GALANTE GARRONE Vi racconto Torino antifascista di Alberto Papuzzi

GALANTE GARRONE Vi racconto Torino antifascista Intellettuali e regime: il caso del controverso saggio pubblicato da Einaudi. A colloquio con un protagonista GALANTE GARRONE Vi racconto Torino antifascista Alberto Papuzzi TORINO STORIE, volti, problemi, drammi del mondo della cultura antifascista, a Tori�no fra le due guerre, riempiono il salotto della casa di Alessandro Galante Garrone, insie�me alla luce di un pomeriggio di sole, che illumina il pianoforte vicino alla vetrata. La signora Ma�ria Teresa, Miti per gli amici, figlia del magistrato Peretti-Griva, ci serve,il caffè con (jli amaretti piemontesi. In maglione blu, il profossore siede su una poltrona rigida, finalmente libero dai postu�mi di una caduta: sta leggendo La cultura a Torino tra le due guerre, di Angelo D'Orsi, che è la ragione per cui siamo venuti a trovarlo, insieme con il direttore della Stani pa. Perché il libro, sicuramente lo studio più denso sugli intellettuali torinesi nel ventennio fascista, ha riaperto un dibattito e siamo venu�ti a sentire come erano quegli anni da uno che li ha vissuti. «C'è stato, allora a Torino, nel ceto intellettuale comincia Galan�te Garrone un antifascismo mili�tante, consapevole, pronto a testi�moniare e nei limiti del possibile capace di esprimersi nei pochi spazi che l'Italia fascista lasciava scoperti». Ma ci faccia capire, pro�fessore: un intellettuale se era antifascista doveva rinunciare alle sue attività? «Direi di no. Ricordo bene che Benedetto Croce, che conobbi da studente e che mi mandava le dispense con dedica della sua Storia d'Europa, ci esorta�va a scrivere sui giornali fascisti. Diceva che si può fare dell'antifa�scismo anche parlando di un sonet�to del Petrarca». Ma bisognava mascherarsi? «No, anche senza ma�schera c'era la possibilità di dire il proprio pensiero e di dare sfogo a uno spinto polemico, per chi sape�va intendere. Io stesso nelle prime piccole cose che ho scritto di storia ho scelto quelle figure risorgimen�tali che potevano essere lette con un significato antifascista. Oneste cose si potevano dire, anche se un po' larvatamente». Secondo lei, si poteva accettare qualche compromesso per avere comunque degli spazi in cui fare la fronda? «Era possibile. In fondo l'Italia non era la Germania. C'era�no figure non spregevoli della cul�tura, con cui si poteva discutere. Per esempio Ugo Ojetti, che non era un uomo di sentimenti fascisti, non era neanche un antifascista, ma uno scettico e un galantuomo, che scriveva sui fogli fascisti per�ché era una firma». E Malaparte? «No, per me Malaparte era sprege�vole. Un uomo intelligente, ma protagonista di quelle svolte repen�tine a cui io non credo. Era molto italiano. Di quelli che cambiano volentieri casacca». Il libro di D'Orsi documenta molti comportamenti compromis�sori, anche di figure note e illustri, con un giudizio riduttivo sulla coerenza degli intellettuali antifa�scisti torinesi. Che cosa ne pensa? «Guardate, io devo ancora fini�re il libro. Ho molta slima di D'Orsi, che è venuto spesso a trovamii. Lo considero uno storico serio e capace. Se però sostiene questo, al ora dico che sbaglia, forse perché appartiene a una gene�razione più giovane, che non ha conosciuto di persona quel clima». Non è la difesa di un mito. E' il rispetto per una verità vissuta di persona, che anima questo straor�dinario novantenne. Per esempio ci racconta di quando durante una trasmissione Rai gli misero sullo stesso piano, come intellettuali