« La sfortuna dì chiamarsi iuscetta » di Francesco La Licata

« La sfortuna d�chiamarsi iuscetta » « La sfortuna di chiamarsi Buscetta » Il nipote del pentito: quella parentela mi ha fatto fallire la storia Francesco La Licata invialo a PALERMO OlJIìSTA e la storia di un Imprenditore andato in ro�vina pur la «semplice col�pa» di esser nato in Sicilia, paren�ti; di uno doi cognomi (Buscetta il pentito) più scomodi del mondo e costretto ad operare in un maro di burocrazia ottusa o Ionia. Si chiama Giovanni Busetta ironia (lolla sorto, tra il suo cognome e quello dolio zio scomodo c'o di mezzo solo una «e» di mono ed o figlio di Soral'ina Huscotta, sorel�la dell'ex boss morto qualche settimana fa dopo avor scolto la via dolla collaborazione con lo Stato. Ha 42 anni, Giovanni, di mestiere decoratore di porcella�ne. Attività orodilata dal padre o difesa coi denti, anche contro la malasorte. Una malasorte elio arrivò il 7 dicombrodol 1984, vigÓia dell'Im�macolata, quando la mafia gli ucciso il padro, Pietro Busetta, maestro decoratore. JJpn era del giro, l'uomo abbattuto come un vitello quella sera che «apriva» i festeggiamenti del Natale sicilia�no. Era un onesto imprenditore «con una mentalità nordica», di�ce Giovanni. Era riuscito ad allar�garsi fino a conquistare la posizio�no di «artigiano «industrialkisalo». Aveva investito tutta la'sua vita in quell'azienda: la «Dap» di Baghoria. L'uccisero por vendetta tra�sversale nei confronti del cogna�to. La moglie, Sorafina, quasi impazzi per il dolore, fino a «maledire» pubblicamente il fra�tello Masino. Un anatema che il pentito non è mai riuscito a cacciare dalla mente e che si è portato nella tomba come peso di una memoria troppo ingombran�te. «Avevo 2G anni e due figli dico ora Giovanni Busetta quan�do conobbi il volto di quella mafia che mia madre ci aveva tenuto volato per tanti anni, for�se proprio per proteggerci». Si chiedeva, il giovano completa�mente estraneo alle logiche ma�fiose, il perchè di quella malasor�te. Poteva accollare l'idea di esse�re «sacrificalo» solo per il fallo di aver uno zio come Buscella? «Mia madre è siala un carattere forte. Ci siamo raccolti ed abbia�mo deciso di andare avanti, soprattutto por non lasciar cadere' il progetto di mio padre;, che era quello di creare una vera e pro�pria azienda». Lo Stalo? «Si è fallo avanti. Ci hanno proposto il programma di protezione, ci han�no offerto a me e allo mio tre sorelle un posto di lavoro alla Regione. A me viene poriodicamenle proposto (fino al '90 quan�do fu ucciso mio cugino Domonicol di lasciare la Sicilia, in cambio di un oscuro e incerte aiuto dello Stato, lo il posto fisso l'ho rifiuta�lo, due delle mie sorelle l'hanno accettato. Io ero il. maschio e sentivo il dovere di continuare l'attività di mio padre, altrimenti porchè-'Sin da piccolo'avroi maisposo le giornate a "rubargli" 1 arto di decorare?». Aveva fatto male i conti, il signor Busetta. L'azienda, infat�ti, non avrebbe rollo all'impatto col messaggio mafioso insilo nell'omicidio del padre. La «Dap» non fu più mollo frequentala dai clienti di una volta. «Ho vissuto scortalo per olio anni, senza riuscire neppure ari accompagna�re a scuola i miei duo figli per il timori; di farmi vedere in perico�lai Ohi volete vanisse in fabbrica, col timore di un attentato? Si, ho sofferto l'isolamento, ma di que�sto non mi sento di fare colpa a nessuno. Capisco perfettamente la paura della gonio, comprendo il loro atteggiamento. Sa cosa accadeva? Che nel mio condomi�nio nessuno prendeva l'ascenso�re insieme a me, temendo che potesgv ripianerò vittima di un attentato». Ovvifmenie l'isolametìto, ne�gli affari, porta al fallimento. «Ma io -■insiste Giovanai1*-'hotrascorso la mia vita prqprj^nel. tentativo di scongiurare il^pUi-' mento, per ncr. tradire l^memo-' ria di mio padre. Ho insistito, nel disinteresso generale. Forse