Non rompete con Berlinguer

Non rompete con Berlinguer Lo «strappo» sulla Nato era concordato col Cremlino? Intervista con l'uomo di Mosca più vicino al Pei Non rompete con Berlinguer Zagladin ricorda: cos�Breznev corresse la Pravda Giul!«tto Chiesa inviato a MOSCA VADIM Valentinovic non sa nul�la della nuova tempesta solle�vata in casa ex comunista dal�la rivelazioni di due storici di casa all'Istituto Gramsci, secondo cui En�rico Berlinguer avrebbe addirittura concordato con Mosca, preventiva�mente, la sua «scandalosa» preferen�za del 1976 per r»ombrello della Nato» rispetto a quello, del tutto ipotetico, del Patto di Varsavia. Biso�gna che gli riassuma, per filo e per segno, il senso delle polemiche italia�ne prima che Zagladin si avventuri in una serie di risposte piuttosto guar�dinghe. Intanto chiede di sapere cosa han�no detto ai giornali Gianni Cervetti, Macaluso, Natta. Ascolta in silenzio le loro dichiarazioni, tutte di smenti�ta più o meno dura, ma inequivocabi�li. Acqua sotto i ponti ne è passata tanta, ma la memoria non può tradir�lo di certo. In quegli anni Vadim Zagladin era nel posto più delicato e sensibile per registrare tutti i minimi sommovimenti nel grande campo operaio e socialista mondiale. Il capo dell'ufficio esteri non era lui, bens�Ponomariov, ma il vecchio membro supplente del Politburò non aveva la forza di tenere d'occhio quel panora�ma inquieto e toccava a lui la gran parte dei dossier scottanti. E non c'è dubbio che quello del Pei di Berlin�guer fosse il più ostico di tutti. Insomma Vadim Valentino�vic, lei cosa ne sapeva se ne sapeva qualcosa della mos�sa che Berlinguer si appre�stava a fare dalle colonne del Corriere della Sera? «Per la verità io non ne ebbi alcun sentore. La leggemmo, quella dichia�razione, sui dispacci che arrivarono dall'ambasciata sovietica di Roma». Che effetto le fece? Voglio dire era nell'aria, fu una sorpresa, una coltellata alla schiena o ordinaria amministrazione? «Non direi che fosse nell'aria. Alcuni mesi dopo si sarebbe tenuta la confe�renza di Berlino dei partiti comuni�sti e operai. C'-eranort» corstfdiscussioni anche molto tese nella fase preparatoria dei documenti, ma l'at�mosfera prevalente, anche nelle dele�gazioni dei comunisti italiani, con cui periodicamente eravamo in contatto, era quella di non andare verso rotture clamorose». Capisco, e anche ricordo. Tutta�via lei non mi ha ancora detto come la prendeste, innanzitut�to voi che stavate nella trincea più esposta alla Sezione Esteri. «Ponomariov ne fu indignato. Lesse e rilesse con evidente fastidio. L'idea che lui aveva in tosta era che il Pd avesse preso le posizioni che aveva preso, fin dal 1968, dalle vicende della Primavera di Praga, per "puro opportunismo". Comunque, dopo consultazioni in più alto loco, si decise che non era opportuno solle�vare scandalo e che non si sarebbe dovuto aprire ima polemica pubbli�ca». Più alto loco significa il Poli t b ti�rò? «Certo. La cosa venne discussa con Breznev. Leonid Ilic reag�con molta calma. Fu lui a tirare le somme e a decidere che non si sarebbe dovuto, per il momento, rispondere in alcun modo formale. Dunque tiro le som�me: lei afferma che la sezione esteri del Comitato Centrale era all'oscuro di tutto, lesse sui giornali e che Ponomariov ne fu indignato». Mi dica con franchezza: poteva�no esserci altri canali di contat�to attraverso i quali Berlinguer concordò quella dichiarazione con Mosca? «Non posso escludere che ci fossero. Tra Pcus e Pei c'erano rapporti molto vasti diversificati. Non ci si parlava soltanto attraverso i numeri uno e due e tre. Dunque le percezioni potevano essere diverse». Insomma lei non esclude che ci fossero stati segnali prelimina�ri, da una parte e dall'altra? «Ripeto che non escludo nulla. Posso soltanto affermare che quei segnali non passarono dove mi trovavo io, né dove si trovava Ponomariov». Lei personalmente come visse quella vicenda? «Per me era più semplice. Io conosce�vo il dibattito interno al Pei, in un certo senso e grado capivo le loro ragioni. Dunque non potevo essere stupito più di tanto. Ricordo che, qualche mese dopo, quando andai a Roma appunto per la preparazione di Berlino, affrontammo la faccenda con Berlinguer, a viso aperto e in dettaglio. E mi ricordo, che la sua spiegazione di quella dichiarazione, che in Occidente suonò come sensa�zionale e, in un certo senso lo era, fu molto piana, pragmatica e nello stes�so tempo priva di asprezze polemi�che». Cosa le disse? «Mi disse che la sua era slata una presa di posizione del lutto realisti�ca. Il Pei stava in Occidente, insistet�te, e noi dovevamo tenerne conto ad ogni passo. Inoltre la Nato, in tutti gU anni della sua esistenza fino a quel momento, non si era macchiata di un solo atto aggressivo, sebbene la sua funzione anltsovielica fosse evi�dente. Mentre aggiunse il Patto di Varsavia aveva realizzato l'interven�to armato in Cecoslovacchia». Certo erano per voi, dato il contesto, affermazioni molto dure. «Lo erano. Ma da questo alla rottura il passo era per noi ancora lungo. Fu sempre Breznev a tenere tutti a freno a Mosca. Anche in seguito, quando le polemiche divennero sem�pre più dure, con l'intervento in Afghanistan e con la Polonia, fu lui ad ammonire i fautori della scomuni�ca che non potevamo assolutamente permetterci di perdere il contatto con il maggior partito comunista dell'Occidente. Ricordo un episodio preciso. Dopo l'intervento in Afgha�nistan io fui incaricato di scrivere la risposta ufficiale, con un articolo sulla Pravda, alle critiche del Pei. Scrissi il risultalo di una discussione comune durata qualche giorno. Ma quello che apparve sulla Pravda non fu la prima versione. Un piamo nel mio ufficio squillò il telefono. Era Breznev in persona: "Ma che volete fare, volete rompere con gli italiani? Quel testo va smorzalo". Lo smor�zammo». Anche cosi, ricordo, rimase quasi una scomunica. Molti os�servatori cos�lo interpretaro�no. «Anche questo è vero, cos�si può immaginare quale fosse la versione inizialo. Ma nel 1976 eravamo anco�ra mollo lontani da una scomunica. E i comunisti italiani erano ancora mollo lontani dall'idea di uno strap�po vero e proprio con Mosca. Si andò avanti per gradi, lentamente, crisi dopo crisi, a colpi di spillo qualche volta, a colpi di maglio in altre occasioni. Per molto tempo noi non ci accoigenimo che la distanza stava crescenao e non sarebbe mai più diminuita. Ma furono molte le cose di cui non ci accorgemmo in quegli anni». Mosca 27 febbraio 1976 Berlinguer al congresso del Pcus. Alle sue spalle Breznev e Kossighin. A sinistra. Vadim Zagladin