Chi tradisce non si annoia di Mario Baudino

Chi tradisce non si annoia Dal sesso alla politica, dalle canzoni allo sport: un libro esplora il peccato più diffuso Chi tradisce non si annoia Mario Baudino TRADIMENTO addio. Nel�la Bibbia la parola è usata 20 volte, oggi dilaga ripe�tuta ossessivamente, dalIle canzoni alla politica, dal mondo intellettuale alle in�chieste di costume. Si tradiscono ogni giorno o si è accusati di tradire la volontà degli elettori, la fiducia dei consumatori, il mari�to, la moglie, il fidanzalo, la fidan�zata, la propria identità, la pro�pria cultura, la fiducia degli altri, tulli principi più 0 meno sacri, la fede e gli ideali, l'azienda e la squadra di calcio; naturalmente si arrossisce, tradendo cos�imba�razzo, emozione, fastidio, gioia, avidità, lussuria. Non si tradisce la Patria, perché forse non è più di moda, nel tempo delle «poliappartenenze» quando uno può essere a buon diritto fedele alla sua comu�nità e allo Stato in cui vive, alle istituzioni nazionali ma anche a qualche forma di comunità inter�nazionale 0 locale. A farla breve, come scrive la sociologa Gabriella Tumaturi in Tradimenti, appena uscito per Feltrinelli, «ognuno sta solo con il proprio tradimento». E sembra un calco su una celebre poesia di Salvatore Quasimodo, «Ognuno sta solo sul cuor della terra/ Trafit�to da un raggio di sole:/ Ed è subito sera». Nel caso del tradi�mento, e nella sera delle ideologie, la conclusione pare forzata: tutti traditori, nessun traditore. Ma la faccenda non è cosi semplice, e il libro della studiosa è l�per dimo�strarlo. Perché innanzi tutto biso�gna mettersi d'accordo su che cosa si intenda per tradimento: dal latino «tradere», implica conse�gnare qualcosa ai nemici (un se�greto, un amico). Quindi passare copertamente 0 meno da un cam�po all'altro, «tradire» il proprio gruppo di appartenenza, rompere un patto, violare un'intimità, co�me accade ad esempio nell'adulte�rio. La cosa, in società arcaiche, non è da prendere alla leggera, perché questi tradimenti sono pu�niti severamente, con la morte. Il tradimento è insomma qualcosa di alto, solenne e sacro, almeno fino a un certo punto di sviluppo storico o culturale. Uno va in Inghilterra e non c'è giro turistico che non contempli un passaggio veloce, via Tamigi, davanti al «Traitor's Gate» della Torre di Londra. La solennità del tradimen�to sembra, nella nostra società moderna, una particolare eredità britannica. Merito senza dubbio di Shakespeare e della tragedia elisabettiana, piena di figure di altissima drammaticità, che fan�no prendere sul serio la faccenda anche ai cinici più incalliti. Anche la storia non scherza, se si pensa che il tradimento del duca di Essex, amante della regina dive�nuto ribelle a' causa d'un ceffone allungato in piena corte, è noto anche a chi non sa nulla di cose britanniche. Il «Cancello dei tradi�tori», quando ci passò lo sfortuna�to aristocratico, era già stato co�munque costruito, anzi aveva avu�to il tempo di aprire le sue grate proprio alla futura schiaffeggiatrice Elisabetta I, ancora principes�sa, quando venne imprigionata dalla sorella Mary, la domenica delle palme del 1554. Si arrabbiò moltissimo, strillando che lei non era affatto una traditrice e ci passava come donna perbene: sul patibolo, poi, andò Mary. Ma gli inglesi, si sa, hanno un culto della propria storia patria e dei bei gesti sconosciuto ad altri Dopoli, e consente loro di sfruttari turisticamente in piena sereni�tà, anche se questo atteggiamento potrebbe essere considerato a sua volta una specie di tradimento. E non solo in campo turistico. La Tumaturi cita uno dei più bei libri che ci sia accaduto di leggere negli ultimi anni. L'intoccabile di John Banville, vera anatomia del tradi�mento dedicato alla vicenda di Anthony Blunt, il grande storico dell'arte che fece parte del gruppo delle «spie di Cambridge» al lavo�ro per l'Unione Sovietica: le spie a buon diritto più famose del mon�do, la cui vicenda è ancora avvol�ta da una sacralità shakespearia�na. La cultura italiana, invece, ha fatto da battistrada nella secola�rizzazione del tradimento, e pro�prio negli stessi anni in cui a Londra era un grande spettacolo, una solenne messa patria. Perché il primo a spiegare come sia in certi casi ammissibile, e cioè a fare del tradimento un'arma fred�damente politica, fu il nostro Ma�chiavelli, nel Principe, quando ragionò sul fallo che in certi casi è utile al «signore prudente» manca�re alla parola data, se c'è