Torino era la «città futura» di Angelo D'orsi

Torino era la «città futura» Antifascismo e cultura nel saggio di d'Orsi Torino era la «città futura» Bruno Bongiovanni LA «cultura a Torino tra le due guerre», il bel libro di Angelo d'Orsi appena uscito da Einaudi e già discusso su La Stnmpa, oltre ad offrirci un'eccel�lente e difficilmente superabile ricognizione sull'argomento, ha anche il merito di riaprire idibattito ormai vetusto, e cionon�dimeno tuttora ineludibile, surapporto tra intellettuali e regime fascista. Un dibattito in cui d'Or�si, per il caso torinese, sembra volersi inserire, alla fine del suo libro, con una voce se non proprio sconsolata, quanto meno amaraL'antifascismo autentico, quello cioè militante, non sarebbe stato «di casa nelle stanze della cultura». Certo, non mancò, tra glintellettuali già affermati e tra quelli ancora in erba, tra quelli in toto torinesi e tra quelli legati pevarie vie a Torino, un drappello deroi: primo fra tutti Leone Ginzburg, pronto, sino al sacrificio, a rinunciare a una sicura e certo folgorante carriera di docente e dstudioso, e poi un groppo dmartiri (Fernando De Rosa, Renzo Gina, Giaime Pintori, un paio dcombattenti «con il diavolo in corpo» (Aldo Garcsci, Franco Venturi) e un manipolo di coraggiosi di intransigenti che seppero, cola superba allegria dei giusttrasformare il carcere e il confinin portentosa «scuola di antifascismo» iMichele Gina, Massimo Mla, Augusto Monti, Vittorio FoaMario Andreis, Vindice Cavaliere). Al di là di questi fieri testimoni, divenuti tali talvolta per case talvolta per necessità, ma rimsti sempre prota�gonisti misteriosa�mente arguti, e mai irrigiditisi in commoventi ico�ne tardorisorgimenlali, si apri�rebbe, anzi si spalancherebbe, l'enorme «zona grigia» se si vuo�le usare l'espres�sione di Primo Le�vi agguantala da Renzo De Felice dei silenziosi e dei complici involon�tari della servitù volontaria in cui precipitò la cultu�ra torinese ed ita�liana. Soltanto po�chi, secondo d'Or�si, fecero cioè proDrio il motto goDelliano, quello che recitava «salvare la digniprima della genialità», e miserorepentaglio quel che avevano tnacemente e orgogliosamenbraccato: carriera, posizione sciale e «missione del dotto». Eppure, al di là di quessevero scatto conclusivo, tuttolibro di d'Orsi, se lo si seguvagina dopo pagina, descrive mecolarmente Torino come incomparabile laboratorio di una cultra che non si sa se non volle, mche certo non seppe, e non potarrendersi. Giulio Bollati, in qupiccolo grande capolavoro cheL'Italiano (Einaudi 1983), ebbericordare che quando arrivò Torino, da Parma e da Pisa, afine degli Anni 40, gli parve essere approdato nella «città futra», vale a dire nel varco apertotra l'intera storia d'Italia e 1 opersa realtà del mondo moderno.merito non era da attribuirsi uncamente alla Resistenza e ai febrili secondi Anni 40. Affondale sue radici nel passato, e nsolo negli anni di Gramsci e Gobti, ma anche in quelli successigli anni del consenso, cos�bdescritti da d'Orsi, gli anni in cveniva però fondata la casa editce Einaudi, in cui il maturo GioSolari, all'Università, teneva zioni di liberalismo per i ficoltissimi di una borghesia indstriosa e in cui il giovane Ludoco Geymonat, nelle scuole serateneva lezioni di antifascismo pi figli degli operai che nell'istzione inseguivano, e afferravauna promozione professionalculturale. Il totalitarismo fascista, è qsta un'acquisizione storiografifu certo imperfetto, almeno sal collaborazionismo repubblicno, rispetto a quello nazionalcialista. Non si pensi però ch«Si riqualcalla e al mdell'incomMa nomai di segni , o ��a Torino la macchina poliziesca non funzionasse a pieno regime. Era del resto assai più difficile, sino al 1943, fare