Il portiere che morì due volte

Il portiere che mor�due volte L'addio a Barbosa, «condannato» dai Brasile per il Mondiale perso nel '50 Il portiere che mor�due volte Roberto Beccantln� DOVEVA morire, perché ci si ricordasse di lui: chi era e che cosa «non» fece. A 79 anni, un venerd�qualun�que, Moacir Barbosa ha tolto il disturbo e riaperto le aule del tribunale della storia: quell'av�venturato giorno del 16 luglio 1950, fu davvero colpevole di aver sottratto il titolo mondiale al Brasile, nella sfida decisiva con l'Uruguay? Di quel Brasile, Barbosa era il portiere: il primo portiere nero. Bastava un pareggio, per laurearsi campione. Il Brasile passò in vantaggio con Friaga, al 47'. I gol di Schiaffino e Ghiggia rovesciarono il mondo. A nome e per conto del Brasile tutto, i duecentomila «giudici popolari» del Maracana non ebbero dubbi e condannarono Barbosa alla pena più crudele: l'espulsione dalla memoria per aver propiziato il più clamoroso e il più ributtante dei «delitti»: il «furto» della corona. Narrano le cronache che Bar�bosa non fu impeccabile ma neppure sciagurato: sorpreso da Schiaffino, un leggero ritardo su Ghiggia. In condizioni mormali sarebbe stato, probabil�mente, assolto per insufficien�za di prove. Ma non era una partita normale: era «la» parti�ta. Il processo, sommario, non gli diede scampo, E dire che, come sempre, aveva sistemato dietro alla porta la bambolaamuleto regalatagli dalla sua donna. La bruciò negli spoglia�toi, annichilito. Non è mai stato perdonato. Il suo caso è diventa�to un imbarazzante fascicolo che nessuna «giuria» ha voluto riesaminare. Barbosa è morto molto prima di morire. Che fosse un eccellente portiere, e che avesse vinto titoli su titoli con il Vasco Da Gama, non ha stemperato il fastidio, non ha purgato il livore. Se n'è andato in miseria, lui che viveva con una pensione da fame, 85 dolla�ri il mese, e che, per sbarcare il lunario, si era improvvisato cu�stode (portiere, in un certo sen�so...) della piscina del piccolo Maracana, a due passi dal luogo del «delitto». L'urgenza di un capro espia�torio ha spinto una Nazione ad accanirsi su un uomo, un uomo solo: è comodo, e rende. Al funerale di Barbosa, costretto in ospedale da una malattia di natura cerebrale, c'erano si e no una cinquantina di persone, amici, parenti, conoscenti. Non un pezzo grosso, a Praia Gran�de, non un dirigente di quella Federazione che, pure, aveva servito con viscera e dedizione, E non più di una bandiera: quella del Club Atletico di Ypiranga, la sua prima squadra. Sono state le agenzie di stampa a ravvivare la timida fiamma del ricordo, I brasiliani non perdonano. Accumulano. Paolo Rossi non poteva salire sui taxi di Rio, dopo i tre gol del Sarrià: Barbosa è stato fatto scendere subito dai «taxi» del fondamen�talismo calcistico. E' stato Ettore, non Achille. Ha pagato al culmine di un duel o impari, la fallibilità uma�na contro la volontà impellente di gettare la croce addosso a qualcuno. Se non altro, è stata rispettata la gerarchia numeri�ca: Barbosa era il numero uno. La statura degli avversari (Schiaffino, Ghiggia, Obdulio Varela, Maspoli) non ha contri�buito a rendere più mite il verdetto. C'era chi aveva pianto e chi, addirittura, si era tolto la vita: la piazza reclamava carne fresca. L'ha avuta. Confessò: «In Brasile non esiste l'ergasto�lo. Uno, al massimo, può prende�re trent'anni. Io sono l'unico ad averne scontati cinquanta». Og�gi, una moviola non si nega a nessuno, e a Barbosa sarebbe pure servita per fugare le om�bre, ma ai suoi tempi si giudica�va a vista, sull'onda delle pulsio�ni emotive, in balìa del risulta�to, ostaggi del cuore e del tifo. Non è riuscito neppure a morire in pace, il povero e silente Moacir. Ha paralo tutto, meno due tiri. 16 luglio 1950. lo stadio Maracanadi Rio de Janeiro è ammutolito: con il gol di Ghiggia, su cui il portiere nero del Brasile Moacir Barbosa si lascia sorprendere in leggero ritardo. l'Uruguay vince 2-1 la finale della Coppa del Mondo

Luoghi citati: Brasile, Praia, Uruguay