Dopo di lui un «Iatino cauto» di Vittorio Messori

Dopo di lui un «Iatino cauto» DIETRO Al FESTEGGIAMENTI DI QUESTI GIORNI Si PENSA GIÀ' AL FUTURO Dopo di lui un «Iatino cauto» La Chiesa cercherà un po'di «tranquillità; analisi Di Vittorio Messori Vittorio Messori A tempo, ormai, sembra ) l'orientamento prevalente, riconfermato anche in cpesti giorni, dietro le cerimonie e gli auguri per l'ottantesimo compleanno: al prossimo conclave si tor�ni alla tradizio�ne, interrotta nel 1978 dopo più di 4 secoli e mezzo. Si tor�nì, dunque, a un papa italia�no. E singo! ^ re come que�st'intenzione sia condivisa anche da ecclesia�stici non italiani, nonché da ami�ci, spesso ammiratori dell'attua�le pontificato. Paradossalmente ma non troppo per chi conosca la logica che ispira la Chiesa è proprio l'eccezionalità dell'espe�rienza vissuta da 22 anni con il papa polacco che sembra decide�re molti a questo ritomo alla consuetudine «italiana». Per cercare di capire: correva il 1522, Lutero si era ribellato a Roma da soli 5 anni, quando dalla riunione dei cardinali (sem�plici strumenti, secondo la fede, della scelta dello Spirito Santo), usciva con il triregno sul capo un fiammingo di Utrecht, Florisz Boeyens. Un anno e mezzo con il nome di Adriano VI: pochi mesi, ma disastrosi, anche se in gran porte per la malizia dei tempi. Sufficienti, comunque, per far riconveigere i voti di tutti, al successivo conclave, sul fiorenti�no Giulio de' Medici. Se da allora la scelta dei porpo�rati non si allontanò mai dalla Penisola, è certamente anche a causa della debolezza italiana. Prima mera «espressione geogra�fica», spezzettata in una miriade di Stati; poi unita sì, ma non tale da impensierire seriamente alcu�no, l'Italia era una patria ideale per chi, come capo della Chiesa universale, era chiamato ad im�parzialità tra le vere, grandi po�tenze. Ma non c'è questo soltanto. C'è, soprattutto, una sorta di «carisma italico// al servizio papa�le, il quale esige doti di flessibili�tà, di mediazione, di accortezza, di moderazione, di prudenza, di diplomazia, di unione di fermez�za sui princìpi e di tolleranza nei casi concerti, di miscela sapiente tra utopismo e reabsmo. Doti che per un millenario processo, dove il temperamento etnico si è unito all'esperienza della storia hanno contrassegnato l'uomo di Chiesa italiano e ne hanno fatto il papabile ideale, anche a giudi�zio dei Grandi Elettori stranieri. I teologi distìnguono quello che chiamano il «carisma petrino» dal «carisma giovanneo»: il primo da Pietro contrassegna colui che è chiamato ad essere soprattutto l'amministratore del deposìtum fidei e il gestore della vita quotidiana della Chiesa. Il secondo da Giovanni è quello dei profeti, degli esploratori di strade nuove, degli annunciatori delle esigenze radicali della fede. L'audacia è il loro contrassegno, mentre la prudenza è la prima virtù dei successori di Pietro. S�pensi a Eugenio Pacelli, l'estre�mo rappresentante della tradizio�ne delle grandi famiglie romane di dare alla Chiesa i loro figli mighori. Al termine dell'ultima guerra fu accusato (da Giovanni Papini, cattolico «urlatore») di avere mostrato «mentalità diplo�matica in tempi apocahttici»: ed è, invece, ciò che, secondo tradi�zione, Pio XII considerò suo stret�to dovere di papa. Altri, nella Chiesa, erano chiamati a gridare dai tetti le grandi invettive bibli�che; a lui, toccava affrontare gli eventi, pur cos�drammatici, con i mezzi della istituzione ecclesia�le. Anche con la rete delle nunzia�ture apostoliche o con i compro�messi dei concordati la Chiesa serve il comando evangelico di portare Cristo al mondo e di lenire le piaghe e i danni della storia. Carisma petrino e giovan�neo