ADDIO BARTALI di Pierangelo Sapegno

ADDIO BARTALI ADDIO BARTALI Con lui VItalia ha scalato UDopoguerra Pierangelo Sapegno inviato a FIRENZE E' morto qui, Gino Bartali. E' andato via in pace, come capita a quelli che hanno preso il loro tempo per fare tutto quello che dovevano fare. Gino Bartali l'ha fatto. Ha passato una vita in bicicletta e quando ha potuto è andato più forte degli altri: ha vinto. E' invecchiato restando quello che era. Alla fine è morto qui, casette a due piani, color�chiarì, le altalene nei cortili, le campane a morto, un po' d�gente che slambaal numero 7 davanti a casa sua, la chiesetta dove oggi verranno in processione a salutar�lo, Firenze Sud, i. vecchi sulle panchine, gli alberi sul viale. Ave�va 86 anni. Era un uomo semplice che ha vissuto imprese leggenda�rie, perché Gino Bartah sembrava figlio di ima parabola del Vange�lo: quella dei talenti. Ha dimostra�to che basta non sprecarne uno per entrare nella storia della gen�te. Lui sapeva solo scalare le salite per farc�felici. E' morto qui, e la moglie Adriana non smette di piangere. Il figlio Luigi, due baffi a manubrio e gli occhialetti, ripete che «se n'è andato sereno alle 14 in punto. Da un po' di tempo aveva meno forze e meno voglia. E' sempre rimasto tranquillo. Lo tenevo fra le mie braccia». Le ultime parole? «Nien�te. E' stato un secondo. Non credo che se ne sia accorto». E' morto qui, e fa un po' strano perché ci sono i bambini che corrono nel cortile e giocano a jalla, e le mamme che guardano a sera che è già venuta, come nei giomi qualsiasi della vita. Le lacri�me saranno anche dolci, non de�v'essere un giomo poi tanto stra�no: Bartali è tornato a correre con Coppi sulle salite del Paradiso. «Gli ho dato l'estrema unzione dieci giomi fa», dice don Everardo Dini. «Negli ultimi tempi parla�va a fatica. Non usciva più d�casa dal 18 luglio dell'anno scorso, quando organizzarono la festa perché aveva compiuto 85 anni. La sera che gli ho dato i sacramen�ti era cosciente». A dicembre e settembre aveva subito due attacchi di cuore. Si era ripreso abbastanza bene. Lo curava il professor Marchi: «Non si lamentava mai. Gli piaceva parlare del museo che gli stanno facendo. Poi, gli piaceva parlare dei campioni. E vedere le corse lo metteva di buon umore». Aspetta�va il Giro, rincuorava Pantani nelle sue ultime uscite: «Non deve abbattersi». E' morto qui, questa casa con le persiane verdi aperte e le finestre con le tendine al secondo piano, qui dove comin�ciano già a commemorarlo. Il suo vocione, «quel naso tri�ste come una salita»: Paolo Conte lo cantava così. Chi non può venire lo saluta da lontano. Piovo�no fax, messaggi, telegrammi, te�lefonate. Alfredo Martini: «Era l'unico legame rimasto con il cicli�smo etico di una volta. L'ultima volta mi disse che la borraccia ;liela dette lu�a Coppi, quella jorraccia che passava di mano e non si seppe mai da chi a chi, immortalata da una foto storica. Disse: Coppi non mi dava mai nulla». E Fiorenzo Magni: «Lo chiamavamo uomo d'acciaio. Non sentiva il freddo, il caldo. Era burbero e dolcissimo. Aveva una grande fede. Il suo difetto più grosso? Un brontolone, non gli andava mai bene niente. D suo pregio più importante? La lezione che ci ha dato, a tutti, anche a me. Per arrivare ai traguardi bisogna soffrire, ci insegnava: non devi pensare a oggi, ma a quello che potrai fare tra una settimana». Oggi verranno a dargli l'ultimo saluto: dalle 18,30 la salma sarà esposta nella Chiesa di San Pietro in Palco, in questo quartierino di succinte pretese e minima vitali�tà. Un minuto di silenzio su tutti i campi di tutto lo sport italiano: l'ha deciso il Coni. Lunedi, faran�no i funerali in forma privata. Oggi, sono già passati Andrea Bresci dell'associazione Amici Museo del Ciclismo, e Marcello Ciolli, un suo vecchio gregario. Un altro gregario gli ha telefonato dal Messico, Luigi Cascia. Come hai fatto a saperlo?, gli hanno chiesto. «Qui lo sanno già tutti», ha rispo�sto. Piangono tutti in silenzio, come quando muore un grande patriarca. Parlano a voce bassa, con rispetto. «Non ha sofferto», spiega Luigi, il figlio. Giusto. E' morto senza fatica: ci sono delle volte che il cielo legge la nostra vita. Almeno questo glielo dove�va, a uno che a ve va saputo vince�re facendo deDa fatica una gioia. j Questa è la più celebre fotografia di Gino Bartali con Fausto Coppi Venne scattata da Duilio Chiaradia, che era l'occhio viaggiante del ciclismo, e fu pubblicata la prima volta fra lo stupore di bartaliani e coppiani il 10 luglio del 1952 sull'Inserto settimanale della •■Gazzetta dello Sport". Si riferiva al Tour di quell'anno, per l'esattezza alla tappa Bourg d'Oisans-Sestnere La dura salita era quella del Galibier A Ginettaccio non è mai mancata l'ironia: nel 1992 fu anche ospite di «Striscia la notizia» Nella foto ecco Bartali con l'ideatore Antonio Ricci e il conduttore Sergio Vastano

Luoghi citati: Firenze, Ginettaccio, Messico