I cubani che non piangono Elian

I cubani che non piangono Elian I cubani che non piangono Elian LI distacco delle ultime generazioni di Miami reportage Inviato a MIAMI SANDY ha 25 anni ed è arrivata da un anno da Cuba a Miami, nella terra promessa di chi fug�ge da Fidel Castro. Si è portata dietro la mamma che lavorava come hostess per le linee aere cubane fino a quando ebbe la malagurata idea dieci anni fa di chiedere l'asilo politico in Francia: riusc�a rimane�re sei mesi a Parigi ma poi fu rimandata indietro, subendo tutte le conseguenze. Sandy lavora al Gioia, uno dei ristoranti più «in» di Miami dove puoi trovare ogni sera Becker, il tennista, Ricki Martin, l'ultima trovata musicale degli Sta�tes, oppure l'intramontabile Harrison Ford, il vecchio Indiana Jones, ma non è ancora integrata nella comunità cubano-americana. Eppu�re, malgrado sia arrivata da poco negli States, malgrado provi una profonda avversione per il Lider Maximo, non è una pasionaria del caso di Elian Gonzalez: «Pensano solo alla pubblicità: i cubani di qui e quelli di là». Melany che è nata qui e ha i genitori che vivono a Miami ormai da più di trent'anni, la pensa più o meno allo stesso modo. Anzi, il suo distacco dalla Cuba della rivalsa contro Castro è ancora più marcato. Ormai è americana e non sogna afiatto di tornare nell'isola. Per que�sto il «caso» del piccolo profeta salvato dal mare, non la commuove, per lei è un aspetto del folklore di Little Havana, più o meno come la salsa e i carri de Carnevale. «Ferme si limita a dire il bambino dovrebbe tornare a Cuba insieme al padre e non se ne dovrebbe più parlare». Una settimana fa tre giovani universitari cubano-americani di se�conda generazione, quelli che da queste parti chiamano Yucos (young upwardly mobile Cuban American), per fare una provocazio�ne o una bravata, andarono ad esprimere con un megafono questi concetti davanti alla casa santuario sulla 23esima strada, quella che da quattro mesi ospita il piccolo milagro, il miracoloso. Furono messi in fuga da quel centinaio di persone che bivaccano giorno e notte là davanti. Se non fosse intervenuta la polizia, rischiavano davvero di usci�re da questa avventura con più di un'ammaccatura. E già i giovani cubano-americani la pensano più o meno come l'opinio�ne pubblica americana che per il ei0Zo (secondo un sondaggio di ieri) vorrebbe rimandare Elian a Cuba insieme al padre. Certo non arriva�no all'esagerazione del SS1)*! degli abitanti degli States che vorrebbero addirittura usare la forza per rimuo�vere il bambino dalla casa dei paren�ti di Miami, ma il loro atteggiamen�to segnala la prima frattura genera�zionale in un gruppo etnico fino a ieri considerato monoUtico. Natural�mente la maggioranza della comuni�tà non la pensa come loro, più dell'80% degli SOOmila cubano-ame�ricani di Miami sono d'accordo con i 40 mila che l'altra sera hanno sfilato con fiaccole e cartelli contro la coppia Clinton-Castro per le strade di Little Havana, pregando Iddio affinchè faccia rimanere Elian negli States. Un gruppo notevole, politiciz�zato, che ha spinto ieri i sindaci di Miami, Jo Carello, e della contea. Alex Pen Less, a volare fino a Washington per chiedere al mini�stro della giustizia, Janet Reno, una pausa di riflessione di trenu giorni e un incontro tra il padre di Elian, Miguel, e i parenti di Miami, senza rappresentanti del governo america�no e cubano. L'obiettivo è quello di lasciare alla famigha ogni decisione sul caso. Alla fine sono riusciti a strappare per oggi un faccia a faccia a Miami semprechè che non ci siano nuovi colpi di scena tra la Reno, Lazaro Gonzalez, il pro-zio che attualmente tiene in custodia Elian, e i rappresentanti della comu�nità. Detto questo, anche se la maggio�ranza dei cubano-americani vuole che il milagro rimanda a Miami, c'è una minoranza di giovani (circa il 10" b della comunità) che la pensa in modo diverso. Di più: non tutti gli ottocentomila cubani di Miami sono disposti ad adottare forme di lotta come la disobbedienza civile per spingere l'amministrazione Clinton a sbattere la porta in faccia alle richieste di Castro. C'è una varietà di atteggiamenti, di opinioni che corrisponde alle diverse ondate mi�gratorie che sono arrivate da Cuba. Secondo uno studio pubblicato sul�l'ultimo numero dell'Economist i cubani più chiusi ad ogni tratattiva con il Lider Maximo sono quelli arrivati tra il '59 e gli anni '70 (all'incirca il 55"!*)). Tra i profughi che si sono rifugiati a Miami intomo agli anni '80 gli irriducibih che auspicano una politica dura e di chiusura verso Castro scendono, in�vece, a meno del SO0/*). Mentre tra gli ultimi anrivati, quelli degli anni '90, non più del 3096 sono d'accordo con la linea dell'intransigenza verso il governo cubano. Solo che i primi arrivati, i più ricchi e quelli più integrati nella nazione americana, sono quelli che hanno l'egemonia sulla comunità. Sono loro ^li ideatori e i più convinti sostenitori della scelta dello scontro sul caso di Elian. Una scella che più passano le settimane e più appare senza speranze. Anzi, con questo atteggiamento a guardare i sondaggi i cubano-americani ri�schiano l'autoisolamento dal resto della nazione. Ed è proprio questa la paura che preoccupa l'ultima generazioone, quella che soffre meno la nostalgia e, in fondo, conosce Cuba, Castro e la Rivoluzione solo dai racconti dei padri. Per loro questa trattativa estenuante sulla sorte di un bambino reclamato dal padre, non ha senso. C'è il pericolo che la comunità abbia un danno di immagi�ne, che da cittadini americani che controllano l'economia del sud della Florida i cubano-americani tornino ad esser solo dei profughi, dei rifugia�ti animati da uno spirilo di rivalsa. Sandy ha 25 anni Dice: «Pensano soltanto alla pubblicità quelli di qui e gli altri all'Avana» ce fi 'tìflU Una manifestaiione di protesta contro Clinton e la Reno per il piccolo Elian