ROSSI II mio Shakespeare è un vero bastardo

ROSSI II mio Shakespeare è un vero bastardoII mio Shakespeare è un vero bastardo INCONTRO Claudio Altarocca UN Paolo Rossi meno arruffa�to, capelli più corti, appena un'ombra di barba, occhi non più spiritati, poca poli�tica nei discorsi e tanto teatro. Non dice neanche più «cazzo» ogni due parole. Che gli è succes�so? Il Romeo and Juliet che porta per tre sere alla Fiera del Libro di Torino, da venerd�a domenica 14 maggio. Sala Gialla al Lingotto, lo prende, lo convince, è addirittura, con ironia ma non poi molta, «la sintesi suprema» di quel che ha fatto finora, e lo ha pensato lui, l'ha deciso lui, ha chiamato lui le persone con cui far compagnia e con cui ha avuto un gran sue cesso nella tournée di più di 80 repliche dopo la prima nazionale a Bagnacavallo, patria di Leo Longanesi. Un Romeo and Juliet fuori da ogni schema, che ogni sera nasce tutto diverso per�ché a recitarlo sono alcuni spettatori pescali poco prima di andare in scena fra imbaraz�zi, paure e risate. Paolo Rossi fa qui il Grande Improvvisatore; esorta e confor�ta i malcapitati sul palcoscenico, suggerisce, inquadra, legge, spie�ga. E' attore, animatore, regista. Un Rossi maieutico, che dà fondo a quanto ha imparato finora, a quasi 47 anni e con due figli, dai suoi maestri, cioè da lutti quelli con cui ha lavoralo, «Fo e Cocchi, Caprioli e Jannacci in prima li�nea». E' seduto di mattina a un tavoli�no dello Zelig, la Tortuga dei cabarettisti, il covo di Gino fr Michele e di tanti altri amici, da Aldo Giovanni e Giacomo a Alba�nese, da Riondino a Disio. Il picco�lo teatro di viale Monza 140, accanto al Naviglio Martesana, è vuoto. In un angolo due tecnici mangiano pane e mortadella, bel�la distesa a fette su un cartoccio aperto, le perle verdi dei pistacchi ben nitide. «Il mio Shakespeare è meticcio, bastardo, contaminalo a più non posso», comincia, e quindi va benissimo per uno dei due temi della Fiera del Libro (l'altro è l'editoria elettronica, multimedia�le), proprio l'ibridazione, il metic�ciato, questo andare e questo mi�schiarsi di genti dappertutto, raz�ze, lingue e culture diverse. Persi�no la compagnia è composita, c'è ungriot, un cantastorie del Sene�gal, un clown francese, un trom�bettista italo-argentino, per non parlare aggiunge di un pugliese e di un siciliano; «Una compagnia milanese doc, dunque. Stamattina ero nel metrò ed ero l'unico italia�no. E' successo che avevo bisogno di attori particolari, non professio�nisti o di un professionismo diver�so, che fossero cioè anche intratte�nitori, affabulatori, improvvisato�ri. Ero in un periodo in cui mi facevo domande molto, mollo sem�plici: cos'è l'attore? perché faccio teatro? perché la gente dovrebbe venire? Un momento di crisi d'identità, ed è più fertile mettersi allora di fronte a persone lontane, che pure sono rea tà». Persone cos�gli sono state d'aiu�to perché l'hanno costretto a parla�re un linguaggio elementare, a cercare e a trovare un fondo comune. S'è costretto a farsi un gran bucato mentale e professio�nale, ha voluto scegliere, liberarsi di «codici, che prima ti orientano e poi ti chiudono», e alla fine gli pare d'avere agguantato una sorta di grado zero del teatro, una «fe�sta» originaria, non certo una festa con tanto di protocollo, un'esibizione di vanità e di sorrìsi inamidati, ma una festa con qual�cosa di dionisiaco, di trasgressivo, di liberatorio, «un luogo dove le persone s'incontrano, si diverto�no, riflettono, litigano, ridono, cantano e s'incantano». Un teatro insomma agito dal e col pubblico, senza deleghe; «Il mio amico sene�galese m'ha detto che in Africa la gente non dice "Sono stato a tea�tro", ma "Ho fatto teatro"». E ha scelto quest'opera di Shakespeare perché, anche dopo il film Snalcespeare in love, «è conosciuta da tutti, parla ai giovani, può far dividere