Gerusalemme, la separazione necessaria di Igor Man

Gerusalemme, la separazione necessaria Gli «opposti estremismi» hanno finora rallentato il processo di pace appoggiato da Barak e da Arafat Gerusalemme, la separazione necessaria Igor Man MEDIO Oriente: presen�te ingrato futuro più che mai incerto. La disperazione ha fatto della giornata in cui i palestinesi ricordano, con dolore, con rabbia, la Nabqa (catastrofe), la giornata della morte. Una volta la Nabqa esaltava la sciagura dei palestinesi fuggi�ti dalle loro case dopo la sconfitta di cinque potenti paesi arabi di fronte a(pli scam�pati all'Olocausto. Giacché a perdere la prima guerra araboisraeliana non furono i palesti�nesi ma coloro ai quali essi avevano «delegato» la difesa dei propri villaggi, della pro�pria identità: gli eserciti ara�bi, appunto. La stragrande maggioranza dei palestinesi sub�quella guerra che doveva portare al trionfo del piccolo, raffazzonato epperò miracolo�samente motivato esercito israeliano, la sub�e ne scontò le conseguenze. Grazie all'one�stà degli storici ebrei (israelia�ni e della diaspora) sappiamo che i palestinesi non fuggiro�no abbandonando ogni cosa incitati dalla propaganda ara�ba bens�perché incalzati dal vincitore ma soprattutto ter�rorizzati da episodi come l'ignobile strage di Deir Yassim (che la stessa Agenzia Ebraica condannò con sde�gno). La catastrofe compren�de, ovviamente, la nascita dello Stalo di Israele, e, o^gi, cumula alla prima sconfitta l'ultima più che mai catastro�fica: quella del giugno del 19G7, quando gli ehrei torna�rono a Gerusalemme dopo duemila anni, issando su Al Ouds, la santa città cara ai musulmani tutti, la bandiera di David. La sanguinosa ricorrenza della Nabqa non ha tuttavia bloccato il (faticoso) processo di pace. Apparentemente, al�meno. All'americano Ross che fa la spola tra Barak e Arafat, il vecchio Abu Ammar ha dello: «Non abbandoneremo la decisione presa in Algeri nel lontano 1988: trattare con Israele una pace giusta». Lo stesso impegno e stato ricon�fermato da Barak. E qui va detto che se dipendesse da loro due, dal vecchio fedayn e dall'ex commando, la pace sarebbe oramai dietro l'ango�lo. Gli «opposti estremismi» hanno finora impedito questo evento tanto sospirato. Certa�mente la politica erratica di Netanyahu e l'assassinio di Rabin sono i picchi delle mon�tagne di nefandezze che han prolungalo nel tempo una trat�tativa partita bene, nel segno della trasparenza e con il coinvolgimenlo del presiden�te Clinton. Ma c'è di più. Nel diluirsi degli anni il problema dei coloni che già un uomosimbolo qual era Rabin stenta�va a maneggiare, s'è ingiganti�to e riesce difficile immagina�re che Barak (bravo soldato ma non eroe nazionale) possa risolverlo come vorrebbero quei palestinesi (per altro be�nemeriti protagonisti della Conferenza di Madrid) che considerano un tradimento ri�nunciare a Gerusalemme capi�tale dello Stato palestinese e perciò accusano A-rafat di «svendere la patria». Conside�rando, i palestinesi frondisti, una bestemmia storica rasse�gnarsi a far del minuscolo sobborgo di Abu Dis la «Geru�salemme» del futuro Stato palestinese, propongono uno Stato binazionale in Palestina con eguali diritti per israelia�ni e arabi e la stessa capitale: Gerusalemme. E' la controver�sa tesi da tempo elaborata dal grande orientalista, palestine�se residente negli SU, Edward Said (cfr. La convivenza ne�cessaria, ed. Internazionale, Roma) e non sgradita a buona parte di quei cittadini di se�conda classe che, in fatto, sono gli arabi israeliani. Con tutto il rispetto per la signora Hanan Ashrawi (validissima portavoce palestinese a Ma�drid) e per l'onesto professor Haidar Abd al Sbafi, che abil�mente guidò, allora, la delega�zione dell'Olp, pensare, oggi come oggi, a uno Stato palesti�nese con capitale Gerusa�lemme Est è lo stesso che inseguire l'utopia. Lo Stato binazionale, poi, ove mai ve�nisse, scatenerebbe fatalmen�te un feroce ammazza-ammaz�za. «E' indispensabile separar�ci, noi e i palestinesi, altrimen�ti diverremo un paese razzi�sta», ha detto luned�Barak in parlamento. Come dargli tor�to? Al «Que faire?» dei suoi più fidi collaboratori, Arafat ri�sponde come Lenin: «Occorre fare un passo indietro oggi per farne due in avanti, domani». Insomma, cercar di cavare il più possibile d'acqua dall'otre pressoché vuoto che offre Ba�rak prima di firmare un accor�do di pace che, in ogni caso, sarà un patto leonino truccato da compromesso. E aspettare che la Storia faccia il resto. Ma se anche questo risultas�se impossibile, da qui alla fine dell'anno, in questo caso la vecchia minaccia di Arafat potrebbe concretarsi: la pro�clamazione, unilaterale, dello Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est. Nella mi�gliore delle ipotesi tale gesto estremo di disperazione politi�ca azzerebbe quel poco fin'oggi realizzato. Fornendo ai colo�ni protetti da Sharon l'occasio�ne (sospirata) per fare i conti coi palestinesi E sarebbe una nuova catastrofe. Per tutti. Latitante Europa compresa. «Ilpresente è ingrato e il futuro più che mai incerto. Lo Stato binazionale ove mai venisse scatenerebbe fatalmente un feroce ammazza-ammazza» Un'immaglne degli scontri tra giovani palestinesi e esercito israealiano ieri a Betlemme