Agnelli: questo è il Commonwealth dell'auto di Marcello Sorgi

Agnelli: questo è il Commonwealth dell'autoIL PRESIDENTE D'ONORE SPIEGA PERCHE' NON E' STATA SCELTA DAIMLER CHRYSLER Agnelli: questo è il Commonwealth dell'auto «Se mi avessero detto sarai socio di Gm, non ci avrei mai creduto» intervista Marcello Sorgi AVVOCATO Agnelli, adesso che l'accordo con Gm è con�cluso, qual è il suo stato d'animo e la sua valutazione? Si poteva far qualcosa di più, di diverso, di meglio? «Sono proprio soddisfatto, anzi soddisfattissimo. Mi sembra un buon accordo, con un partner che è il più forte del mondo e che lascia alla Fiat piena autonomia sul suo futuro. Per questo sono grato a Fresco e Cantarella che hanno con�cluso questo accordo. Se mi avesse�ro detto quando ero ragazzo che sarei diventato socio della General Motors, non ci avrei mai creduto». Lei conosce l'obiezione che fanno alcuni osservatori: che in realtà la Fiat Auto è stata venduta a termine. Una parte oggi, e il seguito alla scadenza dell'accordo. «E' un'obiezione malevola, illo�gica, che non sta in piedi. Se avessimo voluto vendere, lo avremmo fatto subito. Poteva�mo vendere ai tedeschi della Oaimler Chrysler, che ci aveva�no chiesto di comprare tutta la Fiat Auto. Invece c'è un punto chiaro dell'accordo che dimo�stra la nostra volontà di conti�nuare a restare nel settore auto�mobilistico. Abbiamo un'opzio�ne di 'puf, cioè possiamo mette�re in vendita, in caso di difficol�tà e a tutela degli azionisti, anche altre, quote della Fiat Auto. Ma per i nostri alleati non c'è il corrispondente diritto di 'cali', cioè la possibilità per loro di esercitare un'opzione di acquisto senza il nostro consen�so. Se le cose vanno bene, come speriamo, non ci passerà per la testa di vendere. E naturalmen�te tutti speriamo che le cose vadano bene». Ma è vero, come dicono altre voci, che su questo lei avrebbe discusso con suo fratello Umberto, e che suo fratello sarebbe stato più favorevole a una vendita totale? «E' una balla assoluta. E posso dirle anche su cosa è stata costruita. Si vorrebbe far crede�re .che mio fratello, come presi�dente di Ifil, e quindi come rappresentami; degli azionisti, sarebbe stato più propenso alla vendita perché questa avrebbe realizzato un vantaggio maggio�re per gli azionisti. Questa è l'opinione di alcuni banchieri. Come mi ha detto Cuccia, la cosa migliore sarebbe vendere alla Mercedes, poi rivendere le azioni della Mercedes, realizza�re, e mai più occuparsi di auto�mobili». E lei cosa ha risposto quan�do ha sentito fare queste obiezioni? «Ho risposto che non sono in cielo. Sono sulla terra, sono nato con un mestiere e ho una certa responsabilità da esercita�re. Alla mia età, e con alle spalle un gruppo come il nostro, non si può scappare. Non posso certo ritirarmi sull'isola di Tonga por�tandomi dietro miliardi di mar�chi. Il nostro lavoro è fare l'automobile, e fare l'automobi�le del futuro. Per questo, occor�rono grandi investimenti, un impegno fortissimo nella ricer�ca, efficienze, sinergie, e soprat�tutto servono alleanze. Non cre�do che avremmo potuto trovare alleati migliori di General Mo�tors». Per l'industria italiana, per Torino, per il radica�mento della Fiat, che cosa rappresenta questo accor�do? «E' una buona notizia. Per le automobili nel mondo le capita�li sono tre: Detroit, Stoccarda e Torino. Torino rimane la capita�le del gruppo Fiat, collegato con la General Motors e ha tutto da guadagnare. Con nessunissimo pericolo per la manodopera». Che impressione le hanno fatto Smith e Wagoner? «Li ho conosciuti