Santangelo, un groppo di vite oscurate
Santangelo, un groppo di vite oscurate Santangelo, un groppo di vite oscurate RECENSIONE Giovanni \esio QUAL è «l'occhio cieco del mon�do», a cui allude il titolo degli un�dici racconti dio compongono il libro d'esor�dio di BveUna Santange�lo, appena pubblicato da Einaudi nulla colla�na «I coralli»? Come va inlesa la proposizioni! articolata? Va sottoline�ata corno fosse un corsivo? Como lo stesso corsivo di uno doi racconti più bolli del libro, «La storia di Amelia»? Dove il «di» vale come dichiarazione di appartenenza altra, alla condizio�no «diversa» di un essere come Ame�lia o Molina, che se ne deve andare dalla «Casa Matta», dal manicomio dov'è stala una via, tra inferno o chissàdove, e che è diventala casa sua, con donlro lo sue visioni, il suo RECENGiov\e IONE nni o Nanni gigante. La sua storia, appunto. L'occhio cieco del mondo vuol l'orso diro che il mondo ci guarda con occhi di cartilagine, mostrandosi ai nostri stossi occhi con l'opaca lentezza dei ciechi bran�colanti no! buio. Como nel racconto Buon giorno, Marta, C|uello di un mondo che vorlica «a più non posso» intorno all'impacciata lentezza della passeggiata mattutina di un vecchio che non ci vedo. Uno scarto nello di percezione, una ferita aperta, entro cui si collocano un po' lutti i racconti che escludono da subilo un lettore corrivo. Diciamo pure che si tratta di racconti difficili, di ricerca rigorosa, di scrittura impervia, ma di sicura nialurità. Nulla che venga concesso all'astuzia esteriore dell'ammicco. Nel variare dei punti di vista, la prospettiva ò quella di chi guarda ad un mondo di continuo soglie e frontie�re, realtà estreme in cui più che di disagio vengono raccontate storie di vile coperte, oscurate, rimosse, nega�le. A cominciare dal primo racconto di mamma Mattia narrata dal figlio disabile u cui sta costruendo una carriola come se fosse una cattedrale del bricolage, rubando pezzo su pez�zo ai vicini inferociti. Per finire con l'ultimo che contempla lo sguardo di una donna che vive con un vecchio gallo e mille piccioni, improvvisa�mente afllìtta da un ospite tiranno annidalo «dentro il polpaccio». Pas�sando per due o tre racconti di infan�zia a suo modo esemplare, vista come luogo mentale d) sofferenza e contra�sto: dalla controvoi-sa costruzione di un castello di sabbia (e di rabbia) al sogno di un giovane esule in preda ad una fiera della nostalgia alle complici�tà segrete e iniziatiche di una combut�ta di bambini in cerca del proprio futuro. Passando, ancora, attraverso qualche altra storia di uomini o di donne in preda alle proprie fantasie o alle proprie ossessioni: la bizzarria di un vedovo che evoca la sua donna come una gigantessa baudelairiana, l'incrocio di ima madre e di una figlia che si muovono in un'equivoca almostéra alla Wenders, la fiaba diversa�mente etpivoca di un uomo solitario e di tanti libri salvali, la gita di due donne che incontrano il loro passato. Un mondo che pare mollo vicino a quello della Ortese, anche perché non è mai cos�buio da non aprirsi a fulminei barbagli di luce. E del resto basterebbe l'origine palermitana del�la Santangelo a fare da guida verso una scella stilistica che trasforma la superficie lenlicolare delle storie in spazi visionari, di scrittura enumerativa ed allusiva insieme, apparente�mente radente e di fatto continua�mente sollecitala a sconfinare in un continuo altrove, a commutarsi in metafora, non senza effetti a tratti un po' manieristici. Evelina Santangelo L'occhio cieco del mondo Finautii, pp. 146, L 18.000 RACCONTI
Persone citate: Einaudi, Evelina Santangelo, Molina, Ortese, Santangelo, Wenders
Luoghi citati: Como
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