professione di antifascismo a Torino, temuta città operaia, che a Roma, città protagonista, peraltro, tra il set�tembre '43 e il giugno '44, di una lotta antinazista senza quartiere. E se Torino non amò, e subì, il fascismo, quest'ultimo, a sua vol�ta, a cominciare dal suo capo, ancor più non amò, e subì, Tori�no. Vi vide anch'esso la «città futura», il varco tra il plebiscitarismo dello strapaese plebeo e il mondo moderno inutilmente im�brigliato. Si rinunciò forse qualche volta alla dignità e al non sempre sostenibile modello dell'intelleiluale come eroe. Ma, da parte di molti a Torino, non si smise mai di studiare, di discutere, di scruta�re i segni dei tempi. Si sospettava che la cultura in quanto tale fosse il viatico per procedere, dentro il fascismo, oltre il fascismo. Fu infatti quest'ultimo, che. secondo la profezia di Gobetti, in una città aristocratica come Torino, creò l'antifascismo inteso come percor�so idoneo ad oltrepassare le stret�toie di un passato che aveva reso possibile e forse inevitabile il fascismo stesso. Se gli operai socialisti, nel '21-'26, avevano colto nel fascismo un fenomeno «di classe», se i partigiani nel '43-'45 vi coglieranno un fenome�no «antinazionale», gli intellettua�li torinesi, nella loro maggioran�za, anche i più «silenziosi», esclu�si cioè i soli e non numerosi intellettuali fascisti, vi colsero, proprio perché non cessarono mai di dedicarsi al «la�voro culturale», un fenomeno di volgare incultura. Vi fu, è ora di ammetlorlo, quasi un doppio (borghe�se e operaio) so�prassalto «di clas�se», o quanto me�no «di élite», nell'aristocratico, e spesso con venticolare.disprezzodella cultura torine�se verso le goffag�gini e la «mezza cultura» del fasci�smo. Fu, questo, un evidente riscat�to nei confronti dell'aggressivo, e culturalmente re�gressivo, virili�smo grossolano dei ceti medi ram�panti fascistizzali. 1 quali, quasi sempre, furono volutamenie antiinte letlualistici, esibizionistica�mente beceri, platealmente este�rofobi. Giovanni Gentile, tanto per fare un esempio, amò il fasci�smo, vedendovi baluginare il mi�raggio hegeliano dello Slato etico, ma non fu per niente ricambialo dal fascismo. La sua riforma della scuola, anzi, nutrirà involontaria�mente, dando vita ad una clamo�rosa eterogenesi dei fini, proprio quell'alta cultura elitaria destina�ta, certo contaminandosi, a resi�stere al fascismo. I fascisti «bece�ri», e lo stesso De Vecchi, lo compresero ben presto. Il consenso, indubbio, di cui si giovò il regime fascista può del resto essere diviso in tre catego�rie: vi furono (minoritari) i convin�ti e i fanatici, poi (ullramaggioritari) i conformisti per convenienza e per quieto vivere, e infine i nicodemitici, vale a dire quanti esteriormente accettavano senza manifestazioni di entusiasmo il regime ed interiormente lo con�dannavano. Questi ultimi furono ben pochi nel complesso della popolazione, molti tra gli uomini di cultura, moltissimi tra gli uomi�ni di cultura torinesi. Il cosiddet�to «gramsciazionismo» torinese, di cui talvolta si è parlato, non c'entra nulla: è un neologismo brutto e un fenomeno inesistente, anzi inesistito. Piaccia o non piac�cia, fu proprio la fedeltà «aristo�cratica» alfe ragioni della cultura che trasformò in una spia «risenti�ta» uno scrittore mediocrissimo come Pitigrilli e che costru�l'habi�tat intellettuale da cui la minoran�za «eroica» potè emergere. E che rese visibile il famoso varco che incantò un uomo come Bollati. Docente di storia contemporanea all'Università di Torino uncio e volta ignità odello llettuale eroe. si smise scrutare ei tempi» «Si rinuncio qualche volta alla dignità e al modello dell'intellettuale come eroe. Ma non si smise mai di scrutare i segni dei tempi»