«Come se non ci fossi...» Stuprata in Bosnia

«Come se non ci fossi...» Stuprata in Bosnia La violenza etnica attraverso gli occhi di una donna: il nuovo romanzo di Slavenka Drakulic «Come se non ci fossi...» Stuprata in Bosnia Slavenka Drakulic TUTTI e tre fumano e S. pensa che devono aver cal�do con quelle uniformi II soldato alto che l'ha aocomI pagnata esce e si chiude la porta dietro. Le si avvicina uno con gli occhietti di topo. Sembra perico�loso. Si leva la cintura dei pantalo�ni. Sta per colpirmi, sono sicura che mi colpirà, pensa S. febbrilmente e chiude gli occhi in attesa dei colpi. Solleva il braccio per difendersi. Non succede niente. D secondo, quello se�duto, si alza e an�che lui si leva la cintura dei pantalo�ni. S. continua a difendersi il viso con le mani, ma neanche lui la colpi�sce. Tengono le cin�ture in mano e a quel punto le si avvicina il terzo, il più alto. Le dice dispogliarsi. S, tenta di sbottonarsi la blusa. Ricorda bene di aver davvero tenta�to di sbottonarsi la blusa. Tre paia di occhi maschili seguono i suoi movimenti e le sue dita tremanti che non riescono a trovare il botto�ne. Non è che lei non voglia ubbidi�re a quell'ordine. Anzi, al contrario, si affretta a eseguirlo. In quel mo�mento non pensa affatto a cos'altro potrebbe fare, non esiste nessuna possibilità di non ubbidire. E' in piedi e tenta di sbottonarsi la blusa, la sua intenzione a loro dev'essere evidente, ma S. non ha più nessun controllo sulle proprie dita. Viene tradita dalle mani nelle quali non c'è più nemmeno forza sufficiente per quel piccolo, insignificante mo�vimento. Allora uno di loro perde la pa�zienza. Con un gesto esperto estrae un coltello e glielo mette alla gola. «Sui» sibila a denti stretti, «sul» In quel momento è di nuovo colpita dal fatto che non siano in grado di esprimersi normalmente, ma solo a monosillabi, come se avessero di«HH!t«caM*come si paria. E forse l'hanno proprio dimenticato. Forse è questo ciò che succede durante una guerra, che all'improvviso le parole diventano superflue, perché non possono più esprimere la realtà. La realtà si sottrae alle parole conosciute, e nuove parole, nelle quali stipare questa nuova esperien�za, semplicemente non ci sono. Il secondo soldato non è altret�tanto tenero. Non minaccia, non dice niente, semplicemente le si avvicina e le strappa la blusa. Ora è in piedi nell'ufficio, nuda, appoggiata alla parete, circondata dai cacciatori. I loro sguardi sul suo seno. Le sembra che le striscino addosso. Sono sguardi umidi, bavo�si, ardenti che risalgono il suo collo, che le toccano i capezzoli e scendo�no giù, dalla panna fino ai fianchi. Forsfrquesta è la cosa peggiore che si è impressa nella sua memoria: occhi sconosciuti che godono della preda il momento prima dell'aggres�sione. Sa che verrà aggredita. Sa di essere in trappola, come un animale selvatico, e di non poter sfuggire. Il cuore le batte forte e copre ogni altro rumore. Il fumo delle sigarette le brucia gli occhi. Le lacrime, come una tenda, le impediscono di vedere i loro visi. Non sa per quanto tempo sia rimasta cos�in piedi, appoggiata alla parete. Alla fine due la portano al tavolo. E' sul tavolo. La legano. Oppone una breve resistenza. In un ultimo vano sforzo di liberarsi, il suo corpo si inarca e poi all'improv�viso si lascia andare, come morto. Quando il primo di loro penetra il suo corpo, S. prova un momenta�neo dolore. Poi non sente più nien�te, solo le spinte che