presenti nei magazzini generali della Storia non e nuovo. Non da oggi Giuliano Ferrara è cassa di risonanza di una campagna di gruppo contro l'azionismo, specie torinese, che persegue il fiiT» di ridicolizzare la fondazio�ne elica della politica. D'altra parte sull'aziomsmo alcuni han�no tentalo di costruire fortune morali, politiche e storiografi�che, facendone un passepar tout, una costruzione ideologi�ca capace di giustificare anche i tragitti politici più contradditto�ri. Ad ogni modo gli usi e abusi .politici del suo lavoro non deb�bono impedire allo storico di faro il proprio mesliere. Non arretro un millimetro dalle mie interpretazioni, e chi vuole ser�virsene a fini di propaganda si assuma le sue responsabilità». Sia Fabio Levi sia Bobbio le rimproverano di avere di�menticato che si viveva in uno Stato di polizia e non di diritto e che c'erano dei persecutori. «Questa è una delle accuse più incomprensibili. Figurarsi se in un libro sul ventennio ho dimen�ticato che si sta parlando di un periodo in cui la libertà era conculcata, compressa, limita�la. Ma occorre precisare che gli inlelleiiuali hanno goduto di privilegi che per altri ceti socia�li erano impensabili e hanno goduto di un pur relativo statu�to di libertà, almeno sino alla metà degli Anni Trenta. Nel senso che hanno potuto conti�nuare a fare il loro mestiere, anzi ne sono slati incentivati e dunque sono diventati la prima vera cinghia di costruzione e trasmissione del "consenso". In Bobbio affiora una comprensibi�le autoassoluzione di categoria; ma mi sorprende che storici della mia generazione possano acconciarsi su siffalle posizio�ni. Agli studiosi del mondo ebraico vorrei chiedere quante proteste abbia suscitalo negli ambienti colli l'espulsione dei docenti ebrei dalle università italiane. Si sa di una sola rinun�cia a una cattedra "lasciala libera' da un ebreo; fu Bontem�pelli, all'epoca ancora pienamenie fascista. Come si compor�tarono gli altri? Saltarono sui posti rimasti insperatamente vacanti: questa ó Ir. verità». Ma perché lei ha definito «superficiale» l'antifasci�smo di Carlo Levi? Perché ha scritto che i pochi testi�moni coraggiosi lo furono soprattutto per necessità o per caso? Sonri le ha replica�to sulla Repubblica che non esistono eroi per caso e Giovanni De Lima le ha ricordato la pietas che do�vrebbe ispirare lo storico. «Chi si sorprende vada a rileg�gersi le lettere di Levi dal carce�re. È un personaggio di grande interesse a cui ho dedicato di�versi saggi. Credo dunque di parlare a ragion veduta. Mi permetto di dissentire da De Luna: nel mio libro la pietas è tutt'altro che assente, ma deve venire dopo l'analisi dei docu�menti, non prima. È un valore aggiunto, non può sostituire l'indagine, i processi di beatifi�cazione lasciamoli al Papa. Mi pare di aver cercato di compren�dere le ragioni degli uni e degli altri, facendo una storiografia "comprensiva". E ho cercalo di mostrare che quelle esigue mi�noranze di "eroi" divennero tali a partire da gesti della cui portala spesso non si rendeva�no conio, in percorsi umani e politici travagliati. Come osser�vò Gian Carlo Pajelta, la loro scuola di antifascismo fu il carcere». Tuttavia secondo Valerio Castronovo, dai rapporti dei federali fascisti si evin�ce che gli intellettuali tori�nesi erano una spina nel fianco del regime. «Torino spina nel fianco lo fu in primo luogo per una certa sorda riottosità dei celi operai: "gli operai di Torino non mi amano" e una frase di Mussolini». Ma perché lei ritiene che episodi di debolezza nei confronti del regime, come scrivere lettere condiscen�denti, inficino il valore di successive scelte? Perché ha parlato di atteggiamen�to servile? «Quasi nessuno ripeto nessu�no degli intellettuali italiani è passato indenne nella macchi�na organizzativa e ideologica del regime. Sono stati in parte ingannali (ma avevano stru�menti culturali per capire). Solo in parte ci hanno creduto davve�ro, ma lutti hanno usufruito delle opportunità, dei vantaggi e dei privilegi che il regime concedeva. Francesco Flora nel�l'agosto 1943 parlò di 'servitù volontaria" in riferimento agli uomini di cultura. Credo che quel giudizio, oggi corroboralo da un'analisi dei ruoli che il regime costruiva porgli intellet�tuali, possa essere sostanzial�mente riproposto. Le scelte suc�cessive vennero. Talora furono ; eroiche, ma spesso opportunisti�che come le precedenti». Questo