se avessi accettalo il posto fisso sarei slato meglio. Ciò che mi colpisce è l'incompronsione delle istituzioni verso un alloggiamen�to diverso dallo standard. Sicco�me, invece del posto alla Regione, ho chiesto aiuto per non far morire la mia azienda, nessuno riesee-a. trovare la leg^e-giusta--, per aiutamjj, Cosa ho chiesto? Un prestilo] una fidcjussioribppe'r ri�partire. Le potenzialità c#Boao,4a mia impresa nà una stona; Via un mercato soprattutto fuori dalla Sicilia. Ma non c'è stato verso». Nessuno l'ha mai aiutata? Gio�vanni Busetta, che trasmette sen�sazioni lontane anni luce da quel�le della mafia, chiama a testimo�ne la moglie, una donna che gli sta accanto da quando erano entrambi poco più che ragazzini. «Guardi, non riuscivo a trovare il modo per vendere i locali dello stabilimento, condizione necessa�ria per pagare i debiti e non fallire. Nessuno si è presentato mai alle agenzie incaricale di vendere la palazzina di via Federi�co II. Dopo un po' mi restituivano l'incarico con la solila motivazio�ne: è difficile trovare acquirenti. Poi, per interessamento di Lucia�no Violante, quando era presiden�te della Commissione antimafia, si è fatto avanti il comune di Bagheria e finalmente ho potuto "svendere". Valutazione ufficiale due miliardi e mezzo, prezzo effettivo un miliardo e settanta milioni». «Ho pagalo i debiti dice ancora il signor Giovanni fino all'ultima lira, ma sono rima�sto senza stabilimento. Altra ri�chiesta, altra via Crucis di due anni. Forse oggi è stata "indivi�duata" un'area dismessa, vecchi capannoni, che la Regione potreb�be darmi in affitto. Ho chiesto a tutti, dico a tutti, ultimo il mini�stro Bianco, l'intervento decisivo per ripartire: un prestito. Vi assieuro, ce la posso fare. Ma, in fondo, non sarebbe stata una vittoria della mafia se io sei mesi .dopo la morte divorò ^MfhjeHftift»: fossi preso il posto fissoci avessi 'i esposto il carteiló^dl fomento; :v magari dopo àjjtorifeMjÉjtb'1 j^jj patrimonio di famiglia senza ono^ rare i debiti?». Ci mette cuore, Giovanni Bu�setta, nella sua battaglia. Mostra il suo prodotto («Sa come ci rispettano a Milano, quando ve�dono il nostro lavoro?), nasconde la stanchezza per anni di «carta bollata» e di indifferenza. Eppure non riesce a mostrare risentimen�to. Neppure per lo «zio scomodo». La sua analisi è serena: «La mia famiglia aveva preso le distanze da lui già quando era in auge. Ci siamo spostati a Bagheria perchè abitavamo con la nonna sua madre e spesso la polizia, duran�te le molte latitanze di mio zio, veniva a cercarlo a casa nostra. Ricordo che persino le sorelle di mia madre avevano qualche diffi�coltà a trovare marito per via di quella presenza in un certo modo invadente. Ma noi non lo abbia�mo mai visto». Lo ha odiato, suo zio don Masino? «Ho visto la sofferenza di mia madre, ho assistito anche ai giudizi duri nei suoi confronti quando lanciò l'anatema contro il fratello. Pochi capirono che quello era il solo modo per cerca�re di proteggere ciò che le rimane�va e cioè i figli. Diciamo che tutto questo mi ha portato a considera�re la scelta eli mio zio come una scelta egoistica. Lui doveva pre�vedere quali sarebbero state le conseguenze per i suoi familiari: ho pensato solo a se stesso». Capisce di usare un eufemismo e sorride. Poi aggiunge: «Ho soffer�to, hanno sofferto mia moglie e i miei figl^^ausoffro di più àelTim1patto..(TOj^ottusita di chi mi ccrtrisidap^uasi un rompiscatole per ave^wiutato una soluzione facile, i( posto fisso, e privilegiato la volontà di non disperdere l'ere�dità di mio padre». «Nessuno veniva nella mia fabbrica per timore di un attentato Nel mio condominio nessuno prendeva l'ascensore con me» A destra il superpentito Tommaso Buscetta. morto di cancro negli Stati Uniti. In alto un'immagine di Bagheria

Luoghi citati: Bagheria, Milano, Palermo, Sicilia, Stati Uniti