GIOVANNINI Da vecchio sarò serio di Giorgio Calcagno

GIOVANNINI Da vecchio sarò serio Gli 80 anni dei giornalista: il Congo, la condanna a morte delTOas e la profezia di Internet GIOVANNINI Da vecchio sarò serio Giorgio Calcagno TORINO GIOVANNI Giovannini compie 80 anni: in piena attività, fra un aereo e l'altro, come ha fatto tutI ta la vita. Niente regali, il regalo lo fa lui. A Bibbiena, il paese del Casentino, da dove è partito quando aveva 6 anni, giramondo prima per necessità, poi per scel�ta; e dove ritorna sempre più spesso, da quando ha superato i settanta. Alla biblioteca del natio loco, con l'ottantesimo complean�no, regala diecimila libri: perché il suo nome rimanga li, in un fondo Giovannini, destinato ai lettori anche di domani. Il giornalista che prima di ogni altro si è occupato in Italia di comunicazione elettroni�ca il campo dove più si impegna da vent'anni crede sempre, forte�mente, alla carta stampata. Al giornale. Al libro. Giovannini è, dal 1945, la storia della Stampa. È' l'unico che l'ab�bia percorsa tutta, da piccolo cro�nista a inviato intemazionale, pri�ma di esseme via via il vicediretto�re, l'amministratore delegato, il presidente. Ha avuto anche altre presidenze, Giovannini, a più lar�go raggio; della Federazione edito�ri italiani, poi degli editori mondia�li, moli che nessun giornalista aveva mai raggiunto. «Ma nella mia carriera io sono monogamo. Mi sono sempre considerato Gio�vannini della Stampa» dice. Perché ha deciso di fare il gior�nalista? «Io non l'ho mai deciso. Io mi ero laureato in giurisprudenza all'Università di Torino, nel 1942, con dignità di stampa, e Alessan�dro Pass eri n d'Entra ves voleva che diventassi il suo assistente. Pensavo fosse quella la mia carrie�ra. Invece, il giorno dopo ero già in uniforme; spedito in Costa Azzur�ra, con il primo corpo d'armata». E, dopo Ì'B settembre, dovette salire anche lui sul vagone piomba�to che portava i nostri militari nei lager nazisti. «Quando arrivai a Torino, dopo la fine della guerra, ero lacero, affamato, in casa mia non c'era una lira. E nemmeno in Università. I miei maestri di dirit�to non potevano darmi nulla». Quasi per caso, si trovò nella redazione di un giornale. Un incon�tro fortuito con un antico compa�gno di studi, che lavorava alTQptnione, uno dei cinque quotidiani nati dal Cln, liberale, e lo presentò al direttore. Franco Antonicelli. La sua strada era segnata. «Io continuavo a pensare all'Universi�tà. Un anno dopo ho ancora dato i primi esami da procuratore. Ma il destino volle che i compiti fossero annullati. Fortunato destino, per lui. Per�ché nel frattempo il cronista del�l'Opinione era già stato assunto alla Stampa. Anzi, alla Nuova Stampa, come recitava il titolo del giomale uscito nel luglio 1945, tre mesi dopo la Liberazione, diretto da Filippo Burzio. Giovannini co�minciò a lavorarci dal primo nu�mero; e rischiò di finire la carriera subito. «Mi avevano affidato la cronaca sindacale. E un gruppo di sindacalisti, per fregarmi, inventa�rono uno sciopero di tessili nel Biellese, ohe io diedi con grande rilievo». Lo sciopero non c'era. In compenso c'era un imprenditore biellese alla Stampa, Alfredo Frassati, tornato per un breve periodo comproprietario della sua antica testata. «Mi mandò a chiamare, era paonazzo; "Lei deve confessare subito; chi l'ha pagata per rovina�re me e il mio giornale? . Prendeva le stecche dei quotidiani, che ave�va sul suo tavolo, le faceva volare per aria dalla rabbia. Aveva un aspetto terribile». Si intromise qualche vecchio collega, Giovanni�ni fu licenziato e riassunto in poche ore. Non fu il solo uomo terribile che incontrò alla Stampa. Perché, un anno dopo, arrivò Giulio De Benedetti, condirettore con Bur�zio e, dopo la sua morte, direttore per vent'anni, dal 1948 al '68. Si raccontano cose tremende sui rap�porti fra De Benedetti e i suoi collaboratori. Era davvero cosi duro? «Con noi era durissimo. Sapeva comandare con il bastone e la carota usati in maniera selvag�gia. Aveva un senso di fierezza per il mestiere che faceva e non pote�va ammettere che ci fossero perso�ne superiori a quel mestiere, nem�meno il Presidente della Repubbli�ca. Ma come sapeva lavorare! Ricordo quando mi mandò in Giap�pone dovevo fare un'inchiesta ap�profondita sulle trasformazioni del Paese, raccogliendo dati e inter�pellando personaggi. Un servizio che richiedeva parecchi giomi di lavoro. Chiese a che ora sarebbe arrivato a Tokyo il mio aereo: di notte, ora italiana. 