Ma il fascismo non poteva produrre cultura di Angelo D'orsiPiero Gobetti

Ma il fascismo non poteva produrre cultura Torino, gli intellettuali azionisti e il regime: dibattito sul saggio di Angelo d'Orsi Ma il fascismo non poteva produrre cultura Massimo L. Salvador! El 5 chiaro che per molti di ( coloro che sono intervenuJ ti nel dibattito suscitato dal libro di D'Orsi il libro stesso non è stalo altro che un pretesto, tanto che per parlarne non hanno avuto bisogno di portarne a termi�ne la lettura o addirittura di aprirlo. Ad esempio, il Foggio ha scritto che Colletti «non ha ancora letto il libro, ma concorda con buona parte delle sue tesi»; e Montanelli ha steso un editoriale dichiarando di non «aver ancora finito di leggerlo». In effetti, la cosa che più importa è dar corso alla demolizione del mito degli antifascisti azionisti torinesi, cui Montanelli imputa di essersi eret�ti a Corte di Cassazione dell'antifa�scismo e di aver rinfaccialo agli jiiiri «compromessi e accomoda�menti» ai quali essi pure hanno ceduto e che Colletti accusa di essere stati i beneficiari di una «ricostruzione a posteriori» della loro vicenda, strumenlalizzata dal Pei: una ricostruzione presidia�ta dai «dobermann torinesi accam�pati intorno alla casa di Bobbio», l'intellettuale la cui polemica con Togliatti su politica e cultura Col�letti legge nei termini di «un garbato minuetto» condotto con lo spirito di un «vassallo». Quanto a Perrara e al suo giornale, liberato�ria e la soddisfazione nel veder cadere il tabù che i venerati intel�lettuali azionisti «fossero mondi e lustri campioni di antifascismo e di virtuismo», salvo pochissimi. Di qui la conclusione che l'antifa�scismo in quanto «sorgente peren�ne di energia politica e religione civile è ormai un cane morto». E' agevole riconoscere come Ferrara riproduca in questa sua ultima battaglia modi e atteggiamenti usali in quella condona contro i giudici ipocriti di Tangentopoli. Ma cerchiamo di vedere se e in qua! modo il libro di D'Orsi giusti�fichi le conclusioni dei suoi inte�ressati od entusiasti laudatores. Le sue lesi essenziali sono queste: I) durante il fascismo la grande maggioranza degli intollelluali to�rinesi passò attraverso il regime con spirito di opportunismo vuoi passivo vuoi attivo; 2) ai due lati estremi si colloca�rono la piccola mi�noranza degli anti�fascisti che avreb�bero fondato la tra�dizione azionista e quella dei fascisti convinti e attivi; 3) nell'ambito del�la prima minoran�za occorre distin�guere tra «qualche decina di eroi» del�l'intransigenza po�litica e morale, di cui esponenti em�blematici furono Gobetti e Ginzburg, e coloro che, come Antonicelli, Bobbio, Solari, eb�bero le loro debolezze al fine di tutelare la loro carriera di inlelletluali, ma nel loro mestiere non si piegarono al fascismo; 4) anche Gobetti e Ginzburg, nella loro intransigenza politica, mostraro�no aperture verso settori della cultura fascista; 5) non è vero, secondo quanto sostiene Bobbio, che non vi fu incompatibilità tra fascismo e cultura, poiché riviste come il Selvaggio e la terza pagina della Gazzetta del Popolo furono palestre di vivo e autentico dibatti�lo in certi settori; 6) tirando le somme, il vero antifascismo fu quello operaio e nel periodo fasci�sta gli intellettuali abdicarono al�la loro identità, che sta nella «capacità critica» e nel «dovere di testimoniarla» e di «gridare sui tetti le verità» che scoprono o che altri loro comunicano. Il libro di D'Orsi è opera seria di cultura e come tale va preso e discusso. Ma veniamo subilo a ragionare se i fatti che egli rico�struisce legittimino o meno, al di la delle slesse opinioni dell'auto�re, l'attacco che è stato condotto all'azioniamo torinese. Alcune tesi di D'Orsi non condi�vido e di alcune non capisco versino il senso. Comincio da quela per la quale a Torino l'unico vero antifascismo sia stato quello operaio. Cosa vuol dire una simile affermazione? La spia Pitigrilli e la polizia fascista non la pensava�no certo cosi e neppure i tribunali che condannarono Mila, Foa e Piero Gobetti in altri. In secondo luogo, non com�prendo la valenza della constata�zione che uomini come Gobetti o Ginzburg mostrarono aperture verso settori della cultura fasci�sta. Un cedimento anche questo? Mi pare che queste aperture non erano se non il risultato del fatto che in quanto uomini di cultura essi, restando fermi nei loro valo�ri, non avevano lo spirito di «forca�ioli dell'antifascismo», ma cerca�vano di