Il Casanova di Màrai tradito dalla Serenissima

Il Casanova di Màrai tradito dalla Serenissima Il Casanova di Màrai tradito dalla Serenissima i li parole posseggono una forza magnetica, riescono a illuminaL— re il presenti; e il passalo... la scrittura e la forza più grande che esista... più del l'apa, del re, del doge.... le lettere possono condurci dalla terra in paradiso». A pronun�ciare questo inno alla parola e alla scrittura è un Casanova affaticato, quarantenne, dal naso grosso, qual�che dente in menu, gli altri cariali, bronchi malandati, digestione fati�cosa, stomaco prominente; insom�ma ramante girovago in declino fisico e morale, dopo la fuga dai Piombi, la prigione di Venezia che gli ha «rubato 488 giorni della sua vita». Vanitoso, fanfarone, un po' vigliacco, con qualche malinconia e timori della giovinezza al tramon�to, n tuttavia uomo pronto all'av�ventura, il quale peraltro si sente «scrittore)), mestiere sublime pur nelle multiformi facce, compresa quella sdentala di Voltaire, che lo induce a destinare frasi comò: «l tuoi occhi hanno il colore delle cose elenie» alla sei-vetta Teresa. Il magiaro Srmdor M;irai in que�sto libro conturbante e seducente affida i suoi pensieri, le nostalgie di esule, lo sgomento dei suoi slessi 40 anni, lo sconforto della vittima a un Giacomo Casanova (ammette una vaga somiglianza) furibondo contro la sua Venezia che comunque ama ineluttabilmente, in fuga dalla Sere�nissima e da se slesso, mentre con il frate degenere Balbi SÌ avvia verso Monaco, sporco, in panni logori, lui aduso a rifulgere nelle corti d'Euro�pa per fascino e seduzione. Il caso e la fatica In conducono alla Locanda del Cervo a Bolzano, dopo un sonni) ristoratore, rinnova usi e costumi da liber�tino, giocatore incalli�to, pronto a ogni sfida, contro la virtù e la morale. Il racconto mano a mano assume un rit�mo avvincente, coin�volgente travolgente, con pause e lenti monologhi da tragedia, episo�di spassosi da commedia dell'Arte, e il gusto della suspense che già in «Braci» offri provo magistrali di suggestione. Pubblicata a Budapest nellMO questa «recita» appare in Italia por la traduzione di Marinella D'Alessandro e trova la sua forza tragica nel confronto fra due esseri, toma caro a Màrai, nell'esplorazio�ne e rivelazioni folgoranti di verità fatali che talora si rivelano fatue, RECENFioMine diverse comunque dalla realtà e immaginazione. Il vecchio Duca di l'arma, cugino del re di Francia, marito della giovano Francesca che Casanova pare aver scordalo (|)er lei un tempo si balte in un infausto lineilo), sale le scale angusto della Locanda, affetto da gotta e da ac�ciacchi, per riavere la «pura» Fran�cesca, fiore di sona, liberandola dal fantasma di Giacomo. L'anziano gentiluomo, con lodi al poeta vaga�bondo, minacce palesi, offese all'uo�mo in declino, offerto di sommo siderali, oltre che d'una lotterà per il cugino a Versailles, persuada il IONE la ino libertino a compiere un'opera d'arte alla sua maniera: quella notte durante il ballo in maschera, offrirà il ca�polavoro delle sue arti amatorie a Francesca, per poi deluderla, scom�parire la mattina, la�sciando tornare al palazzo, a testa alla, la giovane ormai guarita. ProjHista sbalorditiva d'un marito pros�simo alla morte che per convincere l'avversario, cita Danto e Ovidio, Leonardo e Michelangelo, insinuan�do che «l'artista è in grado di far esplodere le leggi del le.mpo e dello spazio». Silenzioso, con la mente affollala da ombre di ombre, a tratti altezzoso, Giacomo accetta recita e patto. Ogni recita che si risibili, dramma o commedia, specie nell'aura veneziana comporta la maschera, specie por chi predilige il Simliolismo, ammira Kliml, la Secessione, Schnilzlor. Màrai ne fa un uso magistrale nei divorai significati: conferisco sogrolozza, dona corag�gio, consente l'inversione dei moli, induco a svelare verità inafferrabili e scabroso. Cosi il duca infilerà una tosta d'asino per non venir ricono�sciuto, Giacomo indossa le vesti di 'l'erosa por sembrare una sguattera e avviarsi al compito. D'improvvi�so, ecco comparire un giovanotto in abiti di gala, spadino d'oro e tricor�no, è Francesca che gli confessa amore, sofferenze e afferma di esse�re la vita, cioè la pienezza da cui poi scaturisce l'armonia. Gli rimprove�ra la mancanza del coraggio di amare, cho invece lei rivela nei panni del maschio, enumera gli uomini con i quali ha sostituito l'ombra di lui; sa di essere stala venduta al marito, sicché afferma che la vendetta, come l'amore e tutti i sentimenti veri, è etema. Scaduto il tempo della notte, senza «conoscersi» secondo la Bibbia, Francesca lo lascia cosi: «la recita è finita, torniamo alla nostra vita, sbarazziamoci d�maschero e trave�stimenti»; e con la richiesta d'una lettera. Nella stanza fredda, con le braci accese e il fuoco nel cuore, un fragile, esangue Giacomo ordina al frate di preparare tutto per partire, senza ricompense, dettando una lettera per il Duca che termina con un accorato: «Soltanto te, per sem�pre» da riferire in fin d�vita a Francesca. E' un mondo insidiato e squassa�to da crisi, esilio interiore, perdita del centro, conflitti irrisolti, ma non un inferno privo di riscatto. Màrai pare non offrire un messag�gio di disperazione e declino fatale, nella scoperta dell'unico amore nol�la carriera del libertino. Ma la recita continua: d'un tratto Bardi, mentre trascrive la frase solenne, scoppia in una risata a gola spiega�ta. Una vera beltà, come la vita, come i sentimenti, come i valori. Forse per questo Sàndor Màrai preferì, sotto il sole della California nel 1989, tirarsi un colpo di revol�ver alla nuca. Solo dopo aver meti�colosamente annotato l'acquisto della pistola. Scrittore sino in fon�do, prima la parola scritta, poi l'azione. «LA RECITA DI BOLZANO»: LO SCRITTORE MAGIARO NARRA L'UNICO AMORE NELLA CARRIERA DEL UBERTINO, UNA STORIA GIOCATA SUI REGISTRI DEL MELODRAMMA E DELL'OPERA BUFFA RECENSIONE Fiorella Minervino Un'opera conturbante: l'amante girovago in declino fisico e morale, dopo la fuga dai Piombi, la prigione di Venezia che gli ha «rubato 488 giorni della sua vita» Sàndor Maral racconta nella «Recita di Bolzano» (un romanzo edito a Budapest nel 1940) un'avventura ispirata a Casanova, dopo la sua fuga dalla prigione dei Piombi Sàndor M.ir.n La recita di Bolzano traduzione di Marinella d'Alessandro. Adelphi, pp 260, L. 28.000 ROMANZO

Persone citate: Balbi, Casanova, Danto, Giacomo Casanova, Maral, Marinella D'alessandro, Minervino