di recente e mi è sembrata gente di primissima qualità. Grandi manager, con una visione globale e la convin�zione che dal mercato dell'auto�mobile, impegnandosi, si può tirare fuori ancora molto. Si, le confermo, ho avuto proprio un'ottima impressione. L'altro aspetto rilevante che riguarda la General Motors è che all'in�terno di questa azienda esiste un centro di ricerca, che ha accesso alla Nasa e al Pentago�no. Per il lavoro che dovremo fare, è una cosa di grande impor�tanza. Il futuro dell'automobile sarà legato all'uso di nuove tecnologie, al miglioramento del comfort e della sicurezza, al rapporto con l'ambiente, all'ecologia, ai combustibili. Settori in grandissima evoluzione e Sui quali le sinergie e i risultati della ricerca peseranno moltissi�mo». Adesso che l'accordo è fat» to lei parla con grande tran�quillità. Ma prima, non ha avuto qualche dubbio? «No, le assicuro. Meglio di cos�era impossibile fare. Noi siamo partiti dalla convinzione che ad andare avanti da soli ormai il rischio era alto. Ho studiato a fondo lo duo ipotesi, dedicando grande attenzione anche a quel�la della Mercedes, ma mi sono convinto che quella della Gene�ral Motors era la migliore e la più corrispondente ai nostri pro�getti. Cosa vuole che le dica, mi fido più degli americani che dei tedeschi». Ma quanto hanno giocato nella decisione i rapporti della Fiat con gli Usa, tradi�zionalmente più radicati e più forti anche nella sua storia personale? «In queste decisioni l'aspetto personale non deve pesare. Cer�to, è vero che mio nonno, all'ini�zio del secolo, è stalo il primo imprenditore italiano ad anda�re in America per capire le nuove opportunità di quel siste�ma industriale. Poi, negli Anni 30, mio nonno cominciò a man�dare a Detroit gli ingegneri della Fiat: a scambiarsi espe�rienze, progetti, competenze an�che con i loro colleghi della General Motors. Ricordo anco�ra la raccomandazione che gli veniva fatta prima che partisse�ro: andate li, copiale, ma non pensate di riuscire a fare me�glio!» E lei, Avvocato, quando ha cominciato ad andare negli Stati Uniti? «Prima della guerra, a Detroit, Washington, New York, e sono rimasto due-Ire mesi per cono�scere e studiare quel paese. Mi è servito. Sapevo che cosa erano gli Usa quando ai tempi del fascismo, in Italia, tulli ci scher�zavano su. Ed ero in Russia, nel 1941, quando, dopo Pearl Harbor, l'Italia e la Gennania di�chiararono guerra agli Slati Uni�ti». Che cosa si ricorda di quei giorni? «Io pensavo dentro di me: ecco, la guerra è finita. Mi sembrava impossibile che il governo e gli stati maggiori non se ne rendes�sero conto. Anni dopo, ho letto nei libri di storia che anche gli americani pensavano la stessa cosa. A dichiaragli guerra, Ita�lia e Gennania gli avevano fatto un favore». Avvocato Agnelli, che cosa ha detto a Smith e Wago�ner prima di salutarli? «Gli ho detto che ero molto contento di questo accordo. Il punto più importante è che noi entriamo in una grande confede�razione, come in un Com�monwealth, da alleati e non come colonia. Trent'anni fa sa�rebbe stato inconcepibile. Per questo, salutandoli, gli ho rac�contato che quando ero ragazzo il rapporto fra il presidente della Fiat e quello della General Motors era quasi come quello di un parroco con il Papa. Una ragione di più per essere soddi�sfatto di strìngergli la mano come socio». I presidente d'onore della Fiat. Giovanni Agnelli. A sinistra, il presidente Ifil Umberto Agnelli

Persone citate: Agnelli, Cantarella, Cuccia, Detroit, Giovanni Agnelli, Pearl Har, Umberto Agnelli, Wagoner