Regio, Mirella Freni sovrana di «Federa» di Giorgio Pestelli

Regio, Mirella Freni sovrana di «Federa» Torino, il soprano trionfa nell'opera di Giordano diretta da Stefano Ranzani Regio, Mirella Freni sovrana di «Federa» Giorgio Pestelli TORINO Sembra proprio che Gavazzeni avesso ragione: «Fedora» di Um�berto Giordano n un'opera anco�ra vitale, che si regge nella scena e nella musica e che può circolare nei nostri cartelloni accanto al tanto più popolare «Andrea Cbénier»: certo ci vuo�le un'esecuzione appropriata, che sappia far brillare tutto il buono che contiene attenuando il meno buono con esperienza e intelligenza; e appropriat.i.ssima è la realizzazione con cui è andata in scena al Regio (dove, incredibile, non era mai stata rappresentata), diretta da Stefa�no Ranzani, che e stato anche assistente d�Gavazzeni, e diret�tore dell'opera nel 1993 alla Scala, e dal regista Lamberto Puggelli, pure lui responsabile dell'edizione scaligera; infine, ed è elemento essenziale, il ruo�lo del titolo ha bisogno di una grandissima artista cirsi canto e della scena; e qui il Regio mette in campo Mirella Freni, straordi�naria per identificazione con il personaggio, autorità e dominio di ogni situazione, miracolosa tenuta vocale in ogni sfumatura del fraseggio e dell'accento: quando cauta la Freni il cuore del pubblico canta con lei, come ha mostrato la calorosa e ammi�rala ovazione alla fine della recita. Ricavata dalla tragedia di Sardou, che l'aveva costruita su misura per Sarah Bemhardt, «Fedoni» ha visto calare le sue azioni (piando l'epoca degli «at�tori-mattatori» è passata di mo�da; certe crudezze veristiche, che poi sono molto più limitale che nello «Chénier», certi spargi�menti sentimentali («la vecchia madre inferma!»), certe pose cartellonistiche da belle epoque hanno finito con l'oscurare altri aspetti di novità e taglio scenico su cui Giordano si era impegna�to o che tornano in superficie oggi. Bene quindi ha fatto il Regio a inserire «Fedora», sebbe�ne nata nel 1898, in un cartello�ne centrato sul Novecento: al quale prelude o appartiene per l'azione serrata del primo qua�dro, per la trovata realistica del pianista che suona in un punto del salotto mentre l'azione pro�segue in un altro, per alcune pennellate «russe», per la voce del piccolo savoiardo fuori sce�na (un particolare che tornerà nella «Tosca») e soprattutto per un'invenzione musicale rapida, inframmezzata, in una partitu�ra screziata di interventi solisti�ci ben rilevati dal direttore e dall'orchestra. Certo, mancano i colpi d'ala, i voli melodici, che solo Puccini aveva ricevuto dal�le Grazie; ma proprio qui si vede la bravura degli interpreti, che nel canto e nel suono sanno far fruttare gli slanci, sia pure mino�ri, di cui anche Giordano è capace. Come «Amor ti vieta» cantato con passione da Sergej Larin, che impersona un Loris di forte temperamento emotivo; molto brava Adelina Scarabelli nella brillante contessa Olga (peccato il taglio dell'aria «della bicicletta», punta modernista dell'opera, già vicina ai «Sei» di Parigi), e cosi pure Fabio Previa�li come De Siriex e Luigi Roni nel nobile profilo del cocchiere Cirillo; del resto tutta la massa dei personaggi e scelta con cura, e dobbiamo limitarci a citare la perfetta caratterizzazione di Lu�ca Brancaleon come pianista Lazinski, La debolezza della so�luzione finale, tutta affidata a un via vai di lettere in arrivo e partenza, è risolta benissimo dalla regia, capace di fare teatro con la semplice precisione dei movimenti. Applausi trionfali per tutti, in particolare per la Freni, regina della serata; e per la recita del 18, nella parte di Loris, è atteso Domingo, in arri�vo supersonico da New York. Mirella Freni e Sergej Larin in una scena della «Fedora» di Giordano al Regio

Luoghi citati: New York, Parigi, Torino