la sala in due fazioni, che è uno stimolo sempre buono e rappresenta la realtà italiana, e poi è scritta abbastanza bene». Intendiamoci, lui non ha inventa�to nulla, e d'altra parte «l'attore è un pirata, uno che ruba, lo stesso Shakespeare è rappresentato con un orecchino da pirata come sir Francis Drake. Io diffido di chi mi assicura una nuova Idea, mi piace di più chi mi dice "andiamo a fare una buona rapina"». Però in que�sto Itomeo and Juliet «ho progettato nuove alchimie, nuovi miscu�gli; non solo ho messo insieme attori diversi e lontani, non solo ho ribaltato il ruolo fra attori e spettatori, ho anche mischiato ge�neri teatrali: c'è il teatro delle origini e il recitare all'improvviso della commedia dell'arte, c'è il comico e il drammatico, e c'è molto dell'happening e della performance, di idee Anni 70. Se ne sono dimenticati in molti. In più ci sono alcuni elementi dell'odierna società dello spettacolo». Un Rossi calmo, cjuasi freddo, gli occhi grigi e chiari immobili, ricorda a questo punto il caro classico Erving Goffman, il canadese autore de La vita quotidiana come rappresentazio�ne (Il Mulinol, studiato a Scienze politiche a Milano («ho sostenuto 18 esami su 23»), e racconta che ormai il ruolo degli attori è espro�priato, oggi recitano tutti, in fami�glia, in ufficio, per la strada, non solo il manager che va a scuola di oratoria o il politico che paga un comico perené gli scriva delle battute: tutti fingono, indossano maschere; e paradossalmente pro�prio quando a uno gli si dà un ruolo su un palcoscenico, e fa Giulietta o Romeo, succede che butta via quelle maschere inauten�tiche e scopre qualcosa di remoto, di sepolto dentro di sé, una vitali�tà imprevista e non condizionata che gli dà gioia e un po' di coscien�za. Il problema di un Brecht e di un Living Theatre, ad esempio, dare uno schiaffo allo spettatore, svegliarlo dal torpore narcisistico, dal immedesimazione effimera con la rappresentazione, può esse�re risolto in qualche modo anche con un gesto neodada alla Cage, che trovava la musica già fatta nella vita, o alla Duchamp, che prendeva un oggetto qualsiasi e lo promuoveva al rango d'opera d'arte. Uno spettatore è lì, è un attore in potenza bell'e pronto: «11 pub�blico si diverte, fa, va di qui e di là come in un cd-rom secondo una logica non lineare ma ricca di impulsi e di bisogni». Questo cercare, questa crisi che l'ha portalo a fare un Romeo and Juliet così, Paolo Rossi l'ha avuta l'anno scorso in ospedale, al San Raffaele, condottovi da «un virus rarissimo, una specie di cartone animalo». Il virus non si trovava. «Ero insoddisfatto di me, della mia professione, e la mia vita personale era pure measinata». Stava cambiando compagna e diceva addio alla casa con le locandine dei suoi spettacoli lun�go le scale e il tavolano da salotto ricavato da un vecchio flipper. Un periodacelo. Aveva un'influenza che andava e veniva, non si cura�va. Finché un giorno comincia a veder doppio dall'occhio sinistro e a non governare più bene le gam�be, sbandava, rischiava sempre di cadere. «I medici all'ospedale co�minciano un torneo a eliminazio�ne. E' un tumore? No. E' l'Aids? No. E' una sclerosi? No. Alla fine rintracciano un virus scoperto da Miller SFischer, che sembrano un duo folk, una specie di Simon 6Garfunkel della medicina. Questo virus prende le caratteristiche, le sembianze di parti del sistema nervoso, produce la sua malattia e ne va, ma i tuoi anticorpi non lo nno che se n'è andato, e cosi artellano i punti in cui il virus fatto la pantomima finché non ne accorgono, che non c'è più, e si fermano. Finito. E passato tto, come un raffreddore. Una alattia che si cura da se. autoli�itante. E il vinis non dovrebbe i�tornare. Sperém», Un virus rlone, un virus-Zelig. Paolo Rossi non ha finito, ma ve andare, deve registrare uno ot. Torna il