Addio a John Gielgud un grande del secolo
Addio a John Gielgud un grande del secolo L'attore, 96 anni, «era» il teatro inglese Addio a John Gielgud un grande del secolo Masollno d'Amico PIÙ' ancora che un grande e acclamatissimo attore (e regista), John Gielgud (na�to nel 1903), Sir John dal 1953, «era» il teatro inglese, perché nelle sue vene scorreva antico e nobilissimo sangue di palco�scenico. Il suo massimo con�temporaneo e contraltare, Laurence Olivier, figlio di un eccle�siastico, era attore per vocazio�ne irresistibile, un esibizioni�sta nato; Gielgud era controlla�to, leggero, supremamente ele�gante. Per paragonarli, Ken�neth Tynan disse che dovendo attraversare un fiume dove peraltro c'è un ponte, Olivier balzerebbe da una sponda al�l'altra con un salto acrobatico, mentre Gielgud farebbe tende�re una fune e ci camminerebbe sopra con un parasole. Il non�no Adam Gielgud aveva sposa�to negli anni 1860 Aniela Aszperger, figlia di una nota attrice polacca e amica di Oscar Wilde; la coppia si impa�rentò poi con i Terry, celebre dinastia di attori tra cui Ellen, regina delle scene inglesi nella fine secolo, partner di Henry Irving e madre di Gordon Craig («è proprio un Terry, piange a comando», commentò Mrs Pa�trick Campbell, altra gloriosa attrice ma ormai vecchia e dimenticata, quando il giovane Gielgud andò a farle visita a New York). Gielgud stesso de�buttò con Harley GranvilleBarker, diffusore di Shaw e rivoluzionatore della regia shakespeariana. Non bello, ma alto e slancia�to, non sciolto nei movimenti, anzi, quasi frenato da una sorta di timidezza connatura�ta, ma leggero e elegante, il primo Gielgud si impose soprat�tutto con la voce, strumento di meravigliosa chiarezza e musi�calità. Acclamato fin dalla sua prima stagione all'Old Vie ( 1929), diventò subito il princi�pale interprete delle tragedie del Bardo, e il suo Amleto, ripreso più volte, anche con una regia propria dal 1933, fu considerato il più affascinante del secolo da molti tra cui il critico James Agate, che salu�tandone una ripresa nel 1947 dimostrò come questo perso�naggio dalle sfaccettature infi�nite abbia bisogno di un inter�prete nella sua piena maturità. Altro cavallo di battaglia di Gielgud dal 1930 fu, natural�mente, John Worthing neir« Importanza di chiamarsi Erne�sto»; e la malinconia velata di ironia della sua indole gli rese particolarmente congeniale Cecov, che frequentò spesso a partire dal 1936. Anche giunto all'apice del successo, Gielgud continuò a evolvere, pur senza snaturarsi. Verso la fine degli Anni Trenta al modello statico, canoro, si stava opponendo quello atletico, mobile, trasfor�mista, alla Olivier. Gielgud si adeguò avvicinandosi al reper�torio moderno, abbandonando spesso il costume per cimentar�si in lavori di Rattigan, Greene, Edith Bagnold, Alan Bennett, ecc., anche come regista, ovve�ro lavorando con nuovi talenti come Peter Brook, il quale lo descrisse come una fonte ine�sauribile di suggerimenti e di idee, che il regista aveva il compito di tagliare e indirizza�re aggiungendo che l'attore si inchinava ogni volta con subli�me docilità. Nel 1958 varò un recital shakespeariano, «Ages of Man», ascoltato anche a Spole�to, la cui registrazione rimarrà come un modello anche in questo secolo. I grandi vecchi del teatro guardarono con cu�riosità anche ai nuovi autori più o meno arrabbiati, e nel 1975, un anno dopo essere stato un sublime Prospero nel�la «Tempesta», Gielgud «creò» la parte di Spooner in «Terra di nessuno» di Harold Pinter. Ric�chissima e audace anche la sua carriera cinematografica. C'è lo splendido Bruto davanti al Cassio di James Mason nel «Giulio Cesare» di Mankiewicz (Antonio era Marion Brando, del quale Sir John disse in seguito che benché un po' grez�zo, avrebbe potuto fare anche il teatro), ci sono innumerevoli cammei come rappresentante dell'Establishment britannico (generale, maggiordomo, diret�tore di college...), ma ci furono anche memorabili incursioni nel mondo di trasgressori co�me Alain Resnais, Tinto Brass, Peter Greenaway. John Gielgud («sir» dal 1953) in un momento del «Riccardo III» di Shakespeare
Luoghi citati: New York
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