un obbiettivo o un interesse superio�re. Certo, bisogna fare una gran scena, «essere gran simulatore e dissimulatore». E' un giro di boa della massima importanza: da quel momento il tradimento non ò più quello supremo di Giuda Isca�riota (che gli studiosi ormai defini�scono un personaggio «calunnia�to»; l'ultimo libro al proposito uscito in Italia, per Bompiani, è di William Klassen) ma si avvicina rapidamente a quelli deliziosi del�la letteratura, del melodramma, della vita reale e delle canzoni. Osservava Denis de Rougemont che l'Occidente non ha mai apprezzato le unioni e i matrimo�ni felici e appagati, ma quelli tormentati dalle passioni che han�no prodotto da Tristano e Isotta in poi la gran maggioranza delle nostre «storie». Ma dal tradito re Marco al piagnucoloso cornificato di Lucio Battisti («Ti stai sbaglian�do chi hai visto non è, non è Francesca») qualcosa deve essere pure accaduto. Il tradimento è esploso in milioni di schegge, ha conservalo le sue caratteristiche formali ma si è depotenzialo simbolicamenle, fino a diventare uno dei tanti strumenti a disposizione contro la noia, l'insoddisfazione, il disagio di società laiche e bene�stanti. Un tradimento inflaziona�to muore dalla voglia di raccontar�si, di mettersi in piazza al più presto possibile magari per finire in televisione ben pagali (come i celebri «amanti di Foligno») e comunque per far girare il più possibile la macchina del gossip massmediatico. Chi la spara più grossa ha qualche possibilità di vincere, in amore come in politica: dove la parola risuona a piena gola più che nell'intera storia del melo�dramma. Il secolo dei tolaliiarismi ne rigurgita: «Socialtradilori» erano i socialdemocratici tedeschi di Karl Liebneckt secondo Lenin, traditori gli intellettuali secondo il famoso pamphlet di Julien Ben�da, l�tradimento dei chierici, traditori anzi «pidocchi» (sulla criniera di un destriero) quelli che criticavano dall'inlemo il pei di Togliatti. Va detto che la sinistra è slata più parca nell'uso del termi�ne, preferendogli negli anni bui della guerra fredda la burocratica perifrasi «agenti al soldo di una potenza straniera». Caduto il mu�ro, quel termine che significava spesso morte e prigionia diventa un lonnenlone, più a destra che a sinistra. Silvio Berlusconi, mentre la Lega gli fa il ribaltone, nel '94, non ha esitazioni a bollare la nuova maggioranza come «la mag�gioranza di Giuda». Umberto Bos�si non smette di far pulizia, nella Lega, espellendo «tradiiori», da Miglio in poi, passando per Roc�chetta, fino a Gnulli e Cornino. E i traditori sono «pidocchi e maiali opponunisti» o persino, con un tocco degno di Rabelais, «una scorreggia nello spazio». 1 «pidoc�chi» hanno ascendenze toglialliane, i inaiali sono nuovi di zecca, a meno che non contengano un riferimento alla Fattoria degli ani mali di Orwell. Ma l'ossessione gridata del tradimento e patrimo�nio linguistico anche degli anni Ollanla, quando Enrico Manca veniva soprannominalo Jago, e Craxi affermò in un'occasione che qualcuno «lo avrebbe venduto a Martelli già prima di Natale». Per trenta denari? Francesco Cossiga, ancora presidente della Repubbli�ca, li regalò davvero, trema dena�ri scherzosi di cioccolato, all'ex amico di corrente Franco Mazzo�la. Tradimenti, tradimenti, la lista si allunga parossislieamente, pa�rallela a quella dei deputati che cambiano casacca. Non ò colpa loro, osservano molti commentatori. E' colpa del sistema eleitorale. 11 traditore in�flazionalo è più un travet che il mitico Giuda. Esallamenie come in campo amoroso, ha mille e più scusanti da esibire, e le esibisce. Siamo nell'era della concorrenza, il tradimento è un'arma come tante altre, sovente spuntata. Ed è comunque un piccolissimo pec�cato. Anzi, neppure quello. Può diventare un gesto di dignità, una rivendicata fedeltà a se stessi contro tutto e contro tutti. Una lamentela, un «diritto». Aveva vi�sto lontano, nel '400, Leon Batti�sta Alberti, quando scrisse nella Cena Famìliaris, commedia finita nello scaffale dei classici: «Raro fu giuocatore non prono e pronto a essere traditore». Il gioco, va da sé, è quasi sempre sulla pelle degli altri. Oggi non suscita più orrore, è diventato un gioco per combattere la routine quotidiana, il disagio del benessere Nelle società arcaiche rompere un patto 0 scegliere il nemico era una colpa grave e solenne, da punire con severità: anche con la morte

Luoghi citati: Cambridge, Foligno, Inghilterra, Italia, Londra, Unione Sovietica