Le mani sporche sulla città il boss dettava legge di Francesco La Licata

Le mani sporche sulla città il boss dettava legge TZ FERITI E MISWTi DI UN^X PROVINCIA «BABBA» Le mani sporche sulla città il boss dettava legge analisi Francesco La Licata MESSINA LA bomba è esplosa e non si può dire fosse inattesa. Mai arresto fu più annunciato di quello eseguito ieri mattina dai carabinieri che sono andati a «prelevare» Giovanni Lembo, magistrato, fino a qualche tem�po fa sostituto procuratore di Piero Luigi Vigna, capo della Procura nazionale. Sono anni che le cronache si occupano dell'ormai famoso «verminaio» di Messina, per dirla con le parole che spesso ha usato il presidente dell'Antimafia, Otta�viano Del Turco. E la storia del presunto «tradimento» del dot�tor Lembo, stando a quanto è venuto fuori dalle varie punta�te di questa telenovela, che provocò a suo tempo le dimissio�ni del sottosegretario Angelo Giorgianni, altro non sarebbe che una della facce, appunto, del «verminaio» messinese. Un grumo invero terrificante, che riesce a fare più paura delle vicende palermitane, dove ma�gari la mafia è più antica e radicata ma non è riuscita a fare tabula rasa di ogni ambien�te. A Messina, no. Il blocco sembra di dimensioni estese e non si intravvede spazio per le coscienze che volessero prende�re le distanze dall'alleanza mas�sonica e mafiosa, padrona della città, come ha avuto modo di denunciare al Parlamento l'at�tuale procuratore. Luigi Croce. Le accuse mosse al sostituto Giovanni Lembo sono gravissi�me. Tanto gravi che, prima di decidere, il giudice per le indagi�ni preliminari ha studiato a lungo ed ha molto riflettuto sugli indizi esibiti dai pubblici ministeri catanesi. Alla fine si è giunti agli arresti, che coinvol�gono altri personaggi delle isti�tuzioni. Secondo gli investigato�ri. Lembo si sarebbe consegnato nelle mani del pentitn Luigi Sparacio, una sorta di falso collaboratore di giustizia infil�tratosi nelle maglie del pro�gramma di protezione per «sal�vare» una serie di personaggi del suo clan e per curare gli interessi del boss emergente di Messina, quel Michelangelo Al�fano, mafioso palermitano emi�grato nella provincia «babba», e uomo di successo tanto da esse�re divenuto anche presidente della squadra di calcio. Queste vicende si inserisco�no nel «ritratto in nero» conse�gnato all'opinione pubblica da diversi procedimenti attivati già in tempi non recenti. La Commissione Antimafia ha avu�to il merito di mettere il dito sulla piaga. Una ferita che medi�ci pietosi più volte avevano curato coi palliativi, riuscendo solo a farla incancrenire. E dalla ferita è uscito il «vermi�naio»: pentiti in Ferrari, magi�strati votati ad una gestione quantomeno disinvolta dei col�laboratori, «baroni» dell'univer�sità in combutta coi vertici della n'drangheta calabrese, il Policlinico centro di un incon�fessabile business coi soldi pub�blici, docenti moni ammazzali ed altri docenti sospettati di mafiosità, un palazzo di giusti�zia (non quello attuale) immobi�le, forse troppo sensibile alle sollecitazioni del potere, anche quello peggiore. Questo enorme «blob» putre�scente stava sepolto, nell'indiffrenza generale. Fu l'esposto di un avvocato messinese, Ugo Colonna, ex difensore dello stes�so Sparacio, a far da detonato�re. Le accuse del legale che si definiva testimone dell'insana gestione dei collaboratori fini�rono in Procura (siamo del 1997) e, subito dopo, in Commisione Antimafia. Ovviamente la vicenda è arrivata pure al Csm, che proprio il 4 aprile prossimo avrebbe dovuto discutere la pro�posta di sospensione dalle fun�zioni per Giovanni Lembo, dopo ohe il magistrato arrivato negli uffici della Direzione na�zionale antimafia di via Giulia era stato progressivamente «congelato» per stessa ammis�sione del Procuratore Vigna. E' impressionante ciò che riferiscono i provvedimenti giu�diziari dei magistrati catanesi. Sostiene il collaboratore Mauri�zio Avola, killer catanese, che Sparacio