non è un giudizio morale invece elio storico? «Il giudizio storico può avere una valenza morale. Ma, insom�ma, è possibile che tutti i "gobelliani" che hanno mostra�to di adontarsi per il mio lavoro abbiano dimenticalo l'aforisma "Salvare la dignità prima che la genialità"». D altra parte se nel mio libro ci sono degli "eroi" sono proprio Gobetti e Ginzbu rg». Secondo Giuseppi! Berta la dicotomia fascismo-antifa�scismo non basta per capi�re una società complessa come quella da lei studia�ta. È d'accordo? «Assolutamente sì. In realtà la storia della cultura mostra un'intima solidarietà di celo fra gli addetti ai lavori: gli intellet�tuali si riconoscono fra loro in quanto tali, appartenenti al co�mune mesliere. K in nome del mestiere, ossia della carriera, della cattedra, del mercato, essi agiscono. Sono pochissimi colo�ro che sacrificano la carriera alla coerenza ideale. Un nome per tutti e Leone Ginzburg, forse la figura più nobile dell'in�tellighenzia torinese, il quale peraiiro, seguendo il modello di Gobetti, è allerto al dialogo con i "fratelli dell'altra sponda", pri�ma delle scelle di fondo, che lo condurranno alla morte in ma�no alla Gestapo a Regina Coeli. Nel loro caso, l'intransigenza politica non esclude l'apertura professionale». Bobbio riconosce che la sua è un'opera di scrupolosa documentazione, ma con limiti interpretativi, per cui il risultato è di portare acqua alla tesi che uil fasci�smo non era poi cosi male», citando il Foglio. Come rea�gisce? «Sono amareggiato, ma soprat�tutto eslerrei'ailo. Mi si con�danna sulla base della strumen�talizzazione degli "avversari". Come dire che sarei "oggettivamente" responsabile di ciò che altri dicono. Non posso che commentare: a cia�scuno il suo. Io mi assumo ia responsabilità del mio lavoro, Bobbio si assuma quella delle sue valutazioni e Ferrara delle sue incursioni. Un qualche dio ci perdonerà Forse». NORBERTO BOBBIO «Edoppiamente scorretta la doppia operazione che fa Bobbio afferma D'Orsi di annettere all'antifascismo ogni buona o eccellente iniziativa culturale nella Tonno degli Anni Venti e Trenta e di rifilare aj fascismo solo la paccottiglia...La cultura del fascismo non fu solo la barzellettistica devecchiana. Sarebbe come dire che la cultura di oggi è rappresentata da Alvaro Vitali sul piano cinematografico o dall'onorevole Borghezio su quello della politica Se non si è accecati dal pregiudizio, come sostenere che un Bontempelli. un Cantimori. un Cecchi. un Alvaro non rappresentassero autentica cultura?LEONE GINZBURG -La stona della cultura dice D'Orsi mostra un'intima solidarietà di ceto fra gli addetti ai lavori gli intellettuali si riconoscono fra loro In quanto tali, appartenenti al comune mestiere E in nome del mestiere, ossia della carnera. della cattedra, del mercato, essi agiscono Sono pochissimi coloro che sacrificano la carnera alla coerenza ideale Un nome per tutti e Leone Gmzburg. forse la figura più nobile dell'intellighenzia torinese, il quale peraltro, seguendo il modello Gobetti, é aperto ai dialogo prima delle scelte di fondo che lo condurranno alla morte In mano alla Gestapo». GIULIANO FERRARA «Il gioco dell'impiego a fini politici dei materiali presenti nei magazzini generali della Stona dice D'Orsi non e nuovo. Non da oggi Giuliano Ferrara e cassa di risonanza di una campagna di gruppo contro l'azionismo. specie torinese, che persegue il fine di ridicolizzare la fondazione etica della politica.. Gli usi e gli abusi politici del suo lavoro non debbono impedire allo storico di fare il proprio mestiere. Non arretro di un millimetro dalle mie interpretazioni, e chi vuole servirsene a fini di propaganda si assume le sue responsabilità-. ADRIANO SOPRI • Ho cercato di comprendere le ragioni degli uni e degli altri facendo una storiografia "comprensiva" replica D'Orsi a Sofn che ieri su Repubblica ha contestato il suo giudizio sulla "casualità" dell'eroismo azionista -. Ho cercato di mostrare che quelle esigue minoranze di "eroi" divennero tali a partire da gesti della cui portata spesso non si rendevano conto. In percorsi umani e politici travagliati Come osservò Gian Carlo Paletta, la loro scuola di antifascismo fu il carcere». Jw N* Angelo d'Orsi nella sua casa di Torino. Il suo saggio (La cu/turo a Tonno tro le due guerre. Einaudi) ha provocato un contrastato dibattito. In quest'intervista lo storico risponde ai suoi cnw-i