La rivoluzione di Stravinskij

La rivoluzione di Stravinskij La rivoluzione di Stravinskij li compositore che seppe innestare fé più ardite sperimentazioni nel solco della musica popolare russa: i contemporanei lo giudicarono di volta in volta un barbaro, un provocatore, un enigma, non riuscivano a mettersi d'accordo nemmeno sulla grafia del cognome. Schoenberg lo defin�«il piccolo Modernsky che zampetta con papà Bach» li compositore che seppe innestare fé più ardite sperimentazioni nel solco della musica popolare russa: i contemporanei lo giudicarono di volta in volta un barbaro, un provocatore, un enigma, non riuscivano a mettersi d'accordo nemmeno sulla grafia del cognome. Schoenberg lo defin�«il piccolo Modernsky che zampetta con papà Bach» La rivoluzione di Stravinskij . SANDRO CAPPELLETTO HE scandalo (piando panigono 1 artista a un calzolaio che devi; imparare bene il suo mestiere; quando sradicò il caposaldo, tutto occidentale, dell arte co�me episodio creativo irripetibi�le, legalo alla soggettivila del�l'autore e, nel caso della musi�ca, moltiplicato nel suo valore dalla qualìia dell'interpretazio�ne. Bisogna invoco conoscere bono lo regolo dol proprio lavo�ro e, por quanto riguarda i direttori d'orchestra e �solisti, loro dovere è soltanto «inoltero a punto l'osecuzione di una mia partitura». Il inondo musicalo europeo è sconvolto dalla pubblicazione dolio «ChroniquQS de ma vie» (Parigi, 1935) di Igor Fodorovic Stravinskij, il barbaro russo venuto noi cuore del continen�te colto por colpirlo e. derìderlo, por negarne il primato. V. reagi�sce: in Italia, il primo libro che osa guardare negli occhi (inolia Medusa è lo «Strawinsky» di Gian Francesco Malipiem, com�positore, saggista, infaticabile organizzatore, uno dei signori della musica italiana di allora. Esco in edizione numerata nel 1945 por lo edizioni del Cavalli�no di Carlo Cardazzo, già allora uno doi galleristi italiani più attenti all'arto contemporanea. Un bel libro, invidia di ogni artigiano editore: la copertina che riprende un ritrailo stravinskìano di Picasso, altri dise�gni picassiani e di Cocloau, una sconvolgente fotografia dol pri�mo allestimento del «Sacro du prinlomps» del 1913, con i danzatori della compagnia di Diaghilev che sombrano dei cosacchi venuti a colonizzare gliChamps-Elysées, alcuni boz�zoni dell' "Oedipus Box" o di "Renard", o tante foto di Igor, ino elegantissimo dallo sguargio dal bebò, adolescente, g mo elegantiss�do d�ghiaccio. Dopo una apparizione, invol�garita, in una collana di quel bucaniere dell'editoria italiana Anni Ottanta che fu Studio Tosi, il volumetto di Mulipiero viene restituito alla sua bellez�za da una ristampa curata anco�ra dal Cavallino di Venezia, questa volta per iniziativa di Paolo Cardazzo. E poiché i libri che servono riappaiono quando c'è bisogno di loro, rileggere Malipiero oggi mentre l'Euro�pa continua a flagellarsi, a sentirsi colpevole, comunque in ritardo, sia che guardi a Est, sia a Ovest significa percorre�re un viaggio verso le radici di questo sentimento che ancora ci percuoto di crisi dell'assolu�to e doi suoi valori. Stravinskij ò falso, dicono i musicisti europei: i composito�ri, jjli interpreti, i critici; e Malipiero, perfettamente contemporaneo del russo, come lui nato nel 1882, riassumo, anche con ammirevole attitudine d�cronista, gran parte di questa sequoia di preoccupate stronca�ture. A cannoneggiare, aveva cominciato Arnold Schoenberg, già negli Anni Venti, dedicando a Stravinskij l'irriverente tosto di una dello «Tre Satiro»; «Chi ò che /.ampolla? Ma sì, il piccolo Modernsky! Si è fallo fare una treccina e quanto è caniccio con i suoi veri capelli finti. Sembrano una parrucca: pro�prio come papà Bach (come se lo immagina il pìccolo Modern�sky)», Lasci stare Bach, non lo tocchi con lo suo mani impure, ammonisco Schoenberg; non giochi con le stollo fisso del cosmo europeo. Nel 1925, al Festival di musica contempora�nea d�Venezia, Stravinskij ave�va osato presentare e interpretare la Sonata por pianoforte, invadere cioè il territorio della forma pura bachiana: aveva giocato col sacro fuoco, trasformando l'arto in maniera. «Non c'è più bisogno del samovar», commenta Malipiero, Il russo che aveva