I fiori del Bene di Osvaldo Guerrieri

I fiori del Bene L'attore pubblica un poema, ma è cos�arduo e oscuro che solo lui lo può spiegare: con un'autointervista I fiori del Bene Osvaldo Guerrieri IL titolo rovescia quello di Baudelaire, ma l'arcaismo sottrae 1 mal de'fiori (pp. 154, L. 49.000) al puro gioco linguistico e ci propone una deformazione ottica, oltre che concettuale. Il sospetto è che Carmelo Bene, prima di affidare a Bompiani il poema col quale I varca la porta stretta del verso, abbia voluto assumere un simbolo della grande poesia per triturarlo, magari per distruggerlo. Lo scopo? Nella presentazione di Sergio Fava leggiamo che, con quest'opera, ci troviamo dinanzi al primo «De-pensamento Poetante». Dalla viva voce di Carmelo Bene apprendiamo che abbiamo fra le mani «non le poesie ma la Poesia», e la maiuscola ti pare di vederla scolpita nella bellissima, carezzevole voce di colui che ha saputo separare il teatro dalla rappresentazione. Ma si tratta di Poesia riservala a pochi. E' difiìcilissima da leggere, poiché impastata di vari linguaggi che, partendo da un italiano generica�mente medievale, finisce per intrecciarsi con il milanese, il pugliese, lo spagnolo, il francese, il provenzale, inseguendo strutture sintattiche che sembrano avere in odio l'esangue linearità contemporanea. E' difficilissi�ma da dire, anzi impossibile, poiché il pregio di 1 mal de'fiori non sta nell'afTabilità, non consiste nella cantabilità su cui si sono eserciute schiere di neoclassicisti, di simbolisti, di crepuscolari, persino di ermetici. E se Fava, nella medesima presentazione, invita l'eventuale esegeta a occuparsi d'altro, poiché «si esporrebbe al suo fallimento conclusivo», ciò vuol dire che il sapiente ordito di 7 mal de'fiori, la sua raffinatissima tecnica, ma anche la sua vertiginosa oscurità sono riserva eletta di caccia. Per evitare «fallimenti conclusivi» non resta che una cosa: indurre Carmelo Bene a presentare da sé la sua opera, con un'autointervista che l'attore «dell'osceno» ha scritto in esclusiva per La Stampa. Con questo poema Carmelo Bene è stato acclamato «poeta dell'impossi�bile» dalla Fondazione Schlesinger fondata da Eugenio Montale. Il IO luglio, a Milano, riceverà l'alloro dalle mani di Riccardo Muti. Carmelo Bene ffl I sento sempre più come qualcuno che si spoglia lentamente per andare a letto... Dopo i concerti, il cinema, la letteratura, il le tante vite vissute e Una continua sottrazioteatro, svissute. ne, uno svestirsi ininterrotto che ancora pare non finire e che non credo finisca in quanto sto ancora scrivendo. Scrivendo la Voce. Intendendo il far poesia un esercizio del linguaggio, soprattut�to, mirato al linguaggio... Ecco il caso del fraintendimento dell'at�tacco alla poesia di quasi tutto il Novecento: linguaggio sottraendovi l'io, non un io che ne disponga, bens�un essere invasi dal linguag�gio. La poesia è sempre stata qualcosa che ha disposto del lin�guaggio con tanto di lismo e da qui 3 suo deterioramento nella comu�nicazione, nel sociale mondano, negli affetti, nell'aanima bella», la funzione del poeta civile. In tal senso tutto il resto è poesia come tutto il resto fu teatro per me. Questo è un produr-si lettera�riamente antiumanistico ma lette�ralmente antiumano: non è poi questo capolavoro l'uomo! Mi ripugna l'espressività del�l'arte! E bisogna intendere anche la presentazione al poema laddo�ve ha insistito: non si tratta di offendere o degradare la produzio�ne in versi del Novecento Italiano che ha dato Svevo, Brancati, Landolfi; ha dato Pizzuto, Gadda etc. Sarebbe quanto meno temerario paragonare questa considerevole vendemmia letteraria alla pochez�za della poesia che le è contempo�ranea (considerando Saba, Gozza�no e D'Annunzio poeti del tardo Ottocento)... Un verso dovrebbe contenere dieci trattati di filoso�fia: operazione davvero di macelle�ria linguistica. Questo è nella pre�sentazione trattato con molta cu�ra ed in essa tra l'altro è sacrosan�tamente estrapolato Campana da ciò che non gli è contestuale. Non come da qualche parte uno sprov�veduto non so quanto in buona fede ha gratuitamente rimescola�to gli Orfici alla produzione di Quasimodo, Ungaretti etc. Sarei stato un cretino a scrivere un libro contro la poesia del Novecento italiano: tempo più perso non vi sarebbe. Cesure, assonanze, allitterazio�ni: questi sono soltanto i «fonda�mentali». Ma se si esaurisce in quello che nel «bel canto» sono gli «abbellimenti» è veramente una sciagura, imo schiaffo ad ogni voce polifonica. Questo poema è destinato ad esser fruito da nessuno, tanto meno da certo «lettore comune» che laddove gli fa comodo si serve della presentazione, ma alterando�la, estrapolando temi, creando os�simori che non vi sono come quello «orale-scritto». Non mi tocca qui alcuna idiosincrasia orale/ scritto, come quella che tormenta�va il mio amico Pier Paolo Pasoli�ni. Come un per fortuna raro Incauto azzarda «finora ha fre�quentato l'orale, ora lo scritto». No! Ora ho riportato l'orale nello scritto, scritto che in tutta la poesia contemporanea, non solo italiana eccezion fatta per Pound ed Eliot è il morto-orale. Che c'entra Baudelaire, se non nel rovesciamento del titolo? Co�me si potrebbe leggere su qualche rivista. Baudelaire è un classico: in quanto tale incommentabile, intoccabile etemo una volta per tutte. Non è sfida all'Autore de I fiori del male e tanto meno al paesaggismo (interiore o esterio�re) del secolo appena scorso. E' una sfida alla potenzialità del linguaggio, alla possibilità di nomi�nazione di presunte «cose» che stanno al di fuori del che le «dice». Una sfida di-vertita e per-vertita anche comica, esasperata fino al�l'incongruo, scritta in Voce per più di un anno attraversato da dolori atroci: vedasi le tavole ana�tomiche dove il corpo parla di se stesso lamentandosi de nevrasse. Ahi! '1 disonordell'ahi! narcotico'nlatesta sentesi 'n non si dir ch'è mal al mal dell'ossa delli articuli 'n carne crucifissi unauno in relitte ligne schegge de cruce mai sol una ch'è fran�tume in l'equoreo disorgano insulare corposconcerto in scaglie dolo�rale nell'ahi! ecco questo d'echi impensalo siccome in mar de' cieli è stringer d'astri 'n arti rabbruciati Tutto questo lavorio estenuan�te (quotidiana intrapresa dell'uma�na genia) è lo spreco tributato alla sopportazione della vanità, della vacuità dell'esistenza fino appun�to al ridicolo. Gli incauti si guardino dall'identificare questo rigore con un magma, per quanto vulca�nico: c'è un rigore in tulio l'attac�co all'arte che anima le cose, nei corpi come corpi tipo-grafici, malemilà-Maestà, eie. Quanto che Cu esentato d'artifi�cio somiglia l'impensato delle cose che non furono mai Pure v'è come patetico un rimpianto Un mal d'amore mancalo in si star qui che strano e vago vago e strano duole 'me se perduto quasi'me morir d'ecco son voci e sordo è il tuo sentire che m'hai parlala mai 'me rosa e viola dapersempre non sono fiorile sulle lue labbra inule in non le dir Al famigerato «lettore comune» è materiale proibito: non ò uno specifico. Non si parla del nuclea�re. Non si parla nemmeno di poe�sia e poeti, cos�come a teatro non mi riguarda la rappresentazione, come del cinema non mi ha mai interessalo l'immagine istoriala. Come mi interessa della musica il suo «spirilo» e non l'accanimento musicislico fine a se slesso. Onesto 7, ma/ de'fiori è destina�to ai rarissimi Nessuno che si sono messi in gioco nel loro non poter essere soggetti con oggetti. Ecco l'attacco all'Kros (figlio d�Miseria ed Espediente) generatore di ogni cquivolco affanno. Come in Kafka più d'uno ha ravvisalo il comico, ma nessuno ne ha evidenzialo la solare pomografìa. Questo 7 mal del no moda è unpo/em al riparo da qualunque cultura, coscicnzi, umanesimo, estetica, antropologia, sociologica comunicazione: stucchevoli ra )presentazioni ingabbiale nei codi�ci. Un sonoro ceffono alla cultura dannala all'elenio catasto. Che ragazza e ragazza! E' cosa spoglia nella sera dall'ombra carezzala ne la carezza ombrala da la notte In dell'incanto sole del merig�gio domestico claustralo d'arabe�schi divini evanescenti alle marine pareli della stanza 'n divenir Che ragazza e ragazza! sperso arredo 'n dellagli in apparir disparso dentro va�no che d'intimo discreto in m'hai scordala L'hanno portata via l'hanno portala 'me il tutto ch'è mai sialo e poi fini B m Non è sfida all'Au�tore de «I fiori del male» e tanto meno al paesaggismo (interio�re o esteriore) del seco�lo appena scorso. E' una sfida alla poten�zialità del linguaggio, una sfida di-vertita e per-vertita anche comi�ca, esasperata fino al�l'incongruo, scritta in Voce m m muAl famigerato «lettore comune» è materiale proibito: non è uno specifico. Non si parla del nucleare. Non si parla nemmeno di poesia e poeti, cos�come a teatro non mi riguarda la rappresentazione m m Carmelo Bene

Luoghi citati: Campana, Milano