KAPUSCINDKI il reporter povero e felice

KAPUSCINDKI il reporter povero e felice Ha dedicato il suo nuovo libro all'Africa, guardandola dal basso, dall'interno e non dal Mediterraneo KAPUSCINDKI il reporter povero e felice Alessandra Orsi MILANO « l' AFRICA è un continente troppo grande per poterlo descrivere. E' un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissi�mo. E' solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denomina�zione geografica, in realtà l'Afri�ca non esiste». Questa è la frase che si legge in epigrafe a Ebano (Feltrinelli) e che Ryszard Kapuscinski ribadisce in modo che sia la premessa a tutta la conversa�zione. «E' importante tenerlo pre�sente perché forse mai come oggi la generalizzazione nuoce alla comprensione di ciò che sta avve�nendo in questo continente. Sen�tiamo parlare di un'Africa senza speranza, destinata al collasso incombente, esclusa da qualsiasi processo di sviluppo. Credo che sia necessario tener conto che oggi ci sono 52 Paesi indipenden�ti, dove, certo, la liberazione non ha coinciso con il benessere, ma ci sono molte aree geografiche dove almeno da un punto di vista politico si stanno creando le pre�messe per un miglioramento, co�me Senegal, Mali o alcuni Paesi vicini al Sudafrica. Poi ci sono Paesi, come la Somalia, in cui lo Stato è praticamente disintegra�to e non c'è modo di instaurarlo nuovamente. Al suo posto si crea una sorta di vita regionale che opera attorno ai mercati locali, con un basso standard di vita ma senza grossi problemi di gestio�ne. Mi pare una cosa interessan�tissima perché segna il ritomo a una condizione pre-coloniale: si usano le vecchie strade per rag�giungere il mercato, ci si stabili�sce a vivere lungo i fiumi, non si ha più la misura di cosa sia un confine e c'è il ritomo al nomadi�smo. Recentemente ho chiesto a un contadino somalo: qual è il tuo paese? E lui mi ha risposto alla maniera dei Tuareg: il mio paese è dove c'è la pioggia». Alla maniera di questi nomadi Kapuscinski ha girato l'Africa per quarant'anni, inseguendo rivolu�zioni, guerre, carestie, lasciando�si guidare dai racconti delle perso�ne che incontrava, le voci che ora diventano protagoniste del libro. «E' fin troppo banale dire che l'infoimazione è cambiata: devi capire che cosa è attraente e quanto vale quell'attrazione. La prendi, la diffondi e fai soldi. Per chi ha fatto sempre informazione con e tramite le persone, viene il momento in cui devi scomparire, metterti al loro servizio, comin�ciando a condividere i loro proble�mi. Per questo mi sono reso conto che lo svantaggio di avere pochi soldi la mia agenzia non poteva pagarmi i mezzi che spesso sareb�bero stati necessari spesso si è rivelato una fortuna, perché cosi ho incontrato gente straordina�ria, gente che poi è stata la fonte stessa del mio lavoro». Come quando descrive il ro�cambolesco arrivo a Zanzibar do�po il colpo di Stato, quando è lui a fornire il contatto fondamentale a un giornalista francese che aveva s�un elicottero ma non il permesso di atterrare sull'isola. Ma la via povera alla comprensio�ne delle cose scarpe, taccuino e intuito comportava anche pau�ra, malattie, o addirittura il ri�schio di morire per il morso di un serpente. «Non credo che per me esista altro giornalismo che quel�lo che chiamo intenzionale: che ha uno scopo e che vuole contri�buire a qualche cambiamento. Penso che oggi questi cambia�menti siano avvenuti. Proviamo a spostare il punto di vista e guardare l'Africa dal basso e non dal Mediterraneo. Il Sudafrica liberato può rappresentare una risorsa per molti altri Paesi e se oggi guardi la televisione, che so, a Dar Es Salaam, vedi che al telegiornale, dopo le notizie inter�ne, ci sono quelle internazionali e africani: è la prima volta che succede ed è il segno che si sta sviluppando una nuova coscien�za africana. E' quasi paradossale, ma proprio oggi l'Africa agli afri cani che era uno slogan degli Anni Sessanta acquista un signifi�cato. Prima la vita politica era dominata dal rapporto che cia�scun Paese aveva con le grandi capitali europee. Ora non è più cosi, basti vedere quel che è successo con le guerre in Liberia o in Sierra Leone dove c'è stato un intervento della Nigeria e del Ghana e viceversa, nel caso del genocidio ruandese, il fallimento che si è percepito perché nessun Paese africano è stato in grado di intervenire. Onesto nuovo senso di identità ha delle ripercussioni anche sul piano linguistico, e quindi culturale». Scrittori nigeriani che scelgo�no lo yoruba anziché l'inglese, o il kenyota Ngugi wa Thiong'o che scrivi; in kikuyu e lo motiva in un libro che esce proprio in questi giorni anche in italiano con il titolo Scostare il centro del mon do (Meltemi), ma anche la recen�te conferenza di Asinara dedicata aila rinascita delle lingue africa�ne. «Proprio cosi: quello in cui hanno fallito i grandi padri del nazionalismo africano, da N'Krumah a Nyerere, sembra rinascere oggi con altre premesse, e natu�ralmente altre prospettive. Pro�prio qualche tempo fa mi è capita�to di incontrare giovani senegale�si e ivoriani che parlavano, oltre al wolof, l'inglese meglio del fran�cese: una cosa impensabile fino a poco tempo fa. Alla mia domanda stupita, un ragazzo mi ha rispo�sto: "be', prima il mio capo era a Parigi, oggi è negli Stati Uniti...