portato a Parigi i ritmi pagani e arcaici di «PeIrouchka», «Uccello di fuoco» e «Rito della primavera», ha cam�biato gusto: «Dopo di che non rosta che ammettere a priori le più inverosimili evoluzioni stravinskiano e ciò per evitarci il titolo di ignoranti». L'attacco di Schoenberg non viene riportato nel libro di Malipiero: ci vorrà ancora del tempo accadrà nel secondo dopoguerra perché gli italiani smettano di guardare a Parigi come capitale della musica eu�ropea e si rivolgano a Vienna, alla triade Schoenberg-BergWoborn e alla scrittura dodeca�fonica. Unico è il riferimento a Schoenberg, e demolitore: «Questi ha inventato" un siste�ma armonico, la dodecafonia. L'ha inventato, ma è fuori que�stione, perché non è musica». Presuntuosa provincia italica: passeranno neppure venfanni e assisteremo alla cosiddetta «svolta dodecafonica» di Stra�vinskij! Nella prefazione alla ristam�pa del Cavallino, il compositore Claudio Ambrosini coglie con esattezza il nucleo dell'atteggiamonlo di Malipiero: «Sente nel collega sia il talento che le capacità tecniche per far fare alla musica altri balzi in avanti balzi cos�arditi da essere per lui inimmaginabili e si ramma�rica quando alle abbaglianti promesso iniziali (il periodo iauve) seguono sterzate od ope�razioni che gli sembrano delle caduto di qualità». Un «odi et amo» e il dubbio di fondo: Stravinskij ò vero o falso, ò volto o maschera, quante sono lo polli di quel camaleonte? Come non odiarlo quando demolisce il postulato romanti�co dell'originalità o intuisce, come il suo contemporaneo Walter Benjamin e duo genera�zioni prima d�Andy Warhol, i principi della citazione e della riproducibilità dell'arte? Scri�vo Stravinskij nello «Crona�che», a proposito dell'oratorio Oedipus Rex: «Adottando poi una forma già usata o già consacrata l'artista non si tro�va per nulla ristretto nella manifestazione della propria personalità, anzi questa s'av�vantaggia in rilievo quando si muovo in un quadro convenzio�nalo e determinato. Ecco ciò che mi spinse ad adottare for�mule anodine e anonime di un'epoca lontana». Stravinskij prova «gioia a comporre su un linguaggio convenzionale, (|uasi rituale». Acidissimo, chiosa Malipiero: «Quello di Stravin�skij ò un salto mortale che forse continua tuttora e non sappiamo come cadrà quando toccherà terra. Dubitiamo che possa toccare il cielo che que�sta sarebbe una fino troppo romantica per un uomo di mestiere». Altro orrore, l'ex russo non ha più né «spirituali�tà», né «entusiasmo», compone solo su commissione o solleci�tato da particolari occasioni. Lavora a cottimo: tu chiedi e lui dà. Ma non faceva cos�anche Bach, ogni domenica una nuova cantata, come co�mandava la chiesa di Lipsia che ne pagava i servizi? A Malipiero che, sdegnoso del mondo, si chiuderà nella sua villa di Asolo, apponendo al cancello l'ammonimento «Om�nia immunda immundis». com�missioni e occasioni non piac�ciono. Altri artisti, di Stravinskij hanno timore. Le loro testimo�nianze sono raccolte in un numero monografico del 1938 della parigina Revue musicale. Arthur Honegger, perfino con una punta di antipatia etnica, ha potuto «misurare come lu�veda tutto sotto il punto di vista del mestiere; la sua atti�tudine anti-romantica è il sug�gello della sua costituzione estetico-fìsica: sfruttamento commerciale dell'opera e del mestiere». Il pianista polacco Arthur Rubinstein, grande virIL RITRATTO tuttoLibritempoLibero Rubinstein lo considerava un tiranno: «Lesecutore è ridotto a triste servitore»; Petrassi ammirò i «Salmi», Casella lo defin�«un genio, che ci può ricordare Mozart» tuoso, è amareggialo: «Per la sua musica l'esecutore deve essere un triste servitore che esegue ciecamente gli ordini deli'autore». Alfred Cortot, al�lora il massimo interprete di Chopin, dà un giudizio più sfumato e lo immagina con «la blouse du praticien seduto al pianoforte, giudice e parte le�sa, inventore e critico, geniale e industrioso, computando i parossismi, dosando i volumi e i contrasti, maestro degli ecces�si come delle restrizioni». Un mago, un funambolo. Ma Igor Fodorovic se n'è già andato: vive ormai negli Stati Uniti, scrive Concerti che cita�no Bach commissionati da ric�chi mecenati e, da lì, grida ai suoi critici