IL MAGICO TOCCO DEI PIANISTI GRANDI di Giorgio Pestelli
IL MAGICO TOCCO DEI PIANISTI GRANDI MIMO, CONCEimAZIONE DI SUPERBI ARTISTI IL MAGICO TOCCO DEI PIANISTI GRANDI Giorgio Pestelli LA concentrazione di illustri pianisti (Pollini, che l'altra sera ha suonato Chopin, Schonberg e Boulez ed al quale seguiranno Askenazi, Perahia) convocali a Milano dalla Società del Quartetto e dalla Scala attira nuova attenzione su questa figura intramontabile della vita musica�le moderna. Il (o la) grande piani�sta continua a mantenere il suo primato, e se il famoso tenore o soprano lo supera in popolarità o numero di adoratori, i pianista può sempre rifarsi con la qualità più raffinata e musicale dei suoi adepti. Il pianista solista è invidia�bile; ha un repertorio infinito (anche se ne approfitta poco), non dipende da nessuno, può «prova�re» a casa sua, può cambiare programmi all'ultimo minuto, non ha bisogno di tirarsi dietro il suo strumento. A parità di fama con altri musicisti, il pianista è l'unico che oggi può permettersi di non rivelare quali musiche suonerà; anzi, è chiaro che la scritta «il programma sarà comu�nicalo più tardi» sotto il nome del solista, equivale a un nastrino nobiliare, al segno convenuto di una promozione nell'empireo. Paragonando i grandi pianisti nati alla fine dell'Ottocento con quelli di oggi, non so riscontrare profonde rivoluzioni del gusto e del repertorio: il puro virtuoso, il funambolo della tastiera era già sparito da un pezzo. Piuttosto, una differenza potrebbe essere questa: Cortot, Backhaus, Gieseking, Fischer, Rubinstein, ecc., con una generica idea di fedeltà al testo, senza grilli di edizioni origi�nali o critiche, suonavano lutti con stili esecutivi diversissimi e inconfondibili; mondi imparago�nabili sono stati anche i più giova�ni, come Arturo Benedetti Miche�langeli, Clifford Curzon, Sviatoslav Richter (l'Horowitz degli anni d'oro e Glenn Gould li avremmo sentiti solo in dischi). Probabilmente era una questio�ne di tocco: è il tocco, la qualità e quantità della pressione sul tasto, il rivelatore più fedele o immedia�to della sensibilità: dimmi come tocchi e ti dirò chi sei. Ora qualco�sa del disprezzo nutrito dai compo�sitori moderni per il tocco è passa�to anche negli esecutori (specie nel ventennio 1960-80, oggi assai meno) che curando di più altri elementi isolati, chiarezza, costan�za ritmica, rapporti timbrici, sono diventati non dico meno personaU o addirittura meno bravi, ma me�no riconoscibili. Bravissimi sono infatti i grandi pianisti di oggi; ma sono poco curiosi, e spesso si rimpiange Niki�ta Magaloff per la vastità del repertorio e per gli accostamenti. Ora che Domenico Scarlatti è tor�nato sul pianoforte, speriamo se�gua il Bach di Parlile e Suites; con Perahia è rispuntato Haendel; le sonate di Mozart e Haydn sono sempre poche, e più nessuna, incredibile, di Clementi; perfino di Beethoven, alcune sonate mera�vigliose come le op. 22, 28, 31 n. 1, 78 non c'è verso di sentirle se non negli uggiosi cicli completi, dove passano inosservate. L'Ottocento tedesco giustamente domina, ma con la lacuna di Weber (che piace�va tanto a Dino Ciani, scomparso cos�presto); vuoti enormi invece in Russia e in Francia: tace Franck e quasi sparili, se non aiuta Aldo Ciccolini, Saint-Saèns, Chabrier, Fauré. Nel Novecento, era fatale, il pianoforte ha detto meno ai com�positori; alfiere di una continuità da Beethoven a Bartok, Schoenberg e Boulez è Maurizio Pollini con i suoi coraggiosi programmi; ma Busoni, Hindemith, Szymanowski. Casella, Poulenc, Falla e tanti altri hanno scritto pagine che vorremmo proprio sentire dai pianisti più bravi.
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