Un cortocircuito nel nome di Teheran

Un cortocircuito nel nome di Teheran J*UE LEADERSHIP SOTTO PRESSIONE FRA PROBLEMI INTERNI E PROMESSE DA MANTENERE Un cortocircuito nel nome di Teheran Dietro lo scontro il voto in Usa e le esigenze diKhatami scenario inviato a VIENNA EL grande valzer degli equilibri petroliferi del�l'Opec gli Stati Uniti si sono trovali al fianco l'Iraq di Saddam e nel ruolo di acerrimo rivale dell'Iran del riformista Mohammad Khalami. Tre giorni di negoziati sul prezzo del greggio hanno lascia�to il segno nei sempre mutevoli equilibri del Golfo. 11 Segretario all'Energia, Bill Richarson, con�lava sulla tenuta del «palio di Riad» fra sauditi e iraniani sul�l'incremento dello produzione, forte anche dell'attesa dell'Am�ministrazione per un segnale di dialogo da Teheran dopo la deci�sione americana di porre fino all'embargo sull'importazione di tappeti, caviale e pistacchi. Ma la Repubblica Islamica ha seguito tutt'altra strada ed ha affidato al ministro del Petrolio, Namdar Zangeneh, la missione opposta: ostacolare gli Stati Uni�ti. Zangeneh è un super-tecnico del petrolio ma anche un uomo che ama il rischic: il suo hobby è scalare le montagne (pare che voglia presto sfidare le vette dolomitiche) e politicamente si schierò con i riformisti di Khatami in epoca non sospetta, quan�do farlo significava sfidare il potente fronte dei conservatori a Teheran. Zangeneh, classe 1952, è la persona adatta per le «missioni impossibile e il presidentu Khalami gli na affidato quella di impallinare nienteme�no che l'Organizzazione dei pae�si produttori di petrolio (Opec) por impedire ai sauditi di far accettare l'aumento della produ�zione di barili che gli Stati Uniti (assiemo a Europa e Giappone) chiedevano: almeno 2,5 mdioni in più al giorno. Per capire perché un fedelissimo del rifor�mista Khatami abbia accettato l'arduo compito di incrinare l'autorevolezza saudita e di sfi�dare l'Occidente bisogna scorre�re le cifre del bilancio della Repubblica Islamica: le entrate petrolifere costituiscono ancora l'asse portante dell'economia di un paese di 60 milioni di abitan�ti. Non a caso due anni fa, quando il prezzo del barile oscil�lo attorno ai 10 dollari, i dipen�denti pubblici iraniani restaro�no per qua Iclii; mese senza sala�rio. La dipendenza dalle entrate petrolifere è la cartina tornasole della vulnerabilità dell'econo�mia di Teheran e quindi anche della leadership del presidente Khatami. Durante la campagna elettorale di febbraio i conserva�tori hanno fatto della crisi eco�nomica la bandiera della campagna anti-riformista. Khatami dunque ha bisogno di un prezzo del petrolio alto per restare saldamente in sella ed avere tempo e soldi necessari per far avanzare le riforme nel settore economiche, a cominciare dalle privatizzazioni. Zangeneh si è battuto come un leone nei fac�cia a faccia all'hotel Intercontinental con il ministro del Petro�lio saudita. Ali Naimi, perché ogni dollaro in meno al barile per l'Iran significa un mihardo di dollari in meno di soldi fre�schi in cassa. Sul fronte opposto Bill Richar�son rappresenta il primo paese consumatore del petrolio del�l'Opec e un'Amministrazione in�tenzionata a tutti i costi a far calare il prezzo soprattutto per motivi politici intemi: la benzi�na troppo cara nuoce ^lla cam�pagna elettorale del candidato democratico ovvero del vicepre�sidente in carica. Al Gore. Die�tro le opposte motivazioni eco�nomiche favorevoli e contrarie all'aumento della produzione di Stati Uniti e Repubblica Islami�ca, vi sono dunque lo opposte esigenze di due leadership politi�che allo prese con pressanti problemi interni. E' stato que�sto corto circuito il vero protago�nista del braccio di ferro vienne�se. L'interrogativo è quanto lo scontro Iran-Usa sul greggio si ripercuoterà sugli sforzi che i due paesi stavano compiendo per lasciarsi alle spalle venti anni di rottura diplomatica. Non è un mistero negli ambienti diplomatici che Washington, do�po l'abolizione delle sanzioni sui pistacchi, attendeva proprio entro la fine marzo una controapertura di Teheran, di cui ora in molti dubitano. Ironia della sorte vuole invece che gli Usa (e con loro l'Occidente) si siano trovati 'spalleggiati dall'Iraq di Saddam Hussein, il cui iper-attivo ministro del Petrolio, Amir Muhammad Rasheed, non ha mancato occasione per dirsi a favore di un sostanziale aumen�to della produzione. In alcuni frangenti le sue dichiarazioni sono apparse quasi fatte appo�sta per indispettire gli iraniani: quando Zanganeh lunedi ha ini�ziato a puntare i piedi, Rasheed è corso ad annunciare alle agen�zie la disponibilità a produrre di più sotto controllo dell'Onu (a causa delle sanzioni imposte dal 1991); quando ieri Zanganeh ha affondato i colpi contro i saudi�ti, Rasheed ha addirittura an�nunciato quanti barili in più l'Iraq avrebbe messo sul merca�to, a prescindere da ogni decisio�ne ael?'Opec, de fuie aprile: 550.000. Bagdad ha giustificato la decisione con la possibilità ora consentita dalle risoluzioni dell'Onu di importare parti di ricambio per la propria indu�stria petrolifera. «Una possibili�tà che non sarebbe mai stata tale osservava ieri sera una fonte araba se gli Usa avessero esercitato il diritto di veto al Palazzo di Vetro». Im. mei.] Un braccio di ferro dovuto soprattutto alla vulnerabilità economica delia Repubblica Islamica A destra il presidente iraniano, Mohammad Khatami A sinistra il vicepresidente americano. Al Gore