È morto Burghiba, arabo d'Occidente

È morto Burghiba, arabo d'Occidente È morto Burghiba, arabo d'Occidente Creò la Tunisia moderna, fu estromesso dal potere 13 anni fa TUNISI L'ex presidente tunisno Habib Burghiba è morto ieri, quasi centenario, a Monastir, sulla costa orientale del Paese. La sua età nemmeno lui la conosceva esattamente: per le biografie ufficiali comunque era nato il 3 agosto 1903. Domani le autorità hanno previsto per i suoi funerab ampie misure di sicurezza attendendo una folla enorme. Nella casa dove è morto, Burghiba ha vissuto negli ultimi 13 anni, da quando fu costretto a trasferirvi�si dopo essere stato esautorato dal suo primo ministro e attuale presidente Ben Ali, perché, si disse, incapace fisicamente e mentalmente di adempiere alle sue funzioni. Ben Ah ha decretato sette giorni di lutto e ha disposto funerali di Stato con la sepoltura nel mausoleo di famiglia a Mona�stir. All'annuncio della morte, la radio e la televisio�ne di stato hanno immediatamente sospeso i normali programmi ed hanno iniziato a trasmette�re versetti del Corano. La salute del vecchio leader era peggiorata negli ultimi tempi e la famigha gli si era stretta intomo. Il figlio Habib Burghiba junior, la figlia adottiva Hajer e i suoi nipoti lo andavano a trovare tutti i giorni. I primi di marzo un'infezione polmonare lo aveva costretto a dieci giorni di ricovero nell'ospedale militare di Tunisi. Tornato a casa, la sua salute era peggiorata. {Ansa] personaggio Igor Man ■ Grandi Vecchi se ne vanno. La rosa dell'ultima Storia ha per�duto, in questo scorcio del no�stro tempo ambiguo, non pochi jetali. Ne ricorderemo due che lan staccato il biglietto di sola andata prima di Burghiba: non anagraficamente vecchi davvero, come lui, ma storicamente senz'al�tro: entrambi figli-protagonisti di quell'assemblaggio inquietante di miseria e nobiltà, di ricchezza e di fame, di dispotismo e disgrazia, di petrolio e di sabbia che, sbrigativa�mente, cliiamiamo Mondo Arabo. Hassan II, intelligente sovrano despota, colto e cinico ma fragile nella sua insospettabile vanità: durante il ricevimento in suo ono�re, al Quirinale (regnando Cossiga) gli dissi, scherzando, che il doppio�petto che indossava al mattino m'era parso pieno di difetti. Mi prese sul serio: «Eppure il sarto è sempre lo stesso», disse sconsola�to tanto che non ebbi il coraggio di dirgli che la mia era solo una boutade. Più problematico Hus�sein, tormentato, sino all'ultimo, dalle «indiscrezioni» che lo voleva�no in continua (clandestina) navet�te tra Amman e Gerusalemme. Non scorderà mai il suo pallore quando, nella prima intervista che il Piccolo (grande) Re mi con�cesse, gli riferii (era il 1970) il giudizio sprezzante che di lui mi aveva appena dato una «delusa» Golda Meir. Burghiba: chi scrive lo ha incon�trato non poche volte ma gli ha parlato soltanto una volta. Fu quando il nostro ministro degli Esteri, Colombo, volò a Tunisi per sbloccare una «vertenza pesche�reccia» più delicata delle altre. Colombo col suo fare sornione che tuttavia nascondeva una fredda determinazione tipica dei grossi diplomatici-politici, riusc�a far scarcerare una ventina di nostri pescatori siciliani, a far revocare il sequestro dei pescherecci. Un v ro successo, una festa che Bur�ghiba volle allargare all'allora no�stro ministro dell'Agricoltura, Mannino, invitandolo subito a Tu�nisi. Il protocollo saltò, in quell'oc�casione fausta, e Colombo mi pre�sentò al vecchio Presidente. Co�stui, intrigato dal mio cognome, mi chiese se fossi ebreo. Man con ima sola N, risposi, non sono ebreo ma se lo fossi? «Io sono amico degli ebrei rispose -, qui a Tunisi ne abbiamo tanti, ne aveva�mo tantissimi di ebrei di origine italiana. Persino comunisti, ne ricordo uno in particolare, un ottimo farmacista, il dottor G.», rispose. E' sempre dell'avviso. Pre�sidente, gli chiesi ancora, che il mondo arabo debba, rnalgré tout, accettare Israele? «Senz'altro, l'ho già detto e pubblicamente», disse. L'uomo che ricordiamo con queste note, in verità era già morto: politicamente. Da tredici anni. Allorché, il 7 di novembre del 1987, ad ore 6,30 del mattino, il «delfino» di Burghiba, il primo ministro generale Zine el-Abidin Ben Ab, annunciò alla radio di aver assunto la presidenza della Repubblica giusta