pomeriggio del gior� dopo sempre allo Zelig, ma avolta ci sono le riprese della asmissione su Italia 1 il giovedì, ssa Natasha Stefanenko altissi�a e bellissima nel suo vocione, e olo Rossi non la guarda nemme�. Si finisce in strada, a parlare u e giù fra le stazioni di Turro e Goria del metrò linea rossa, sotto la pioggia. Ma solo per pochi minuti, perché Paolo ha un altro impegno. Tira su il cappuccio dell'eskimo verdino, quasi un'anti�ca divisa da Movimento: «Ma non sono il simbolo di nulla, neanche di un teatro da Centri sociali. Li ho attraversati, ecco lutto, come gli alberghi a cinque stelle". 11 suo esser di sinistra è nato per caso, anche se trovava naturale «prote�stare contro un autoritarismo stu�pido e contro una scuola selettiva verso i più poveri». Successe per�ché in prima A dell'istiiuto tecni�co chimico a Ferrara un giorno arrivarono quelli di quinta a urla�re «tutti fuori, si occupa» e lui, che era nei primi banchi perché «mai stato allo, uno e scssantuno al massimo», si alza ed esce, ma poi s'accorge che era solo, nessuno l'aveva seguito, e ormai non pote�va più tornare indietro. Il giorno dopo faceva la vedetta, doveva avvertire se arrivava la Celere, e infatti la Celere arriva, lui corre dentro ma un signore «che ora avrà fatto carriera nella sinistra» gli intima di mettersi in lista per parlare, era il settimo, e quando stava parlando il quarto irrompo�no i poliziotti che arrestano tutti tranne lui, perché aveva i calzoni corti. «Ma va' a casa, tu*, gli dissero. Cominciò allora «l'ingranaggio dell'extraparlamentare, ed extra�parlamentare lo sono tuttora, non voto da otto anni. Sono anarchico, ma l'anarchia è una filosofia che esige responsabilità e disciplina, come la libertà, e come l'improvvi�sazione a teatro». Sotto la pioggia e fra molte persone. Paolo Rossi cammina in modo curioso, con il baricentro arretrato e i piedi butta�ti con lo punte all'esierno. A un tratto si ferma, guarda le pozzan�ghere e dice: «Una buona causa con cattive conseguenze. Abbia�mo massacrato sentimenti e perso�ne». Lui è di sinistra, ma a sua famiglia è di destra, suo padre Nello, che lavorava alla Solvay, ha scritto una storia, la sua. di quan�do un professorone disse «armia�moci e partite», a lui, il babbo, parti in guèrra e si fece il lager nell'ex Jugoslavia, e quando tor�nò, uno dei pochi, trovò il professo�rone che sfilava nei cortei del primo maggio. «Il modo di essere di destra cu mio padre adesso l'ho capito. Ho rispetto per lui. Non mi ha mai condizionato. L'averlo co�me ritrovato mi dà forza, retroter�ra, profondità. Ho sempre la voca�zione del precario, dello zingaro, ho abitato nelle Milano più diver�se, da quella sottoproletaria a quella borghese, ma ora...». Smette. Se ne va. Toma il giorno dopo, stavolta in un bar. il Traffic Lights, sempre su viale Monza non lontano dallo Zelig. Ordina due gin-tonic quasi di se�guito in pochi minuti. Riprende; «Tutto, è venuto su tutto, nei quaranta giomi all'ospe�dale. Si.ivo da solo, volevo stare il.i solo, come un animale II virus è venuto per accumulo di stress. sono stati veni anni di stress. A Romeo and Juliet sono arrivato perché avevo I esigenza di rìsillaban tii ricominciarti a saperi'. Ho fatto qualcosa che non volevo fimzionasse a scatola chiusa. De�vo fare quel che so fare, mi sono detto: ho come un bambino dentrodi me;ho già avuto abbastanz i segni dal mio destino per capire che sono un outsider Certo avevo il consenso, prima politici; e poi teli visivo ma mai totale II con�senso, il sin cesso, è t.iiso, è un illu�sione. 