an�tifascisti, Leone Ginzburg e Cesare Pavese: «Ouella volta mi sono inal�berato, come anche Franco Antonicelli. No, no, ho detto. In una storia della cultura antifascista torinese la figura di Pavese non conta mol�to, mentre ouella di Ginzburg s'im�pone. Guardate che avevo ammira�zione per Pavese, di cui ero anche amico, ma Leone Gmzbui^g lo consi�dero un maggiore, se mi è permes�so usare il titolo di un mio libro». Com'era quel clima di quella Torino, professore. Ce lo dica lei. Per esempio, che cosa rappresenta�va per voi Piero Gobetti? «Di Gobetti noi avevamo il culto. Quando dico noi intendo il gruppo di amici di cui entrai a far parte arrivando da Vercelli per fare l'Uni�versità. L'antifascismo fu la ragio�ne dei nostri incontri e per me di alcune amicizia fortissime, per esempio con Giorgio Agosti, uomo di grande tempra e valore, oggi quasi dimenticalo perché forse non ha lasciato scritti, pur essendo in possesso di una finissima scrittura. Ma tornando a Gobetti, per dirle com'era quel clima, ricordo che io andavo in Val di Susa per vedere Croce che passava l'estate a Meana, e incontrare Ada, la vedova di Piero. Ora a Susa c'era un ufficiale giudiziario di nome Guerraz, un valdostano, antifascista...». Ed ecco una storia, che s'intrec�cia con rievocazioni e valutazioni. Questo Guerraz era figlio, a sua volta, di un ufficiale giudiziario di Morgex, dove aveva conosciuto «il pretore del Monte Bianco», uno dei fratelli Garrone, zii di Alessandro, morti nella grande guerra, che aveva scelto di fare il pretore a Morgex in Valle d'Aosta, perchè appassionato di alpinismo. E' da Guerraz figlio, che conosceva la vecchia madre di Piero Gobetti, che Galante Garrone riesce a procu�rarsi delle edizioni rarissime del saggio gobelliano Hivo/uzione /ite�rale che il regime aveva fatto sparire dalle librerie. Quando capita la retata del 1935 contro gli intellettuali torine�si, che cosa pensò, come reagì? «Ero già magistrato, e probabil�mente ilio scampala per un pelo. Io ero pretore a Mondovi e avevo l'abitudine di tornare a Torino, per vedere gli amici antifascisti alla sera. Vedevo soprattutto Vittorio Foa, giovane colto, di brillanlissima intelligenza, che contò moltissi�mo nella mia scelta antifascista. Slavo dicendo che venivo a Torino, ma quando Piligrilli, lo spione dell'Ovra, si mise alle calcagna dei miei amici, io venni nominato giu�dice a Cuneo e durante il trasferi�mento interruppi le frequentazio�ni torinesi. Forse Piligrilli avrebbe denunciato anche me». Ci parli di Vittorio Foa... «Ci incontrammo nel '31 ma l'amicizia nacque nel '34. Io avevo già rapporti con i fuoriusciti di Giustizia e Libertà a Parigi, attra�verso Agosti e Aldo Garosci, ma nel 1934 presi contano con gli antifa�scisti torinesi, fra i quali primeggia�va Vittorio Foa. Si rivelò con quella attrazione che sapeva esercitare cos�bene, li accendeva come pote�va fare Mazzini quando fondò la Giovine Italia». Sapevate di rischiare la galera? «Bè sì. La mettevamo in conto. Eccome. Sapevamo di correre que�sto rischio e perciò adottavamo tulle le precauzioni possibili. Per esempio io non dicevo neanche a mia madre con chi uscivo. E' me�glio che tu non lo sappia, le dicevo». Ma quale fu la reazione dopo gli arresti? Lo precede Miti; «Io mi sono messa a piangere per Ginzburg, perché lo avevo avuto come sup�plente di filosofia alle Magistrali Berti. Aveva fallo delie lezioni su Pinocchio e ce ne eravamo tutti innamorali. Io poi l'avevo conosciu�to anche di persona, essendo lui russo e essendo russa anche la