andò a trovarlo a Brac�ciano (arrivò con la Ferrari) per proporgli un «lavoretto»: dove�va uccidere l'avvocalo Colonna e in cambio avrebbe ricevuto un premio di cinquanta milioni di lire. Sarà forse per questo che il professionista ha dovuto la�sciare Messina di gran carriera ed oggi vive in un'altra città. Ancora un episodio coinvolge il sottufficiale del Ros, Antonello Princi (anche lui arrestalo). Sembra che il carabiniere si fosse adoperalo per indurre il pentito Antonello Paratore e tre collaboratori a fare falso dichia�razioni per incastrare Ugo Co�lonna. Il movente? I tre collabo�ratori pare avevano qualcosa da dire sull'allegra gestione dei pentiti e, dunque, si trattava di «premunirsi». Accuse pesanti, che il doti. Lembo ha già respin�to nel corso del primo interroga�torio avvenuto ieri a Catania. Sono passati tre anni dal�l'esposto di Colonna e molte cose si trovano adesso contenu�te in quella pentola a pressione custodita dalla Commissiono Antimafia. Ottaviano Del Tur�co, seppure di fronte alla noti�zia traumatica di questi arresti, non si è mostralo sorpreso, anzi ha dichiaralo che «bisogna anco�ra mettere le mani su molte vicende messinesi». Il riferi�mento non può che essere ripor�talo a quel grande buco nero che è la storia dell'omicidio del prof. Matteo Bottari, il medico del Policlinico ucciso perchè trovatosi al centro di una ingarbugliatissima storia di affari ed interessi legati all'ospedale mes�sinese. Anche questo quadro non appare per nulla rassicurante. Gli investigatori sono convinti che il Policlinico sia al centro dell'attenzione della mafia cala�brese. Una recente indagine av�viala tra Reggio e Africo ha denunciato inquietanti legami con Messina, con l'Università e con la vicenda Bonari. Una microspia piazzala nella came�ra da leltodel medico calabrese Giuseppe Pansera ha rivelalo un qualche coinvolgimento nel delitto (quantomeno a livello di conoscenza dei l'alti) del profes�sor CJiuseppe Longo, altro decen�te della Facoltà di Medicina a Messina. «Longo -confida Pansera alla moglie la storia la sa dall'inizio. Se parla sono guai per tutti». Ma non sono i detta�gli a provocare turbamenti. E' il quadro generale che lascia per�plessi. Laddove gli invesligaori sono costretti ad ammettere che nell'Ateneo di Messina la n'drangheta dispone addirittu�ra di una vera e propria «fami�gliai). E si sa che due «cattedrati�ci» di Medicina e Chirurgia sono indagati perchè sospettati di concorso esterno nell associa�zione mafiosa capeggiata da Giuseppe Morabilo. Sembra incredibi e, ma lutto ciò è più di una ipotesi investigativa. Una storia che si trascina da anni. Lo ha dello il procuratore Luigi Croce, esponendo ai parlamen�tari di San Maculo, nel febbraio scorso, il triste intreccio di pote�ri che imbriglia Messina. Lo aveva detto, sempre all'Antima�fia, l'avv. Ugo Colonna, sentilo nel 1997: «A Messina esiste un'organizzazione criminale che raccoglie un assetto di inte�ressi imprenditoriali e politici mai volutamente raggiunti dal�l'azione giudiziaria. Tale orga�nizzazione mafiosa, che opera in pianta stabile da alemo un decennio, risulla composta da imprenditori, uomini della fi�nanza, magistrati, politici e da taluni malavitosi». Fermi annunciati. Da anni esisteva il «caso Messina» i Le accuse sono gravissime: il giudice si sarebbe consegnato a un mafioso emergente Gestione disinvolta dei collaboratori che giravano in Ferrari. «Baroni» universitari collusi con la'ndrangheta L'esposto dell'avvocato Colonna squarciò l'indifferenza. Ora ex killer raccontano di essere stati assoldati per uccidere il legale Prezzo: 50 milioni L'Antimafia: «Ancora molto succederà». 11 riferimento è allo strano omicidio di Bottari, medico del Policlinico , ; ,. ■■-.. :-.-,. li giudice Giovanni Lembo il maresciallo del Ros Antonello Princi (alla sua sinistra) e la scorta sulle scale del Tribunale di Messina (foto Di Giacomo) In alto, il presidente della Commissione Antimafia Ottaviano Del Turco