CON PAVESE NEL 2000 di Lorenzo Mondo

CON PAVESE NEL 2000 CON PAVESE NEL 2000 I dialoghi con Leucò nella società di oggi LA CRITICA Lorenzo Mondo ("Dialoghi con Leucò" vengono pubblicati da Pavese nel 1947, in paradossale coinci�denza con "Il compagno", un romanzo esplicitamente "engagé". E' il libro a cui teneva di più, un testo tortuoso e difficile, anche se messo sotto la protezione di una dea 'bianca", luminosa (Leucòtea appunto, familiarizzata in Leucò). Non per questo viene meno il suo fascino. Bisogna pensare, leggendolo, al significato che Pavese attribu�isce ai miti. Essi conservano la memoria di eventi unici, assoluti, che si sono verificati prima dell'inizio dei tempi e rappresantano per l'uomo un fuoco vitale, un modello. Di là nascono gli eroi incivilitori che dissodano le foreste e solcano i mari, che distruggono i mostri e danno un nome alle cose. Si muovono in uno scenario di alberi e di radure, di montagne e di fiumi. Conservano il calore e il ricordo di un rapporto dolce o terrificante con gli dei ai quali sono imparen�tati. Sono gli archetipi della mitologia greca, che diventa esemplare di tutte le culture primordiali, gli emblemi di quella che è stata definita la sapienza presocratica. E che ha esercitato una profonda influenza sulla cultura del Novecento, nel ripiegamen�to di im razionalismo deluso verso le sorgen�ti oscure della vita e del pensiero. Bisogna poi pensare al parallelismo istitu�ito da Pavese tra lo sviluppo della specie umana e quello dell'individuo. Primitivo è anche il bambino, sua la disposizione a una verginale scoperta del mondo, a una commo�zione che può rivestirsi di un'aura estatica. All'improvviso, se avrà fortuna, se si sarà educato all'ascolto, l'uomo adulto ritroverà qualcuno di quegli attimi fondamentali in cui è nato alla vita interiore. Soltanto allora scopre quello che porta da sempre in sé. Perchè noi non vediamo mai le cose una prima volta, ma con la vista seconda che è data dal ricordo. E la seconda volta dell'uma�nità, il suo ricordare, è appunto il mito. Questo bagaglio di esperienze atemporali è dotato di una forte carica poetica, ma lo scrittore deve portarlo alla luce senza farse�ne imprigionare. E' un immergersi per uscirne, insiste Pavese, preoccupato di per�dersi nell'istintivo-irrazionale, di superare la misura umana. Ma la paura di precipitare nel "peccato" non esclude la speranza di attingere una verità altra, di raggiungere qualche misteriosa rivelazione. Cosi Pavese riesce a farsi testimone, per per vie incon�suete, dell'inquietudine religiosa contempo�ranea. Entrano in questa poetica, che è anche una visione della vita, la dottrina platonica delle idee, le riflessioni di Vico sul mondo primitivo ed eroico, T'eterno ritor�no" di Nietzsche, la teoria junghiana degli archetipi, il tutto propiziato dai diletti studi etnologici. Mentre sembra di cogliere in certi accenti la filosofica inesorabilità, e la poetica, dolcissima illusorietà, di un Leopar�di. I "Dialoghi" pavesiani si svolgono all'in�terno di una cornice abbastanza delineata: la lotta e il predominio delle serene divinità olimpiche sui titani, l'instaurarsi di un nuovo ordine sul caotico mondo dionisiaco. Scompare un passato di torbide e crudeli metamorfosi, ma anche di gioiosa, panica immedesimazione con la natura. Pavese manifesta nei confronti di questa mitica contesa una mai risolta, contrastata ambiva�lenza. Certo l'uomo afferma se stesso quan�do esce dal mondo prelogico e istintivo verso la chiarezza della ragione e della storia (che trova la sua premessa nell'ordine olimpico) ma scopre con questo, insieme alla coscienza del male, il senso della sua finitezza, si sente gettato in una lotta impari tra libertà e destino. Sono due momenti, due opzioni, che talvolta si affermano distintamente, ma più spesso coesistono all'interno di uno stesso dialogo. Come se Pavese riuscisse a far deflagrare simultaneamente la polivalenza del mito. Ma il dramma e 1 elegia finiscono per travolgere ogni schema precostituito: per fare posto all'ansia della domanda, dell'in�terrogazione ultima che, in alcune pagine intense, sembra accompagnata da una trepi�da speranza. Nella "Belva" si afferma che la dolcezza di Artemide "è come l'alba, è terra e cielo rivelati". Anche se nessuno può toccare la divinità, ma solo ascoltarla: "La sua voce ch'è rauca e materna è tutto quanto la selvaggia ti può dare". Mnémosine rammen�ta: "Ogni gesto che fate ripete un modello divino. Giorno e notte, non avete un istante, nemmeno il più futile, che non sgorghi dal silenzio delle origini". E nel brano conclusi�vo della raccolta leggiamo quella che sem�bra una amara, ma riottosa, confes�sione di sconfitta: "Credo in ciò che ogni uomo ha sperato e patito. Se un tempo salirono su queste alture di sassi o cercaro�no paludi mortali sotto il cielo, fu perchè ci trovavano qualcosa che noi non sappiamo": degli incontri di cui abbiamo perduto il segreto, ma di cui resta, acuta, la nostalgia. Esponendosi in prima persona, Pavese con�ferma ciò che già sapevamo: che attraverso le fascinose querele di dei e di eroi ha intrattenuto un dialogo serrato con se stes�so, con la propria anima. I dne,-? ,,, *i3 JfO^DMrWtra libertà e destino. Sono due momenti, due opzioni, che talvolta si bra una amara, ma riottosa, confessione di sconfitta: "Credo in ciò che ogn Scrìvere con Pavese, leggere (o rileggere) i «Dialoghi con Leucò», il libro che lo scrittore posò sul comodino prima di quell'ultimo gesto fatale, e interrogarsi sui miti d'oggi. E' il tema del concorso letterario promosso dal Premio Grinzane Cavour con La Stampa, per ricordare Pavese a cinquant'anni dalla morte. Chi vuol partecipare dovrà comporre un dialogo della lunghezzza massima di 45 righe e inviarlo, entro il 10 luglio, al Grinzane Cavour (per informazioni tei. 011.8100111; e-mail: concpgc@tin.ìt). Il concorso sarà presentato alla prossima Fiera del Libro di Torino, domenica 14 maggio alle h, 16,30

Persone citate: Nietzsche, Pavese

Luoghi citati: Grinzane Cavour, Torino