fanno muovere il tavolo sempre più verso la fine�stra. Gira la testa verso la parete. li un moscone con l'addome verde passeggia nervosamente su e giù. Come se avesse perso qualcosa. Infine ritrova quel qualcosa. Se ne rimane a lungo nello stesso posto, stropicciandosi soddisfatto le zam�pette. Poi vola via verso il soffitto. S. lo segue con lo sguardo. In quel momento vede le proprie gambe sollevate in aria e in mezzo a esse la testa di un uomo. L'uomo ha gli occhi chiusi e la bocca aperta. Con lo sguardo cerca di nuovo il moscone che ora è sulla lampadina. La lampadina oscilla leggermente. Quando abbassa Io sguardo vede che le sue gambe sono ancora là, e che in mezzo a esse c'è il viso di un altro uomo. Quelle, naturalmente, sono le sue gambe. S. dice a se stessa che quelle sono le sue gambe, ma a dire il vero non le sente. Come se io non ci fossi. Come se non fossi più qui. Sente solo d�avere sotto le spalle un tavolo duro che continua a spostarsi verso la finestra. Attra�verso il vetro sporco ora può già vedere il cortile e alcuni guardiani che s�riposano accanto al recinto. La giornata è bella, assolata. Un pomeriggio d'estate. I loro gemili riempiono la picco�la stanza. Ftose dicono anche qual�cosa. Bestemmiano, insultano sua madre. Uno tenta di imprimersi nella sua mente. Gira il viso di S. verso di sé e le grida che se lo sarebbe ricordato, che deve ricor�darselo. Puzza. Sì, avrebbe ricorda�to il suo puzzo, questo se lo sarebbe ricordato. Ma non il suo viso. Il suo viso si perde nel soffitto, con il moscone che continua pigramente a dondolarsi sulla lampadina. Le gambe del tavolo continuano a scivolare sul linoleum, spinte dai loro rozzi movimenti. Il tavolo di legno scricchiola. Se almeno finissero quegli scricchiolii, quei gemiti e quell'ansare, tutto quel rumore che si addensa su d�lei e la copre. S. non prova dolore. Qualcosa dentro di lei si è spezzato. E' assolu�tamente calma e assolutamente fuoridasestessa. Giace sul pavimento. Ha le mani legate. Le bruciano le labbra. Se le tocca. Una traccia chiara di sangue sulle dita. Continua a non sentire del tutto il proprio corpo, solo sulle labbra quella ferita che brucia tan�to. Poi uno stivale sul petto. Un dolore sordo le leva l'aria dai polmo�ni. «Apri la bocca!», dice una voce maschile. Le sta sopra a gambe divaricate. «Apri la bocca!» S. la apre. Un lungo spruzzo di orina. «Inghiottiscilo!», ordina, «Ti inse�gnerò io a ubbidire!» Lei tenta di inghiottire. L'orina è calda e salala e la fa vomitare. Tossisce e vomita allo stesso tempo. Lui la schiaffeg�gia. Ora inghiottisce ubbidiente co�me un bambino, ma lui continua a picchiarla, come se ciò gli facesse particolarmente piacere. La colpi�sce a mano aperta. I colpi sono pesanti, la sua testa gira da un lato all'altro, ma non sente male. Le è già assolutamente indifferente quel che faranno di lei. «Tenta di sbottonarsi la blusa, ma le dita tremanti non riescono a trovare il bottone Allora un soldato perde la pazienza con un gesto esperto estrae il coltello glielo mette alla gola sibilando solo "su!"» «I loro gemiti riempiono la piccola stanza forse dicono qualcosa, bestemmiano S. non prova dolore, qualcosa dentro di lei si è spezzato, è assolutamente calma giace sul pavimento, ha le mani legate» Due donne musulmane bosniache durante l'assedio di Sarajevo: a sinistra, nella foto piccola, la scrittrice croata Slavenka Drakulic

Persone citate: Slavenka Drakulic

Luoghi citati: Sarajevo