C'è il Giubileo: neopagani in festa di Silvia Ronchey

C'è il Giubileo: neopagani in festa Scrittori, filosofi e antropologi ripropongono il mito di una vita senza Aldilà C'è il Giubileo: neopagani in festa E si scopre che UNovecento è figlio del Terzo Mondo Silvia Ronchey COME sopportare la vita senza credere in un Aldilà consolatorio, nel genere di resurrezione promessa Idal cristianesimo? La fede nella metempsicosi o reincarna�zione, propria a molte antiche religioni, appare oggi sempre più plausibile al crescente popolo new age, alla massa dei post-cre�denti, orfani del credo tradiziona�le ma pervasi dal Nuovo Spirituali�smo. Il neopaganesimo, già florido nei primi vent'anni del Novecen�to, sta rifiorendo. «La mia anima vivrà molte vite», cantava a diste�sa Battiate nello scorso festival di Sanremo. Ora, in pieno Anno Santo, un'on�data primaverile di libri dedicati al pensiero pagano ne conferma l'attualità. «La religione è varia quanto l'umanità. Le sue risposte alla vita sono talvolta intelligenti e creative, talvolta stupide, assur�de e distruttive», esordisce ironica�mente Aldous Huxley, l'autore del Mondo nuovo, nella raccolta di scritti sulla morte, il so�prannaturale e il divino ora tradotta e intitolata da Flemme L'uomo e dio (pp. 255, L. 24.000). Tito�lo vagamente tendenzio�so, poiché Huxley, ben più che del Dio tradizio�nale, parla di fenomeni psicofisici, di medium, guaritori, profeti, strego�ni, maghi, hatha yogin e «altri bizzarri personag�gi che esistono e sono sempre esistiti ai margi�ni di ogni società». Si occupa equanimemente dell'idolatria come del Padre No�stro, dello zen come della religio perenni^ di Shakespeare e Juan de la Cruz. Profetizza una pietà collettiva in cui l'uomo «dell'osses�sionato e dunque nazionalistico, rivoluzionario e violento ventesi�mo secolo» riacquisterà il relativi�smo pagano e tornerà a morire nel proprio letto come il suo simile «nato nel tredicesimo secolo, quando esisteva la coscienza dell' eternità». In una religione politeistica gli dèi sono individui, come gli uomini, ma immortali. Ignorano tutte le imperfezioni, le lacune e le insufficienze che costituiscono nei mortali l'inevitabile contropar�tita di una vita individualizzata, scrive Jean-Pierre Vemant, il più grande interprete del pensiero pa�gano antico, in L'individuo, la morte, l'amore, ora uscito da Corti�na (pp. 208, L. 32.000) contempo�raneamente a L'universo, gli dèi, gli uomini, appena tradotto da Einaudi (pp. 216, L. 28.000). Per quale via una cultura la cui religio�ne non fa affidamento sull'immor�talità dell'anima può raffi�gurare l'eterno? Le soluzio�ni sono varie. La caduta nell'informe, la perdita dell'io può assumere i trat�ti della Gorgone, la maschera di Medusa dallo sguardo pietrifican�te, la morte che fa tornare nel caos. Ma può anche essere riscat�tata dall'amore, dall'Eros platoni�co in cui si vede riflessa la propria immagine negli occhi dell'altro. Per riprendere le parole di Plato�ne, è se stesso che si ama nell'ama�to, e di conseguenza llndividualità per i greci può smarrirsi nel piacere e separarsi nel desiderio, che anticipa le tenebre dell'Ade cancellando i confini. In ogni ca�so, per il paganesimo, a distrugger�si è solo l'anima individuale, non l'anima del mondo, «Tutto perisce col tempo, si trasforma e invec�chia, ma in tutto questo tempo il mondo resta immutabile». Non è un breviario buddhisia, né un manuale new age, ma il testo chiave del neopaganesimo bizantino, il trattato Siigli dèi e il mondo del platonico Salustio, ma�estro e consigliere di Giuliano l'Apostata, ispiratore di Athanasius Kircher, ora tradotto per Adelphi (pp. 265, E 22.000). Ma era un mestiere pericoloso quello del filo�sofo pagano, specie nell'età dello scontro con il cristianesimo trion�fante, come annuncia il titolo dell'ultimo libro di Luciano Canfo�ra {Un mestiere pericoloso. La vita quotidiana dei filosofi greci. Sellerio, pp. 235, E 18.000). Nel suo lucido stile narrativo. Canfora de�nuncia quanto il pensiero filosofi�co non cristiano, dopo l'editto di tolleranza di Costantino e nell'in�tolleranza antipagana di Teodo�sio, fosse esposto al pericolo estre�mo di venire cancellato. Ad Ales�sandria, la città-simbolo di quello scontro, sede della Grande Biblio�teca dei Tolomei, la filosofa paga�na Ipazia fu linciata dai monaci cristiani integralisti seguaci del vescovo Cirillo. Ultima erede dell' accademia platonica, insegnava Platone e Aristotele, Euclide e Tolomeo a chiunque volesse ascol�larla, ma fu assalita, strappata giù dalla carrozza, «denudata e massa�crata a colpi di tegole, quindi tagliata a pezzi e bruciata». Il ruolo del maestro, in ogni paganesimo, è cruciale e violento. Nei primi Anni Sessanta Carlos Castaneda, giovane studente di antropologia, andò a scuola da uno stregone messicano, il mitico Don Juan, che si definiva un «folle», un brujo, proprio come gli asceti greci del deserto. Al fine di insegnare e corroborare il suo sapere, usava tre piante psicotro�pe che sarebbero divenute miti�che nella generazione hippie (il peyole, l'erba del diavolo e il fungo allucinogeno Psilocybe) e che chiamava «gli alleati». La vo�lontà di sovvertire la lettura razio�nale del mondo è al centro della saga psichedelica inaugurala dal celebre A scuola dallo stregone e continuata nel secondo volume. Una realtà separata. Nuove con�versazioni con Don Juan, ora uscito da Rizzoli (pp. 333, L. 30,000). L'incontro con questo ge�nere di perdita dell'io, che Castane�da chiama «infinito», è al centro della cognizione sciamanica, e il moderno spiritualismo neopaga�no si nutre delle tradizioni e degli esempi dei paganesimi «primiti�vi» e tribali. Studiato dagli anlrojologi, affluito da altri continenti, 'universo panteistico del Terzo Mondo fonda l'estetica del Nove�cento, seduce i moderni con lo sguardo allucinato delle sue ma�schere, rivive nei quadri cubisti, si confessa nei «cristi minori» africani supplicati da Apollinaire. Da Huxley a Canfora a Castaneda: boom di un fenomeno editoriale e spirituale Nettuno e Anfitrite in un mosaico di Pompei. In basso, da sinistra, lo scrittoi e Aldous Huxley e Franco Battiato che a Sanremo cantava «la mia anima avrà molte vite»

Luoghi citati: Flemme, Giuliano, Nettuno, Pompei, Sanremo