sono entrambi necessari e benemeriti, ma non debbono es�sere confusi. «A ciascuno il suo», per dirla con il motto sotto la testata dell'Osservafore Roma�no. E' una «confusione» che, se�condo alcuni (pur benevoli, se non ammirati, in questo loro giudizio) avrebbe contrassegna�to il pontificato di Giovanni Pao�lo II. Anzi, in lui, sul dovere «amministrativo» avrebbe pre�valso l'ansia apocalittica di af�frettare il ritomo di Cristo gridan�done il nome e le promesse su tutte in senso vero le piazze del mondo. Più «profeta» che «gestore», tanto che c'è chi la�menta che l'ordinaria, ma indi�spensabile, amministrazione ec�clesiale sarebbe stata trascurata. Più slavo «romantico» e «senti�mentale» che prudente e pazien�te iva list a. Più «attore», perso�naggio mediatico, tentato dal ge�sto spettacolare che capo di una Chiesa e insieme di uno Stato e, dunque, tenuto alla discrezione e alla penombra degli arcana imperii. Più inesausto produttore di parole scritte e parlate -in un fiume impressionante di docu�menti e discorsi magari improv�visati che parco e cauto garante supremo della dottrina, dove ogni termine va soppesato. Pie�tro e Giovanni, insomma, non solo uniti nella stessa persona ma con la prevalenza, talvolta, del carisma profetico su quello di govemo. Da qui, la nostalgia «italiana, il proposito di tornare alla tradizione dei papi nati e cresciuti a sud delle Alpi. Lo ripetiamo: coloro che, nella Chiesa fanno simili constatazio�ni, non sono affatto inquieti con�testatori, sono spesso devoti sin�ceri di questo pontificato. Anzi, altrettanto spesso sono proprio coloro che misurano sino in fon�do la straordinaria grandezza della personalità di Karol Wojty�la. Grandezza provvidenziale, ma anche tale da violentare qua�si il molo di Pietro, deformando�lo pur nel senso più nobile sin quasi a far identificare la Chiesa intera con la persona, se non il pei'sonaggio, di Giovanni Paolo II. I ventidue anni di pontificato (continuiamo a riferire voci rac�colte) hanno costituito una serie tale di accelerazioni, di iniziati�ve, di strappi, di gesti inediti e fragorosi che compiuti per giun�ta da un simile uomo, marchiato dalle stigmate del grande leader naturale hanno determinato nella Chiesa una sorta di perma�nente eccezionalità. Significati�vo il commento istintivo che sfugg�a un cardinale, quando vide la prima bozza del program�ma dell'Anno Santo, strapieno di eventi clamorosi: «Ma la Chiesa non può vivere sempre in agita�zione!». C'è bisogno e desiderio, s�sonte dire, di un ritorno a quella normalità d�cui la Calholica ha bisogno: è quel ripristino della vita ecclesiale consueta che un cardinale italiano potrà assicura�re nel prossimo pontificato. Un latino cauto «ragioniere», dopo uno slavo di straordinarie «im�prudenze» e di sconvolgenti atti e motti «profetici». Il ristoro del�la penombra dopo �fari accecan�ti delle televisioni. Quale che sìa il giudizio che ciascuno può espri�mere al proposito, questo pare sìa, oggettivamente, 1 umore pre�valente ai «piani alti» della pira�mide ecclesiale mentre si festeg�giano gli ottant'anni di Giovanni Paolo II. Una cosa, comunque, sin da ora è certa: senza d�lui non soltanto la storia della Chie�sa, ma pure quella del mondo intero, sarebbe stata diversa. E anche meno umana e più povera. Dal Giubileo ai tanti viaggi alle recenti rivelazioni: la Santa Sede sembra vivere in perenne eccezionalità L'orientamento da tempo prevalente è che al prossimo Conclave si tomi alla tradizione: cioè a un pontefice italiano Vittorio Messori

Persone citate: Eugenio Pacelli, Giovanni Pao, Giovanni Paolo Ii, Giovanni Papini, Karol Wojty, Lutero, Pio Xii, Vittorio Messori

Luoghi citati: Italia, Roma, Utrecht