l'articolo 57 della Costituzione (che prevede la rimozione del presidente se «inca�pace di intendere e volere»), in quel preciso momento finiva in Tunisia un Regno repubblicano è nasceva, col forcipe, ima Repubbhca senza sovrano. Cominciava il dopo-Buighiba. Con lui, il Combat�tente Supremo, vivo e ingombran�te più che mai, furiosaitente de�presso, che rifiuta, ululando, di salire sull'elicottero che dovrà tra�sportarlo nel buen ritiro di Mornag (una manciata di chilometri da Tunisi) destinato, fatalmente, a diventare l'anticamera della sua tomba. Una fine mortificante: ci volle�ro tre ore per «convincerlo» a strapparsi dalla poltrona fra i cui braccioli s'era accucciato, cos�co�me i bambini, terrorizzati dall'annunciata puntura del pediatra, si rifugiano sotto il letto o tra le braccia pietose della «tata». Il dopo-Burghiba cominciò in un cli�ma a metà tra la tragedia shake�speariana e la telenovela meridional-africana. Ma ora che la Gran�de Falce ha reciso l'ultimo filo della sua vita possiamo scrivere che se Burghiba esce definitiva�mente di scena non proprio come Re Lear, sarebbe ingiusto parago�narlo a un personaggio di Giacosa. Per cercar di capire questo leader invero carismatico, almeno secondo la famosa definizione di Max Weber, converrà fermarsi su quella fotografia ufficiale del Com�battente Supremo implacabilmen�te esposta, sempre la stessa, dal 20 di marzo del 1956, giorno dell'indi�pendenza, sino a quel fatale 7 di novembre del 1987 (ma nella Me�dina qualche mercante lo espone tutt'ora). Un bell'uomo dallo sguardo pe�netrante, i capelli ben spartiti a rendere più vasta la fronte, un doppiopetto di taglio impeccabile, la cravatta chiara, l'ampio torace attraversato dal Gran Cordone dell'Ordine Nazionale, la mano rosala sulla Costituzione ch'egli la giurato di difendere. Decisa�mente una iconografia retro, inso�lita nel cosiddetto Terzo Mondo, dove i capi debbono mostrarsi al popolo tnacìii, e possibilmente in divisa. Ed è qui la specificità di Burghiba: volle sempre apparire quello che era. Un borghese rifor�mista, impegnato nella sintesi fra la sua cultura e quella dell'Occi�dente. A cavallo di due mondi e soprattutto di due logiche, quella di Cartesio, quella dell'islam, la Tunisia di Burghiba si è sempre battuta per smentire la sconsolata profezia di Rudyard Kipling: «L'Oriente è l'Oriente, l'Occidente è l'Occidente: non si incontreran�no mai». Ma la sintesi non si è compiuta sotto il regno di Burghi�ba per le contraddizioni di un arabismo laico sempre meno credi�bile agli occhi d'un paese dove il 70 per cento della popolazione ha meno di 25 anni. E stenta a com�piersi per oggettive difficoltà non soltanto culturali nella Tunisia di Ben Ah, pragmatico presidente dai toni apparentemente democra�tici, volitivo al massimo. Raccontano che quando, con la sua squadra di militanti entusia�sti e devoti egli, Habib Burghiba, dopo dieci lunghi anni di arresti, galera ed esilio ottiene l'indipen�denza «a tavolino», dicono che rivolgendosi ai suoi giovani (come lui, più di lui) collaboratori abbia esclamato: «Con me si è affermata una scienza politica, il burghibismo, che fa leva sull'idea del possibile e dol compromesso ono�revole». Sennonché il Comballonte Supremo instaura un potere assoluto, meentrato sul partito unico, il neo-Destour, che lo porte�rà nel corso del tempo a trascorre�re da un'esperienza all'altra, so�vente nel segno della contraddizio�ne più smaccata, rimanendo tutta�via sempre fedele allo «spirito di servizio» di inarca francese. Raramente nella Storia s'è avu�ta una simbiosi tanto perfetta tra il leader e il popolo. («L'uomo produce Storia a condizione di accettare d'essere il prodotto della Storia»). Quando Burghiba nacque (il 3 di agosto del 1903), ultimo di selle figli d'un ufficiale del Bey, la Tunisia attraversava una fase di profonda mutazione che doveva esasperare le contraddizioni inter�ne tra la pressione del coloniali�smo francese e la fame d'indipen�denza di tutto un popolo. In codesto popolo, nell'uomo che sarebbe diventalo il suo lea�der, si ritrovano le ricchezze, le qualità complesse d'un passato tumultuoso e zigzagante; lo spiri�lo libertario dei Berberi, l'audacia e l'abilità cartaginese, la logica romana, la fede e il sentimento arabo, il rigore turco, la