Economia globale contro geografia locale

Economia globale contro geografia locale CONTINUA IL DIBATTITO SUL CASO HAIDER E LA «MALATTIA DEL TERRITORIO» Economia globale contro geografia locale IN queste pagine Bonomi e Bevelli hanno parlato di una «malat�tia del territorio» e De Rita li ha messi in guardia dallo scambia�re per mah del territorio quella che è, a suo avviso, la crisi delle «dimen�sioni intermedie»: territoriali e hon. Sull'ampiezza di questa crisi è difficile non essere d'accordo, ma ciò non esclude che quella delle aggregazioni territoriali interme�die abbia caratteri del tutto partico�lari e meriti quindi speciale atten�zione. Anzitutto, come ha sottolineato Bevelli, la dimensione territoriale locale può andare perfettamente d'accordo con la globalizzazione tecnico-economica e in certi casi ne risulta persino esaltata. Invece al�tre dimensioni intermedie, sia terri�toriali, come lo stato nazionale, sia non territoriali come il sindacato, patiscono la globalizzazione. Tanto che i fautori più radicali del libero mercato globale si permettono di guardarle come resti del passato, mentre non pensano altrettanto dei localismi territoriali. Perché? Volendo prendere le cose alla lontana, si può ricordare che la dimensione territoriale locale van�ta qualche centinaio di milioni di anni di coevoluzione con organismi viventi raggruppati in «società», prima animali e poi anche umane. Senza voler cadere nel determini�smo della biosociologia più banale, ciò significa soltanto che, a differen�za di altre dimensioni intermedie, quello territoriale locale non è un semphce legame orizzontale tra individui, ma è un legame sociale che ha la sua ragion cTessere in un corrispondente legame ecologico. Con riferimento au «approccio territorialista» di A. Magnaghi (si veda il suo saggio 72 progetto locale, pubblicato da Bollati Borìnghieri) va precisato che per legame ecologi�co non si intende solo quello con l'ambiente naturale: vi rientra il nostro rapporto con tutto ciò che di materiale e immateriale si è sedi�mentato nei luoghi nel corso della lunga durata storica; quindi natura e cultura: saperi contestuali, capita�le sociale, capacità istituzionali e cos�via. Chi opera nel mercato globale sa che, per essere competitivo, deve attingere a questi «patrimoni» loca�lizzati e che l'unico modo per farlo, come dice P. Veltz, è di ancorarsi a certi luoghi, di entrare come parte attiva nei contesti locali. Perciò economisti come Porter e Krugmann o nostri studiosi del fenome�no distrettuale, come Becattini, Bagnasco e Bullani hanno dimostrato che esiste un valore aggiunto pro�prio della dimensione territoriale locale e che, in quanto fonte insosti�tuibile di vantaggi competitivi, es�sa svolge un ruolo strategico nelle «catene del valore» globah. Ma la ricerca di que�sti ancoraggi locali fa s�che nell'iperspazio del�la globalizzazione evo�cato da Bonomi, ogni sistema territoriale lo�cale possa legarsi con qualunque altro del pia�neta, anche se molto lontano, rompendo cos�i tradizio�nali legami di prossimità con i territon vicini. Lo spazio ne risulta frammentato; le regioni e gli stati più deboli disgregati; sconvolte le consuete geografie che traggono significato dolrequivalenza tra vici�no e simile. Tuttavia questo procesINTERGiu. Dcm so di disgregazione in molti casi si arresta a livello di società locali, cioè risparmia e anzi rinvigorisce quegli aggregati molecolari che so�no necessari per trasformare i patri�moni comuni di un territorio in valori da immettere nelle reti globa�li. Certo non è cos�dappertutto. In vaste parti del mondo la frammen�tazione si spinge fin alla disgrega�zione delle società locali e quindi alla svalorizzazione dei territori, incapaci di produrre valori da im�mettere nei circuiti dell'economia globale. Questo è quanto sta capi�tando in gran parte dell'Africa e persino nei Balcani e questa è una malattia del territorio ancor più grave della sindrome carinziana che o^gi tanto ci allarma. Forse perché quest'ultima, colpendo i terENTO ppe ttcis ritori locali del benes�sere, ce la troviamo in casa, mentre le altre le pensiamo fuori dei nostri confini. Vorrei notare, di passaggio, che se cos�è, come temo, stiamo facendo, a scala europea, lo stesso errore di chiusura e di esclu�sione dell'altro, che giustamente rimproveriamo ai localismi nostra�ni. Sarebbe troppo facile e comodo attribuire questi mah alla globaliz�zazione , cosi come mi pare assurdo demonizzare la dimensione territoriale locale. Se il mercato globale funziona bene tanto facendo affari con le società locali ricche e razzi�ste, quanto escludendo e disgregan�do quelle che non riescono a intera�gire attivamente con le reti globah, il difetto ha ragione Revelli sta in un deficit di politica e di cultura. Sta nello scarto tra la politica in atto, che crea gli Haider, o almeno ne permette la crescita, e una politica capace di produrre e diffon�dere valori universali condivisi. Ma questi valori si sono tutti formati in un processo storico di ibridazione di valori nati localmen�te: per esempio a Babilonia, ad Atene, in Palestina, nelle selve ger�maniche, in Andalusia, in Proven�za, a Firenze, sulle rive del Mare del Nord e del Baltico, a Wittenberg e e Ginevra, a Boston, a Manche�ster e via via in altri contesti culturali locali, fino ai nostri gior�ni. Perché mai questo processo do�vrebbe arrestarsi proprio oggi quan�do ne abbiamo più bisogno? Solo perché non siamo capaci ai incana�lare nella direzione giusta le ener�gie creative che continuano a scatu�rire dai diversi contesti locali? Il fatto che, malgovemate, que�ste energie diventino distruttive, non mi pare un motivo valido per rinunciare ad attingervi, a mobili�tarle, a connetterle, facendole inte�ragire orizzontalmente ai vari livel�li territoriali, da quello regionale a quello transnazionale e transeuro�peo. Per trasformarle in valore economico? Certamente. Ma non soltanto: prima ancora per creare e riprodurre una base di valori comu�ni che permetta di fondare una politica. Come ha messo in eviden�za un recente convegno internazio�nale sul ruolo delle città nell'inte�grazione europea, organizzato dal centro EU-P0LIS del Politecnico di Torino, l'Unione europea sta orien�tando le sue politiche di coesione territoriale in questa direzione con azioni come Urban e Interreg. Que�ste politiche di rete e di scambio di saperi contestuali, di esperienze e pratiche virtuose andrebbero però molto più estese e intensificate, per mettere in comune l'enorme e mol�teplice serbatoio di energie e di valori culturali dei territori euro�pei. Credo che questa sarebbe la premessa per un'Europa più coesa e politicamente più forte, che po�trebbe anche permettere alla Garinzia di sboghare, senza timore che il danno si propaghi. Che potrebbe occuparsi meglio e di più dei Balca�ni, del Mediterraneo, del Congo e cos�via fin ad acquistare quell'auto�revolezza mondiale che l'Euro, da solo, certamente non le può dare. I valori universali si sono tutti formati in un processo storico di ibridazione di valori nati localmente: da Atene alla Firenze del '400, da Babilonia alla Manchester di fine 700 UN PROCESSO DI FRAMMENTAZIONE, DALL'AFRICA Al BALCANI: EPPURE SAREBBE POSSIBILE UNA POLITICA CHE INCANALI LE ENERGIE REGIONALI IN UN CONTESTO TRANSNAZIONALE INTERVENTO Giuseppe . Dcmattcis