europei: «Non fac�cio violenza su me stesso per soddisfare le aspirazioni di coloro che, nella innata cecità, non si rendono conto che m'in�vitano semplicemente a fare macchina indietro». Chi è cieco e chi pre-vede? La musica del futuro è arte o accademia, stile o maniera? Ma prima di trasfe�rirsi in California, l'irriverenle bulimico ha composto prime esecuzioni parallele, nel 1930, a Bruxelles e Boston, natural�mente su commissione la «Sinfonìa di Salmi», che recentemente il Times ha giudicalo, nell'inevitabile classifica di fi�ne secolo, la musica più signifi�cativa del Novecento. Quando, pochi anni dopo, Goffredo Petrassi ascolta i «Sal�mi» in una esecuzione romana, sento «qualcosa di completa�mente nuovo e diverso, capace di smuovere la mìa esperienza più profonda degli archetipi antichi u di trasformarla in qualcosa di attuale che improv�visamente scoprivo presente in me». Comprende che Stravin�skij ha offerto un altro dono, rendendo vive le arcaiche into�nazioni liturgiche della tradi�zione ortodossa e, per l'occasio�ne, togliendo dalla sua orche�stra strumenti troppo compro�messi col detestato sentimenta�lismo: via i violini, le viole, i languidi oboi. Solenne eppure spoglia, questa musica cos�consapevole delle forme che cita e nel cui stampo volentieri si cola, suona come inaudita. Nel 1947 Alfredo Casella, le cui intuizioni critiche, accom�pagnate dalle iniziative come organizzatore musicale (le pri�me italiane di «Pierrot Lunaire» e «Wozzeck») appaiono più resistenti della sua musica, dedica al principe Igor un sag�gio pubblicato dall'editrice La Scuola, che evidentemente in�tendeva cosi fare opera di divulgazione di massa! Contri�buendo a confondere le idee sulla grafìa corretta di quel cognome, cambia, rispetto a Malipiero, la finale: «Strawin�ski». Nemmeno su quello riu.scivano a mettersi d'accordo' Ma Casella ha un coraggio leonino: r«enigma Stravinskij» finalmente si può sciogliere. rivelando la vera lezione di «quel genio che ha costruito un nuovo, superiore ordine laddo�ve la musica europea sembra�va dovesse naufragare nel�l'anarchia. In questo suo carat�tere di universalità, l'azione di Strawinskij ci può ricordare qufliia di Mozart, che riusc�a creare un'arte veramente europoaclopo aver assimilato infini�te esperienze italiane, france�si, inglesi, tedesche, austria�che. E' questo lo spirito che dovrà guidare domani gli arti�sti della risorta Europa». Certo che solo la conoscenza degli altri linguaggi permetterà ad ogni artista di difendere la propria specificità. Casella tutlavia non osa varcare le colon�ne d'Ercole della civiltà euro�pea, anzi escludendo l'Oriente. Aveva pur scritto Yeats: «Le cose crollano il centro non può reggere». Stravinskij è sempre «vero», quando cite seducenti melopee orientali oppure lo rigorose forme di Bach, l'adorato lievis�simo Ciaikovskij o la profondi�tà senza tempo dei monaci ortodossi. «Una curiosità qua�si infantile lo spinge a smonta�re il giocattolo il capolavoro che ha sotto le mani; e una malizia quasi ingenua a rimon�tarlo "diversamente", perché acquisti un significato indivi�duale». Parole di Pierre Boulez, nei suoi «Punti di riferi�mento» pubblicati nel 1981 (tradotti da Einaudi tre anni dopo). Il compositore e diretto�re francese chiarisce mirabil�mente ratteggiamento di Stra�vinskij: lui «gioca». «Il gioco è a volte piacevole, a volte terri�bilmente serio, in quanto ri�mette in causa la necessità della creazione». Il gioco, «che può scendere nel più profondo della verità e del malessere», rimette in discussione «l'accu�mulo di cultura» che ci circon�da e del quale soltanto un «puro folle» potrebbe pensare di sbarazzarsi. Schoenberg non tollera quei «veri capelli finti»; Malipiero nega che per un artista sia possibile «gioca�re»; Casella comprende che solo il gioco dell' intelligenza consente di governare quella che gli appare come una perico�losa «anarchia». Però Boulez, settantacinque anni nel Duemi�la, il veleno del dubbio se l'è tenuto nella coda: «Un compor�tamento del genere è in grado di appagare a lungo chi lo adotta?». per primo scrisse in Italia nel '45 un libro su di lui: ne elogiava il talento, ma temeva i «salti mortali» del mestierante che lavora a cottimo