'Perché ne ho bisogno? Chicosa mi è mancato? i l Mino le vere domanda che mi ponevo 11 consenso me lo dovevo lare io Per questo ho fatto Romeo .mi! Juliet. che è un gioco, ma un gioco serio, un rimettermi in gioco 'In verità tutto non i uient altro che un gioco" e il finale de ll mondo salvato dai ivgazzini di Lisa Mo�rante, E Sjiot .nulo'. dico agli spettatori-atton che chiamo sul palcoscenico . Stefano Benni mi na mandato il suo ultimo libro con la dedica A Paolo due. ora che i diavoli non lo governano più ma è lui che domina loro". Dal diavolo, dalla dispersione, al de�moni', il mio compagno da prima della nascita. Mi sono scelto io ani he uno padre, i miei genitori. Ho letto James Hillman, anche il suo II codice dell'anima, e fre�quento uno psicoanalista junghia�no.., Sono a meta della ricerca, del bucato. Ma sono cambiato, ritro�vando una nuova cattiveria. Gra�zie agli altri, ai diversi, ai lontani, al mischiare-imbastardire-meiicciare che ho sempre fatto, lo stesso sono nato a Monfalcone, e i monfalconesi li chiamano bisiacchi. che forse vuol dire uomini in fuga, profughi, lo mi sento in fuga, non so da dove, ma l'importante è essere veloci. E mio nonno era di Corieone. mia nonna di Rjeka, Fiume. E ora sono molto innamo�rato di una ragazza di 28 anni. un'eritrea bellissima, dal nome che significa Speranza, e mi piace�rebbe molto avere un figlio con lei». L'attore racconta il suo «Romeo and Juliet», in scena al Lingotto venerdì, sabato e domenica, uno spettacolo che ogni sera nasce diverso perché a recitarlo sono anche gli spettatori, con un cantastorie del Senegal, uh clown francese, un trombettista italo-argentino: «Ho progettato nuove alchimie di comico e drammatico, happening e performance, per una festa dionisiaca, liberatoria, trasgressiva» «Sono guarito da un virus Zelig, frequento uno psicanalista, amo un'eritrea: il suo nome vuo dire Speranza, vorrei un fiqlio» Tre serate con Paolo Rossi e il suo spettacolo tratto dalla commedia di William Shakespeare iiRomeo and Juliet» Venerd�12. sabato 13, domenica 14 alle ore 21 presso la Sala Gialla della Fiera. I tagliandi gratuiti por accedervi sono in distribuzione presso lo stand Citta di Tonno, al Lingotto Ideazione e regia del "doluto organizzato", in anteprima, di Paolo Rossi con Riccardo Ptferi. Scene e costumi di Elisabetta Gabbioneta. Disegno luci Aldo Solbiati. Interpreti; Giovanni Cacioppo, Emanuele ciell'Aquila, Gerard Estreme, Modou Gueye, Pepe Ragonese. A cura dell'associazione culturale Hiroshima Mon Amour, Citta di Torino e Regione Piemonte.ROSSI el Senegal, uh clown francese, un trombettista italo-argentino: ve alchimie di comico e drammatico, happening una festa dionisiaca, liberatoria, trasgressiva» ttL, tuttoLibritempoLibero 7 Tre serate con Paolo Rossi e il suo spettacolo tratto dalla commedia di William Shakespeare iiRomeo and Juliet» Venerd�12. sabato 13, domenica 14 alle ore 21 presso la Sala Gialla della Fiera. I tagliandi gratuiti por accedervi sono in distribuzione presso lo stand Citta di Tonno, al Lingotto Ideazione e regia del "doluto organizzato", in anteprima, di Paolo Rossi con Riccardo Ptferi. Scene e costumi di Elisabetta Gabbioneta. Disegno luci Aldo Solbiati. Interpreti; Giovanni Cacioppo, Emanuele ciell'Aquila, Gerard Estreme, Modou Gueye, Pepe Ragonese. A cura dell'associazione culturale Hiroshima Mon Amour, Citta di Torino e Regione Piemonte.ROSSI ne va, ma i tuoi anticorpi non lo nno che se n'è andato, e cosi artellano i punti in cui il virus fatto la pantomima finché non ne accorgono, che non c'è più, e si fermano. Finito. E passato tto, come un raffreddore. Una alattia che si cura da se. autoli�itante E il vinis non dovrebbe Un bardo meticcio, contaminato Riprende; «Tutto, è venuto su tutto, nei quaranta giomi all'ospe�dale. Si.ivo da solo, volevo stare il.i solo, come un animale II virus è venuto per accumulo di stress. sono stati veni anni di stress. A Romeo and Juliet sono arrivato perché avevo I esigenza di rìsillaban tii ricominciarti a saperi' Ho Un bardo meticcio, contaminato a più non posso, ricordando Bertolt Brecht e il Living Theatre