mantenere canali di comu�nicazione fino a che fosse consenti�to e possibile senza venire meno ai loro valori. Avrebbero dovuto op�porsi come zeloti ad ogni confron�to culturale? Per essere veri intellettuali, ci dice D'Orsi, occorre gridare sui tetti le proprie verità. La storia è piena degli esempi dei pochissimi che, di fronte alle alternative po�ste dai regimi non liberi, perdono la libertà e la vita per testimonia�re sino in fondo. Essi costituisco�no la misura di sé e degli altri, sono i titolari delle eteme Corti di Cassazione, le cui tavole sono costi�tuite dai valori del coraggio politico e civile. I Solari e i Bobbio, coloro che vennero a compro�messi, quei valori hanno personal�mente onorato in un duplice modo: per un verso esal�tando gli esempi dei migliori e tra�mandandone la memoria; per l'al�tro ammettendo i loro compromessi, nelle loro vesti di non «eroi» ma di maestri di cultura che non si sono piegati nella loro attività culturale. E quel che han�no «rinfacciato» hanno rinfacciato anzitutto a loro stessi. D'Orsi, criticando Bobbio per aver negato che il fascismo avesse prodotto una sua cultura, porta esempi, come ho ricordato, di riviste e belle terze pagine di penna fascista. Qui bisogna uscire dagli equivoci: belle pagine su che cosa? D'Orsi ci dice che il connota�to della vera intellettualità e quin�di della cultura sta nel gridare le proprie verità e convinzioni sui tetti. Orbene, come egli ben sa, il fascismo verso la cultura seguiva un criterio dominante: tollerava quel che non lo disturbava politi�camente; reprimeva la cultura là dove essa si nutre del dialogo e dello spirito di libertà che distur�bano il potere. Ecco in che senso il fascismo non poteva intrinseca�mente produrre una cultura che vive della ricerca senza limiti e imposizioni e perché esso (e Bob�bio ha in questo pienamente ragio�ne a mio giudizio) non potè produr�re una cultura che andasse oltre il livello della espressione di sé e dei suoi fini: non certo comunque la cultura cui fa riferimento in termi�ni paradigmatici lo stesso D'Orsi. Colletti rimprovera aspramen�te gli azionisti e in particolare Bobbio per «essere entrato in un garbato minuetto con Palmiro To�gliatti» negli Anni Cinquanta. Un simile rimprovero da parte di chi allora era membro del Pei ha quanto meno del singolare. Non c'è limite davvero nell'impuden�za. Chiunque legga i sa^gi su Politica e cultura di Bobbio può vedere che questi si colloquiava con Togliatti, ma anche che lo faceva senza concedere nulla al�l'avversario e sostenendo posizio�ni che erano la critica più ferma delle posizioni comuniste. Bene, dove sarebbe stata la colpa di Bobbio? Di cercare il colloquio anche con Togliatti? Capisco: De Gasperi avrebbe dovuto comincia�re col mettere fuori legge i comuni�sti e i Bobbio avrebbero dovuto fare le vestali intellettuali dell'an�ticomunismo. Ma io, che allora come Colletti ero comunista, sono grato a Bobbio, che mi ha aiutato a capire cose che non capivo e ad apprezzare valori che non apprez�zavo. Il Foglio tira un sospiro perché le rivelazioni di D'Orsi contribu�scono al clima che segna la fine della «guerra civile» che l'antifa�scismo torinese ha alimentato in�cessantemente. Mi sia consentito di dire che leggere le sue righe dà la ben fondata impressione che lo stile dei suoi interventi è proprio da guerra civile condotta con me�todi incivili («i dobermann di casa Bobbio»). D'altronde vi è da stupir�si dei sostenitori di chi ogni giorno dice che la democrazia e le libertà del Paese sono minacciate dalla sinistra che vuole costruire un nuovo regime? La storia dell'antifascismo azio�nista torinese sarebbe slata me�glio servita se certi cedimenti fossero venuti alla luce prima che gli archivi li rendessero pubblici. Ma nessuna recriminazione a po�steriori, figlia della nostra stagio�ne politica, morale e culturale, può cambiare le carte in tavola: e quelle carte, giocate nella lolla contro il fascismo, conservano la memoria di una storia infinita�mente più alta, più umana e grande politicamente ed eticamen�te di quella del fascismo e dei suoi sostenitori. Grazie, dunque, ai Go�betti, ai Ginzburg, ai Mila, ai Foa, ai Bobbio, agli Agosti, ai Galante Garrone e a tutti gli altri, senza i quali saremmo in una gora ancora peggiore di quella in cui ci trovia�mo. E negli Anni Cinquanta Bobbio ha sostenuto la aitica più ferma alle posizioni comuniste Piero Gobetti in un disegno di Felice Casorati

Luoghi citati: Ferrara, Torino