Bologna: dotta, grassa, rossa o falsa?
Bologna: dotta, grassa, rossa o falsa? LA CITTA' DELLA GARISENDA, AMMIRATA DA DICKENS E VITUPERATA DA GOETHE Bologna: dotta, grassa, rossa o falsa? WEEKEND Pino Cacucci BOLOGNA la Dotta, per l'Uni�versità più antica del mon�do; Bologna la Rossa, per il colore dei muri; Bologna la Grassa, per la buona cucina e i piaceri della carne... Poi, c'è Bolo�gna la Falsa, la città-teatro dove tanta bellezza non è ciò che sem�bra, dove il turista non chiede attestati di autenticità e il cittadi�no non sa, o come si usa a teatro preferisce non sapere e sta al gioco virtuale di un'architettura da falsari della storia. Nel Medioevo, Bologna assomi�gliava a un istrice accoccolato ai piedi dell'Appennino: ben centottanta torri, dimore dell'aristocra�zia terriera che manifestava l'in�dole orgogliosa e chiusa rintanan�dosi in costruzioni verticali ed ermetiche, alte quanto più lo per�mettevano prestigio e ricchezza. Le rivalità tra famiglie finirono per distruggerne un buon nume�ro, tra bombardamenti a suon di catapulte e assalti reciproci, più quelle che il Comune demoliva come punizione a chi colpiva per sbaglio la sede municipale o esage�rava in litigiosità. Ne sono sopravvissute venti�tré, comprese l'Asinelli e la Garisenda, torre pendente ammirata da Dickens e vituperata da Goe�the, che colto chissà perché da un raptus di livore la bollò come «spettacolo disgustoso,. a dimo�strare che con del buon cemento e ancore di ferro si possono compie�re imprese da pazzi». Sul finire dell'Ottocento, un singolare personaggio di urbani�sta, Alfonso Rubbiani, si mise in testa di resuscitare la città comu�nale e gotica in contrapposizione a quella pontificia e barocca, ope�rando restauri a dir poco radicali e, in certi casi, creando dal nulla )alazzi merlati e scorci medievaeggianti. Nell'impresa, trovò un istigatore entusiasta in Giosuè Carducci. E nei decenni successi�vi, una serie di seguaci altrettanto spregiudicati. Iniziamo questa sorta di «pas�seggiata» nella Bologna Falsa da Piazza Maggiore: il Palazzo di Re Enzo, dove il giovane figlio di Federico II trascorse al fresco i peggiori anni della sua vita (e anche gli ultimi), esisteva nel 1244, ma era tutt'altra cosa: l'at�tuale fisionomia è del 1913. Percorrendo via Rizzoli fino alle Due Torri, sulla destra si ammira lo splendido Palazzo della Mercanzia, originariamente con�cepito nel 1384, che non solo venne «rimedievalizzato» ai tem�pi del Rubbiani, ma risale in realtà al 1948, perché quattro anni prima un sergente tedesco lo aveva sbriciolato facendo brillare una bomba d'aereo inesplosa pro�prio davanti alla facciata... Accanto, il suggestivo balcone sorretto da pilastri in quercia, simil-XIII secolo, fu fatto costrui�re di sana pianta nel 1928 per proteggere un dipinto esposto alle intemperie. Imboccando Strada Maggiore, ci si può stupire per la longevità dell'altissimo tratto di portico sor�retto da colonne di legno, ma niente paura: il tutto ha poco più di un secolo, non sette o otto come appare; e lassù, nel soffitto anneri�to, la burla si aggiungo al falso d'autore: tre frecce conficcate a ricordo di chissà quali dispute dell'anno Mille furono in realtà scoccate da studenti goliardi d'epoca mussoliniana, e qualche guida ci casca ancora... o fingo di cascarci. Persino il massimo van�to del centro storico bolognese, le Sette Chiese di Santo Stefano (spesso immortalate in tv come sfondo a ogni intervista di Roma�no Prodi, che abita li vicino) si presentano all'estasiato viandan�te secondo i radicali restauri (in parte ricostruzione totale) attuati trai) 1870 e il 1930. In direzione opposta, cioè ver�so Sud, un altro gioiello trecente�sco, il Collegio di Spagna, sfoggia l'intero lato settentrionale in per�fetto stile castigliano risalente al... 1925. A Bologna, è «finto» anche l'unico colle (be', una colli�netta), chiamato appunto La Mon�tagnola, che offre uno spazio ver�de in fondo a via Indipendenza, creato non da Madre Natura per un capriccio geologico, ma dall'ac�cumulo di detriti e residui edili opportunamente abbelliti da scali�nate, vialetti alberati e giardini su pianta simmetrica del 1805: nel XIII secolo, era un vasto piazzalo jiatto dove si commerciava il jestiame. La città felsinea, in fondo, è slata precorritrice della moderna filosofia di vita secondo cui è sempre l'abito che fa il monaco, e l'apparenza conta più della sostan�za. Inoltre, qui la beffa e la burla hanno radici antiche, sono l'essen�za stessa del cosiddetto «spirito petroniano», che nella storia non hanno risparmiato neppure lo mu�ra e i monumenti. Certo, restaura�re e ripristinare non significa prendersi gioco delle generazioni future, ma l'eterno dilemma, di fronte a maitoni cosi lustri da sombrare appena josati. è: il tem�po ha o non ha il i iritto di mutare le cose costruite dall'uomo? E quando queste scompaiono, è leci�to rimettere indietro l'orologio, anzi la meridiana? Alfonso Rub�biani, per esempio, non venne nemmeno sfiorato da un simile dubbio. E Carducci applaudiva. Nel Medioevo, con le sue 180 torri assomigliava ad un istrice accoccolato ai piedi dell'Appennino Le due torri: Asineli! e Garìsenda
Persone citate: Alfonso Rub, Alfonso Rubbiani, Carducci, Dickens, Federico Ii, Gari, Giosuè Carducci, Pino Cacucci, Prodi, Re Enzo
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