'Allora per domani non può dare servizio. Lo trasmetta pure dopodomani"». Qual è il servizio più faticoso che ricorda? Giovannini deve fare uno sforzo di memoria. «Tanti. Era sempre difficile. Forse in Con�go, nel I960. Eravamo all'ufficio 30stale di Eiisabethvìlle, durante a rivolta del Katanga, e dovevo far funzionare la telescrivente che non conoscevo, mentre davanti ai nostri occhi sparavano da tutte le parti. Pestai sui tasti, indirizzando al nostro ufficio di Parigi, l'unico che poteva ricevere. Il corrispon�dente, Loris Mannucci, vide arri�vare quel testo, di cui non sapeva nulla, e lo trasmise a Torino. Usci. Mentre trasmettevo, io pensavo soltanto che poteva essere il mìo ultimo scritto». Non fu, malgrado tutto, il servi�zio più rischioso. Gli andò peggio ad Algeri, nel 1962, quando un commando dell'Oas, l'Organisation Armée Secrète degli estremi�sti francesi, si presentò in albergo e, pistola alla schiena, lo costrinse a salire su una camionetta. «Mi portarono in un luogo segreto, per annunciarmi che ero stato condan�nato a morte. E un giovanotto armato mi disse che era li per eseguirla. Per fortuna il presiden�te di quel tribunale cominciò a parlarmi, per spiegare le ragioni della sentenza, dovuta ai miei servizi sul giomale. E io gli risposi che sarebbe stata una pessima propaganda per l'Oas l'uccisione di un giornalista italiano. Consen�ti a differire la condanna se io avessi pubblicato un articolo per sostenere che l'Oas era la migliore amica degli arabi». Lo rilasciarono per poche ore, Giovannini lasciò subito l'Algeria. Nella sua collezione di fotogra�fie lo si vede accanto a sette Presidenti della Repubblica, da De Nicola a Scalfaro, davanti al Papa, con tutti i grandi della politica. Manca solo l'unico politico della sua terra, Amimore Fanfani. «Lo incontrai all'ambasciata italiana di Bonn, durante un ricevimento. Entrai in una stanza, lui slava parlando con due ministri. Mi guardò severamente e gelidamen�te: "Qui c'è un aretino di troppo", disse. Succede, tra toscani». Quali errori si rimprovera? «Er�rori? no. Ho fatto quello che in fondo volevo, se dovessi ricomin�ciare non batterei altre strade. Non rinnego niente. Ho un solo rimpianto: di avere trascurato troppo la famiglia. Ma la vita non sempre si padroneggia. Quando sarò più vecchio sarò più serio». Che cosa direbbe a un giovane che oggi vuole fare il giornalista? «Non direi, dico. Sono sempre il presidente di una scuola superiore di giornalismo. Gli dico di inlerrogare se stesso, per sajiere se è dotato o no. Se può piacergli un mestiere che chiede intelligenza vivace, un gusto non volgare per la curiosità, e buona cultura. E' il mestiere più bello che ci sia». Però oggi lei si dedica alla comu�nicazione elettronica. «Certo, pubblico Media Duemi�la, dirigo l'osservatorio "Tuttimedia". Oggi il giornalismo rimane lo stesso. Quello che cam�bia è l'azienda giornalistica, da trasformare in un'impresa di co�municazione a più facce. Sarebbe sbagliato non curare gli altri setto�ri che stanno esplodendo, nell'era del computer, di Internet, del tele�fonino. Dobbiamo cercar di capi�re, mentre è in corso la Grande Mutazione, spingendo lo sguardo oltre». Lo spazio del giomale ci sarà sempre, per il giomalista che ha cominciato a scrivere 55 anni fa. «Non siamo spariti con la radio, non siamo spariti con la televisio�ne. Bisogna tener conto dei nuovi mezzi: ma non spariremo con loro». Da *La Stampa» alla presidenza degli editori. Una volta Fanfanigli disse: «Quic'è un aretino di troppo» Voleva diventare avvocato ma fu deportato dai nazisti Dopo la guerra, entrò per caso in ungiomale. Fu l'inizio A destra u n' irr.magine giovanile d�Giovanni Giovannini al tavolo di lavoro a «La Scampa» A sinistra il giornalista nel 1948 con il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi accompagnato dalla moglie Giulio De Benedetti, mitico, temutissimo direttore de «La Stampa» dal 1948 al'68