Rifkin: il buio oltre la Rete di Mario Baudino

Rifkin: il buio oltre la Rete Al Politecnico di Milano studenti ed esperti contestano l'autore dell'«Era dell'accesso» Rifkin: il buio oltre la Rete Processo al guru della nuova economia Mario Baudino inviato a MILANO JEREMY Rifkin piomba al Politecnico e chiede a una platea di studenti: «Secon�do voi, perché nessuno vuoJ le più essere come la Gene�ral Motors, che ha tante fabbriche e tanti operai, e lutti vogliono fare come Nike, che non ha fabbriche sue, pratica l'outsourcing ovvero fa preparare le scarpe da altri, in lutto il mondo, e sostanzialmente vende un'immagine?». La risposta è semphce, anche se «Carlo Marx si rivolterà nella tomba: siamo a una nuova forma di capitalismo». Ovvero, siamo entrati in pieno «nell'età dell'accesso», dove il mer�cato è slato sostituito dalle reti, non si vendono più «cose» ma si danno a nolo servizi ed esperienze, e la prima merce è la cultura. Rifldn, diventato celeberrimo per lo studio sulla i^ne del lavoro. è un economista allento all'am�biente e alla tecnologia. E poi è attratto dalle grande sintesi, e impareggiabile creatore di procla�mi ad alla intensità: «Il viaggio del capitalismo, comincialo con la mercificazione dello spazio e della materia, terminerà con la mercifi�cazione del tempo e della durala della vita»; o anche: «Nella nuova era esistere significherà essere col�legato alle infinite reti che costitui�ranno la new economy. Essere abbonalo, membro o utente sarà altrettanto importante di possede�re, e sempre più l'accesso, non il puro e semphce possesso, sarà l'elemento determinante dello sta�tus sociale del singolo». Ossia, «non essere connessi è la morte». Sono tulle proposizioni che tro�viamo in L'era dell'accesso, la rivoluzione della new economy. libro con cui Mondadori inaugura una collana, «Frontiera», sui gran�di temi del futuro prossimo; 400 pagine ricche di esemplificazioni storiche, economiche, filosofiche e tecniche. In Rifkin una certa attitu�dine «profetica» è innegabile, e al Politecnico i suoi stessi presentalorii itphrfessor Massimo G. Colom�bo e Riccardo Chiaberge, del Sole 24 ore, hanno avuto buon gioco a punzecchiarlo chiedendogli di es�sere più «laico». Cou lui era «natu�ralmente» schierato Gianluca Dot�tori, giovane imprenditore della New Economy che ha lanciato una Intemel-company molto popola�re, «Vitaminic» dove si mette a disposizione un enorme catalogo musicale da ascoltare «subilo». Ottimo esempio di capitalismo cul�turale secondo Rifkin. E poi c'era�no gli studenti, sedotti e intimiditi da una voce molto critica nei confronti della globalizzazione. Ri�fkin è consideralo il guru di coloro che hanno manifestato a Seattle contro il vertice del WTO, l'orga�nizzazione mondiale del commer�cio; per gli studenti è un inlellelluale che narra esperienze mollo comuni nella loro generazione. Ma nello stesso tempo è tanto carisma�tico. Parla, e non si alza neppure un brusio. Fuori dall'occasione pubblica, l'alone di «profetismo» invece scompare, com'è accaduto in una lunga conversazione priva�ta prima dell'incontro al Politecni�co. Seattle, per esempio. Lui non si lira indietro: non conosceva perso�nalmente nessuno dei conleslalori, ci dice, ma è convinto che l'evento sia sialo importantissi�mo, perché ha messo insieme i difensori della «bio-diversità» e della «diversità culturale», contro l'omogeneizzazione. «Questa for�za è il necessario contraltare al nuovo capitalismo culturale. In altre parole, l'eia dell'accesso può essere un Rinascimento, oppure un'epoca cupa, un secolo buio. Dipende da come sapremo bilan�ciare la commercializzazione della cultura, e quindi della vita dell'uo�mo, con la creazione e il manteni�mento di spazi culturali non mercificali, come il volontariato, le reli�gioni, l'arte, la musica, il contatto personale tra la gente, le comunità reali, i cibi genuini, l'appartenen�za a tradizioni». Ma secondo lei la «commercia�lizzazione» della cultura è sempre un male? «La cultura precede il commercio, e questo possono inse�gnarlo proprio gli italiani. N^lla vostra storia i commerci sonò fiori�li sempre quando è siala stabilita una base culturale, una civiltà che li consentiva attraverso la spinta della fiducia. Anche oggi voi avete "mercificato" una buona parte del�la vostra cultura, a partire dalla moda, ad esempio, che ha conqui�stalo il mondo. Io indosso un abito italiano, Ma nello slesso tempo avete salvaguardalo un'area nei rapporti culturali semi-indipen�dente, non in vendita. Dovremmo lutti studiare l'Italia con cura, perché quando o se l'intera cultu�ra diventerà relazione commercia�le, mi chiedo, si potrà ancora parlare di civiltà? Penso di no». Nel suo libro lei riconosce che la difesa delle proprie particolcolarilà anche geo-politiche non è pri�va di rischi. Il fondamentalismo è uno di questi. Quale differenza c'è allora tra assaltare un Me Donald in Francia in nome dei cibi genuini o l'ambasciata americana a Teberan in nome dell'Islam? «Io non mi oppongo ai mercati globali. Il pro�blema è di non essere però spazza�ti via. Il fondamentalismo esclude il diverso da sé. Noi dobbiamo invece batterci per la diversità, biologica e culturale, come fanno nel mondo le organizzazioni non governative». E gh Stati? «Purtrop�po gli Stali non hanno capito a fondo il nuovo capitalismo, passa�to dallo sfruttamento delle risorse fisiche, materia e spazio, a quelle culturali, il tempo e la vita. Ci vuole più politica por creare un equilibrio», E per non costruire una fortez�za nel deserto? «Una fortezza nel cyber-spazio, direi. Certo, il 60 per cento dell'umanità non ha il telefo�no, l'era dell'accesso riguarda il 20 conto della popolazione del Piane�ta. Questo può implicare tremende vulnerabilità, ma anche owiamenli enormi benefici per chi ha l'ac�cesso, E anche per l'ambiente. Le reti, e il lavorare in relè, fanno risparmiare energia e inquinare mollo meno», E nei Paesi poveri? «La produzione agricola e manifatluriera migrano sempre di più verso il terzo mondo, ma le tecnolo�gie non cambiano mollo. Il proble�ma sono le grandi reti planetarie. Ricordi che è più facile controllare le idee che le merci». Lei parla di «galekeepers», os�sia coloro che possono concedere o negare l'accesso alle reti; saranno loro, dice, i nuovi potenti del mondo. E saranno pochi. Ma la risposta della politica non è l'anlitrust? «L'anli-lrust è disegnalo sul capitalismo della produzione e del mercato. Qui funziona ben poco». Che cosa si aspetta dal lettore? «Queslo lavoro è un tentativo di disegnare il nuovo paesaggio an�tropologico. Dal lettore mi attendo che pensi; e che agisca». «Marx si rivolterà nella tomba: siamo a una nuova forma di capitalismo, dove non si vendono più "cose", ma si danno a nolo servizi ed esperienze e la prima merce è la cultura» Jeremy Rifkin presenta oggi il suo libro a Roma nella ex chiesa di Santa Marta, con Giovanna Melandri e Beppe Severgninl

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