cultura razionalista della Francia. Jean Rous, in una biografia di Burghiba non troppo agiografica ha scritto che a un paese domina�to dal «melting poi» qual la Tuni�sia, occorreva un uomo di sintesi. Ma, s'è già dello, la sintesi tra Cartesio Q l'islam non si ó compiu�ta. Ciò spiega perché Burghiba, l'uomo che osò sfidare gli «ulema» tracannando un bicchiere di succo d'arancia nel bel mezzo del Rama�dan per affermare con un suo tipico gesto teatrale che il digiuno islamico «uccideva il progresso» sicché bisognava abolirlo, sia sta�lo costrelio in larda età a subire gli integralisti. Burghiba non disdegnò la «col�laborazione» degli islamisti per arginare, negli anni G0-70, l'onda�la mao-marxista, adoperando le mazze di ferro e agitando la ban�diera del panarabismo. Uopo i fatti del gennaio del 1970 allorché la Ugtt (la centrale sindacale) vie�ne decapitata, spariscH in fatto l'opposizione laica, prendi; vigoriquella religiosa. Le moschee co�struite senza risparmio ila Burghi�ba per accattivarsi gli integralisti a danno dei «rossi» divengono vere e proprie cellule di aziono politica. In tale congiuntura stori�ca scoppia la rivoluzione di Khomeini. Sarebbe incauto affermare che il fallimento del «cartesianesimo arabo» sognalo, postulato e imposto da Burghiba sia dovuto al messaggio lolalizzame dell'imam persiano. Tuttavia una cosa appa�re certa: la religiosità per un concorso di circostanze, ad esem�pio, la laicizzazione forzata e le crisi interne, ha fatto larga brec�cia in Tunisia spiazzando Burghi�ba, continuando a crear problemi, e non da poco, anche all'accorto Ben Ali. In qualche modo subito dall'establishment arabo che lo consi�derava troppo occidentalizzato, Burghiba cercò invano di far trionl'arn la ragione sulla passione. Nel 1972, al convegno dei non allinea�ti, in Algeri, egli disse chiaro, in un silenzio gelido, che la chiave per risolvere il conflitto aralm-israeliano era la risoluzione 181 dell'Onu, quella che nel 1947 sparti la Palestina in due Siali; uno ebraico, l'altro arabo-palestinese. Sodici anni dopo, nello stesso «Club des Pins.; di Algeri, Arafai doveva oslrarre quella medesima chiave già buttata dagli arabi nel�la «spazzatura della Storia» accet�tando giustappunto la 181 unita�mente con la 242 e la 338; ricono�scendo perciò Israele. Epperò Bur�ghiba non amava Arafai né i palestinesi «fonte di guai». Li ospi�tò dopo la tragedia libanese per�ché la moglie VVassila ce lo costrin�se e quando gli israeliani bombar�darono gli uffici dell'Olp a Tunisi colse l'occasione per levarseli di tomo. Negli ultimi tempi dot suo re�gno piagato com'era dal morbo d�Parkinson, dopo la cacciala della moglie (successivamente ripudia�la), dopo la brutale defenestrazio�ne di 'Mzali, Habib Burghiba, ve�glialo dalla premurosa nipote Sal�da Sassi (dormiva su di un mate�rasso gettato davanti alla sua por�la) era comincialo a sembrar «ca�priccioso» come poteva esserlo un vecchio vecchissimo convimo nel suo intimo di poter regnare alla stregua di Luigi XIV o di Solimano il Magnifico. Qualche tempo fa la vedova di Mendès France ebbe il permesso dal generale Ben Ali di visitare Burghiba a Mornag, Descrisse, poi, il Coinbaltente Supremo co�me un vecchio signore un po' nostalgico e querulo ma non privo di humour; «Tallo va bene in me, salvo me stesso». Un «golpe costituzionale» gli tolse, nel rapido volgere di 24 ore, quel potere che egli deteneva da trent'anni, regnando e governan�do «cos�come ognuno di noi respi�ra, con evidente naturalezza», por ritare Jean Lacoulure. Ora la fu�ria degli anni (se li calava, ne avrà avuti conto) ha sponto un uomo che ebbe una visione diremo golli�sta del suo ruolo. Il vecchio Combattente Supremo, il padre-padro�ne della Patria, l'edificatore della Tunisia moderna, unico capo ara�bo che abbia dato alle donne l'aborto terapeutico di Stato, il condottiero gramsciano, è finito in un angolo come un cappotto logoro. Nato nel 1903, portò il Paese all'indipendenza dalla Francia e governò da «monarca repubblicano» Il 7 novembre 1987 venne deposto dall'attuale Presidente perché «incapace di intendere e di volere» Fu un pioniere del riconoscimento di Israele Sfidò gli islamici lasciando libertà suiprecettf religiosi Riconobbe i diritti alle donne L'ex presidente tunisino Habib Burghiba