*)». Una nuova identità che non prefi�gura certo un ribaltamento dei rapporti di forza, ma che muta anche la condizione di un bianco europeo che visita una citta afri�cana. «Qualche tempo fa ero a Kampala, città che ricordavo ai tempi dell indipendenza comi'mi�sta, piena di indiani, europei, gente di tutti i colori. Oggi è una grande metropoli nera al cento percento e, come bianco, ti senti uno a cui viene ricordalo di coni inno che sei un ospite tempo�raneo. Credo che questo sia l'ulti�mo passo del processo di libera�zione dal colonialismo, di cui la svolta fondamentale è stata natu�ralmente la fine della guerra fred�da, quando le grandi potenze hanno cessato di avere interesse per l'Africa». Nessuna nostalgia in queste considerazioni, anzi per Kapu�scinski, che ha come modelli Mark Twain, Ernest Hemingway e Gabriel Garda Màrquez, e l'oc�casione per avere anche uno sguardo ottimista, che in questo lavoro non guasta. Perché giorna�lismo significa per lui condivisio�ne del destino di coloro di cui si parla. «L'obiettività è importante ma non vuol dire indifferenza: non potrei mai essere indifferen�te a chi mi sta di fronte, Anche le storie che scrivo sono frutto di un lavoro collettivo, di cui la penna che scrive è solo il risultato fina�le». Ma come si schiera uno scritto�ri', che con Imperium e ora con Ebano ha dimostrato di saper tenere molto vicini cuore, cervel�lo e penna, nel dibattito che vede gli africani come ulteriormente perdenti nella nuova rivoluzione tecnologica? «Con scetticismo, ma cercan�do una via di mezzo. Mi spiego: non credo che l'Africa siti di front'.! a un'apocalisse come so�stengono alcuni, ma non penso nemmeno che Internet la salve�rà. La mancanza di infrastruttu�re è e resta uno dei maggiori problemi comuni a quasi tutti i Paesi del continente e però di fronte a quelli che dicono che il problema è l'omologazione, la macdonaldizzazìone del tuonilo, be', non posso che rispondere con una battuta; magari ci fosse un MacDonald in tutti i Paesi che ho visitato! Avendo girato tutto il mondo negli ultimi cinquant'anni ho imparato che la diversità è la caratteristica più impoti ante. Ogni tanto abbiamo bisogno ili identificare tenden�ze, le rotte che l'umanità sta seguendo. Credo che questo sia un nostro bisogno di interpreta�zione, ma la realtà è fatta ili tendenze diverse, spesso in net�ta contrapposizione da una parte i regionalismi, dall'altra la globalizzazione, tanto per fare un esempio e l'accettazione di queste varietà è la lezione più importante eh j ho imparato nel�la mia vita». «Ho viaggiato tra guerre rivoluzioni e carestie Mi sono reso conto che lo svantaggio di avere pochi soldi spesso si è rivelato una fortuna. Solo cos�ho potuto incontrare gente straordinaria, che poi è stata la fonte stessa del mio lavoro» Ryszard Kapuscinski inelln foto) e nato a Pinsk. oggi Bielorussia nel 1932. Dopo gli studi a Varsavia riusc�a farsi mandare in Africa dall'agenzia di stampa polacca Pap viaggiando da un Paese all'altro senza disponibilità economiche e mettendo a frutto la forza della curiosità. Una strada che gli ha penne^so di costruire un ritratto indimenticabile di Haile Selassie ne II Negus. Splendori e miserie di un autocrate, o a descrivere il lavoro di giornalista ne La prima guerra del football e altre guerre di poveri per poi tornare a raccontare l'Europa delle sue origini con Imperium. forse il libro più rivelatore di quelli scritti sulla fine del comunismo Dopo aver presentato Ebano ieri sera a Milano, oggi Kapuscinski sarà a Roma, al Teatro Argentina alle ora 18 per un incontro pubblico presentato da Ezio Mauro. Prendere in mano un libro di Kapuscinski e come avere accesso al taccuino segreto di uno dei più grandi reporter del dopoguerra. I suoi racconti riguardano Paesi presi in considerazione solo in occasione di guerre, carestie o colpi di Stato, ma l'elemento importante e che contengono un punto di vista che privilegia ciò che apparentemente «non fa notizia" L'obiettivo e puntato su volti anonimi, su eventi che mal saranno menzionati nei libri di stona. Per chi non lo ha mai letto, accostarsi a Kapuscinski attraverso Ebano, che esce in questi giorni da Feltrinelli, potrebbe essere una rivelazione Scoprirebbe, per esempio, che si può parlare di Africa senza paternalismo ne retorica