mia insegnante di pianoforte. Oh, sì, era un insegnante straordinario». E il professore, che l'ha ascolla�ta con tenerezza: «I Ginzburg, i Foa erano anche uomini nuovi. Guardi che ancora oggi, a novanl'anni suonali, io provo nei confronti di Vittorio Foa lo slesso sentimento di allora per il fascino con cui sapeva soggiogare i giova�ni» «Certo aggiunge Miti li ha sempre incantati». Descrivendo il consenso che il fascismo riusciva a ottenere fra gii inlelletluali, D'Orsi racconta an�che le vicende di ebrei fascisti, alcuni dei quali fino all'ultimo dichiararono fedeltà al duce. Come era possibile che non avvertissero la minaccia dell'ideologia fascista? «La tradizione italiana non era antisemita. Neanche con il fasci�smo. Uno dei primi fascisti si chiamava Pinzi ed era ebreo. Non avevamo nessuno stupore che ci fossero ebrei fascisti, perché nelle nostre famiglie borghesi non si facevano dinerenze: erano italiani come gli altri. Al massimo si faceva�no scherzi bonari. Ricordo che a Vercelli quando si passava nel quartiere ebraico capitava che i ragazzi facessero una specie di ciocca con il lembo della giacca, come si chiamava Miti?» «Mi sembra che lo chiamassero l'orecchio di maiale» «Ecco, sì, l'orecchio di maiale. Un'allusione popolare, alla buona. Perciò le leggi razziali sono stali uno degli errori più ignobili e grossolani del fascismo, che colse�ro tutti di sorpresa, furono uno shock per la gente comune, non per noi che sapevamo che il carro di Mussolini si era ormai aggancia�to a quello di Hitler». Ricordi, ricordi, che riempiono la stanza mentre la luce del sole si allontana e la signora Miti accende il paralume alle nostre spalle. Co�me l'ultimo inconlro con Leone Ginzburg. «Era l'estate dei 45 giorni, fra la caduta del fascismo e l'S settem�bre, nei giardino in fondo a corso Matteotti che era l'abitazione di Luigi Einaudi e dove aveva sede provvisoria la casa editrice del figlio Giulio. Fu un bellissimo collo�quio». Di che parlaste? «Di noi, delle nostre ambizioni, del nostro futuro. Ginzburg mi incitò a perseverare nella mia pas�sione recondita per la storia, che non avevo potuto seguire perché non volevo prendere la tessera del partilo fascista. Ecco la ragione per cui entrai in magistratura, dove la tessera non era obbligato�ria. Io non l'ho mai avuta, anclie se un collega giudice, per farmi piace�re, diede il mio nome, ma io non firmai mai nulla». Ricorda e ualche parola o sensa�zione di que colloquio? «Leone mi parlava delle sue speranze. Aveva fondalo a Roma una rivista. Mi parlava con quella mitezza che si accompagnava alla sua inflessibilità. Vedrai, Sandro, che le cose cambieranno. Non l'ho più rivisto». Il silenzio che segue è rotto da Miti: «Sapete cosa vi dico? Che quando si è verso la fine, ti accorgi che il senso della vita è la fortuna di aver fallo buoni incontri». «Ho molta stima di Angelo D'Orsi: è uno storico serio, capace di un lavoro in profondità. Ma è di un 'altra generazione e non ha vissuto il clima di allora» «Ho conosciuto Benedetto Croce da studente. Mi esortava a scrivere: anche commentando il Petrarca si può fare opposizione» Piero Gobetti: «Era un nome die aggregava II piccolo mondo antifascista. Avevamo il culto di lui» Leone Ginzburg: «Era una nobile figura nella Torino che lottava contro il regime» Vittorio Foa: «Primeggiava tra gli oppositori, ti accendeva come Mazzini quando fondò la Giovine Italia» Alessandro Galante Garrone, 90 anni. Ha militato In Giustizia e Libertà fin dagli Anni Trenta. In alto a sinistra la moglie Miti