L'Utopia nel gulag di Pierluigi Battista

L'Utopia nel gulag Si condanna l'orrore nazista e si minimizza quello sovietico. La via del comparativismo in un saggio di Battista L'Utopia nel gulag Uscirà domani da Marsilio La fine dell'innocenza (sottotitolo Utopia. totalitarismo e comunismo) di Pierluigi Battista. Il libro offre una rassegna dei racconti utopi�stici, da Platone a Thomas More, in cui appare costante l'idea che è proprio nell'utopismo politico, nel progetto di costruire il paradi�so In terra, che si annida il pericolo totalitario. E' prevalsa invece l'idea che la fine del «comunismo storico» non abbia trascinato nel discredito la gene�rosa «utopia comunista», avvalen�dosi di quell'argomento che Francois Furet ha definito «il beneficio delle buone Intenzio�ni». Su questo tema, pubblichia�mo un brano del libro di Battista, dedicato al prevalente rifiuto di un approccio «comparativo» tra il comunismo e il nazismo. Pierluigi Battista ANCOR.oggi (anzi: forse più oggi che in passato) l'ap�proccio «comparativista» non solo non gode di buoIna reputazione, ma appare moralmente gravato da un atroce sospetto. Si teme da più parti l'incontinente uso «revisionista» di un comparativismo aggressivo e pretestuoso il cui scopo neanche tanto recondito sarebbe quello non già di capire ma di minimizzare, se non addirittura di banalizzare, l'or�rore assoluto dell'Olocausto. Ci si allarma per l'inevitabile effetto di ridimensionamento del Male nazi�sta che l'equiparazione di nazismo e comunismo comporterebbe, vale a dire un inizio di relativizzazione che gradualmente farebbe scivola�re lo sterminio degli ebrei nel magma dell'mdistinzione, nell'in�clusione di un delitto di inimmagi�nabile portata nell'infinito elenco delle tante piccole grandi nefandez�ze che hanno insanguinato la sto�ria dell'umanità: Auschwitz còme un episodio tra gli altri Ài ordinaria efferatezza, la Shoah come una delle tante contingenze sanguino�se che punteggiano la lunga e miserabile vicenda umana. Se le cose stessero così, sarebbe davvero arduo dar torto agli anti�comparativisti. Tuttavia si impo�ne un contro-sospetto, speculare ma non meno preoccupante di quello avanzato dall'anti-comp.na�tivismo: che siano piuttosto i cru.iini del comunismo ad essere consi�derati un ordinario incidente cruento della storia il cui prodito�rio accostamento con altri e più gravi crimini costituirebbe l'inizio di una impropria banalizzazione di questi ultimi, «Banali» i milioni e milioni di morti nelle carneficine comuniste? Una delle tante, insi�gnificanti atrocità della storia uma�na il sistematico annientamento di interi gruppi umani, di classi socia�li, di popoli integralmente traspor�tati nell'inferno dei «nemici ogget�tivi» e perciò meritevoli di scompa�rire nel nulla? L'atroce contro-so�spetto è insomma che sia proprio l'anti-comparativismo ad aver pre�ventivamente banalizzato, ridi�mensionato, relativizzato, mini�mizzato la portata apocalittica dei massacri compiuti nel nome del comunismo tanto da renderli «imparagonabilmente» meno gravi di quelh compiuti dal nazismo. E poi: chi l'ha detto che gli stermini abbiano il potere di elider�si reciprocamente nella memoria collettiva, e che le morti, anziché sommarsi e tragicamente aggiun�gersi, debbano addirittura annullarsi vicendevolmente? Perché di�sturba cos�tanto l'idea che alla fine del «secolo breve» gli orrori «sterminazionisti» siano addirittu�ra due e non uno soltanto (non «zero», come dicono senza pudore i negazionisli di Auschwitz, ma ben «due»: esattamente il contrario del ridimensionamento)? E che bislac�ca idea si ha mai della «memoria» comune se si suppone, con un'im�perdonabile e grottesca dilatazio�ne del già trito luogo comune secondo cui «chiodo scaccia chio�do», che il ricordo delle vittime di una delle due ideologie «sterminazioniste» avrebbe come ovvio effet�to lo sbiadirsi e l'affievolirsi del ricordo delle vittime cadute sotto i colpi dell'altra e opposta ideologia «sterminazionista»? Perché do�vrebbe assurdamente applicarsi al�la memoria un uso stravagante della teoria dei vasi comunicanti per cui a un aumento di indignazio�ne per le vittime del Gulag dovreb�be inesorabilmente corrispondere un rarefarsi dell'indignazione per le vittime del nazismo? Perché mai la dimenticanza del Gulag dovreb�be essere il terribile prezzo per conservare vivida la memoria di Auschwitz? Perché l'invocazione sinora non udita «mai più Gulag» dovrebbe obbligatoriamente inde�bolire il grande messaggio morale contenuto nel solenne impegno «mai più Auschwitz»? Che cosa si teme, forse che il nome di Shala�mov possa trascinare nell'oblio quello di Primo Levi? E se mai fosse possibile una simile, terrifi�cante concorrenzialità mnemoni�ca, come mai non ci si preoccupa dell'eventualità che sinora possa essere accaduto il contrario, an�che, beninteso, sulla base delle migliori intenzioni e nell'assoluta buona tede? Perché il negazionismo sulla Shoah suscita sacrosan�ta e acuta indignazione e il negazionismo sul Gulag è tollerato se non addirittura apprezzato come se�gno di un frizzante snobismo intel�lettuale? E' stato scritto da Antonio Mo�scato sul «Manifesto» che la «cam�pagna sui "crimini del comunismo riaffiora periodicamente ed è mol�to sgradevole; ma bisogna essere consapevoli che è l'esistenza di ima mentalità negazionista" in consistenti settori della sinistra a renderla possibile». Ora, anche ap�prezzando l'ammirevole franchez�za nel denunciare la persistenza di una diffusa «mentalità negazioni�sta» nella sinistra di matrice comu�nista, perché mai la «campagna sui crimini comunisti», avendo ricono�sciuto onestamente l'esistenza di questi ultimi, dovrebbe risultare «sgradevole»? Ed è più «sgradevo�le» la campagna oppure i «crimini denunciati?». E perché non viene riconosciuta come una ferita nella memoria collettiva ciò che è stato denunciato da Vittorio Strada, e air ' che, incontestabilmente, «uno dei più tremendi crimini del XX secolo, l'Olocausto, è slato oggetto di un numero assai alto di docu�mentazioni e analisi, restando al centro dell'attenzione, e della de�precazione, come lo era stato nei decenni precedenti. Invece il Gu�lag, un crimine analogo, per quan�to dotalo di una sua peculiarità, ma anche più grave del precedente in senso quanutativo, cioè per numero di vittime, per durata ed estensione, non occupa nell'atten�zione pubblica e nelle ricerche sloriche un posto paragonabile a quello dell'Olocausto». E perché, come ha fallo Gad Lemer, dovrebbe essere definita «nevrosi comparativa» e dunque qualcosa che somiglia a una patolo�gia intellettuale, a un'ossessione psico-culturale vagamente torbida e maniacale chiedersi, con Alain Besangon, come sia possibile «che oggi la memoria slorica tratti co�munismo e nazismo in maniera cos�diversa da sembrar dimentica�re il primo»? Perché dovrebbe esse�re scandaloso, di fronte all'annien�tamento di «milioni" di bambini figli di miserabili kulaki», esigere, come ha fatto Emesto Galli della Loggia, rigore e onestà nel chieder�si «die cosa ha ucciso quei bambi�ni, qual è il significato, anzi meglio la portata storica, il "rango", dicia�mo così, della loro morte»? Perché l'immaginazione collettiva nell'Oc�cidente liberale e democratico non viene stimolala a produrre film e romanzi, fumetti e sfrips, sculture e creazioni grafiche, musiche e trasmissioni televisive, canzoni e poesie che permettano di non di�menticare l'orrore della repressio�ne comunista e la grandezza mora�le delle sue innumerevoli vittime? Perché a nessuno Spielberg viene in mente, a mo' di parziale (mollo parziale) risarcimento simbolico, di dedicare un kolossal avvincente e avventuroso su uno Schindler sovietico? Perché? Le risposte possono essere tan�te. Ma la principale può essere legittimamente riassunta così: per�ché l'attaccamento all'utopia assol�ve gli artefici dei «crimini» e con�danna una seconda volta (e stavol�ta all'oblio eterno) le vittime dei crimini compiuti nel nome di quel�la che ancor oggi viene considera�ta, malgrado U suo conclamato fallimento, una generosa utopia. L'autoinnocentizzazione ha biso�gno di continue confenne, non tollera che utopia e Gulag vengano messe in una relazione troppo stretta, non può sopportare dubbi e smentite all'autogratificanle idea in base alla quale, sia pur a prezzo di indicibili orrori, chi ha credulo in una grande utopia sia comunque stalo e continui ad esse�re, nonostante tutto, dalla parte del Giusto. L'autoinnocentizzazione ricava�ta dair«argomenlo utopistico» è incardinata sulla certezza che men�tre il nazismo è il perfetto compi�mento di un progetto di morte e distruzione, che la sua fine sia contenuta nell'inizio e che tra i suoi proclami e le sue realizzazioni ci sia coerenza e coincidenza asso. luta, il comunismo storico, quello «cattivo» e condannabile, è invece la smentita delle sue premesse «universalistiche», che l'inferno della sua stravolta realizzazione è la contraffazione dei suoi proclami e della sua premessa paradisiaca. Mentre il nazisiho è inveramento della propria natura maligna, cadu�ta in un passalo buio e primitivo, il comunismo «storico», promessa di giustizia e di eguaglianza, figlio radicale di un'eresia che nasce pur sempre nel cuore della cultura illuministica altro non sarebbe in�vece che perversione e degenera�zione («una bella idea che ha preso ima brutta piega», come ha scritto con icastico sarcasmo De Benoist). E dunque, se c'è incontestabilmen�te un rapporto di consusianzialilà tra nazismo e malvagità stermina�trice, ci sarebbe un rapporto di snaturamento tra la «bontà» libera�trice del progetto comunista e l'ef�fettuale manifestarsi di pratiche sterminatrici nella realizzazione «slorica» del comunismo. So cadesse questa pretesa di radicale differenza tra comunismo e nazismo (privando cos�il comuni�smo di quella fondamentale risor�sa clv: Furet ha definito «il benefi�cio delle buone intenzioni»), se il comunismo venisse assimilalo a un progetto per sua stessa natura incline a realizzarsi in pratiche «slerminazionisle» su vasta scala, non solo ne deriverebbe la perdila dell'innocenza per chi del comuni�smo si è fatto cantore e strenuo militante ma verrebbe inesorabil�mente meno anche la pretesa di «superiorità etica» che il comuni�smo ha rivendicalo e rivendica sul nazismo. i t . ^^^M0^^^^MÈ