Botero, faccio felici i cardiopatici

Botero, faccio felici i cardiopatici Incontro con il pittore colombiano Botero, faccio felici i cardiopatici Ugo Nespolo TORINO VADO a incontrare Fernan�do Bolero e di lui ho in lesta alcune fotografie gio�vanili, ricordo una lipoloIgia latina da Zorro masche�rato munito di baffi, pizzo ed occhi di fuoco. Mi trovo davanti un personaggio dolce, dalla sicurezza timida, desideroso di spiegare, di far sapere. Un uomo credo privo delle tante relicenze ed ambiguità che sostanziano di consueto gli artisti. Interessato come sono ai fenomeni anomali partoriti dal si�stema dell'arte sono davvero felice di conversare a Palazzo Bricherasio con l'artista che più d'ogni altro incarna il trionfo dell'impossibile, l'uomo che ha forzalo le rigide consegno degli obblighi creativi e si è inventato un percorso tra i più controversi ma di strepitoso, indi�scusso successo internazionale. Il suo racconto è un vero bagno autobiografico vestito di un'ideolo�gia essenziale. «1 miei riferimenti artistici idea�li,dice i miei modelli culturali stanno tulli nel passato remolo, nel Rinascimento italiano, in Piero della Francesca, ne! Iteato Angeli�co, nella pittura di Tiziano e di Velasquez, pittori che già avevo incontrato da bambino nel retro dello copertine dei quaderni di scuola, un'immagine e qualche ri�ga di testo». Con un po' tli diffiden�za gli faccio notare il grande iato tra quei modelli e la cultura con�temporanea. La risposta è chiara: «Tutta la modernità si è scordala del passalo». Per un artista nato nel 1932 a Modellili in Colombia il percorso ò stalo intricato e la sua biografia sfarfalla in uno di quei racconti latino-americani tatto di impossibi�li ascese e di cruda boheme. «Nel 1952 a vent'anni m'imbarcai nella nave italiana Usodimare nel porto colombiano di Buenavenlura. lira carica di immigrali europei ormai in rovina e di giovani ricchi soltan�to di speranza». Viaggia avventuro�samente verso l'Europa, la Spa�gna, Parigi e più tardi l'Italia. A Firenze s'incanta studiando il Rina�scimento, copia Giotto, Andrea del Castagno e ad Arezzo Piero della Francesca. Studia i saggi di Beren�son, segue le lezioni di Roberto Lónghi. «In quegli anni mi sono reinventato la pittura ed ho potuto farlo perché sono latino, non ave�vo insomma nessuna vera tradizio�ne alle spalle e nessun pregiudi�zio». Si sposa in Messico ed ha modo di vedere da vicino i grandi cicli murali di Rivera, di Orozco e Siqueiros che «dopo aver conosciu�to gli affreschi italiani mi sono parsi una grande delusione». Vince nel 1959 il Premio Guggenheim International e da quel momento prendono vita i suoi rapporti con la cultura statunitense. Si trasferisce a New York. Sono gli anni chiave dell'imposizione planetaria della lezione americana vincente sull'École de Paris. 11 grande astratti�smo internazionale s'installa a Manhattan e partorisce in un rigo�re messianico e travolgente le rare�fazioni di Pollock, Gorky, De Kooning e le celebrazioni astraile di Rotko. «Ero un ragazzo con 200 dollari in tasca e subito ne diedi 100 ad un simpatico italiano per pagarmi una stanzetta con un letto giù a Mac Dougal Street, una vera fortu�na. Mi son nutrito per tanto tempo della zuppa del pittore, cioè frat�taglie di pollo bol�lile, scarti del be�nessere america�no roba da 12 cenls la libbra che io continua�vo a bollire in acqua e sale. Ma dipingevo forsen�natamente, ave�vo in lesta il calore Ialino e la solida volumetria di Andrea del Castagno». Io sono allibito dal fatto che le strepitose novità dell Action-Painling non lo abbiano neppure sfiora�lo e glielo dico. «F.ro amico di De Kooning di cui ammiravo l'energia ma mi sono reso conio che tutto quel furore creativo si è presto spento in un ripetitivo decorativi�smo svuotato della storia, opere buone soltanto por le hall delle multinazionali, opere che non pon�gono domande, che non danno risposte». Boterò vuole da cosa nuova» ed in una sorta di cilazionismo avanti lettera cerca «un'arto che possa stare in equilibrio tra l'espressione e la decorazione». Non ha interesse per le «cose vicino» né per la storia di oggi. Non si cura minimamente di Andy Warhol della sua corte e della sua geniale idea di Factory, vuole invoce rinnovare «la grande tradizione», pretende per sé e per gli altri la ricerca di una «moderni�tà classica». Kcco la nascita del suo cliché, la celebrazione continua della monumentalità che solo tangenzialmente s'accorda forse al�l'idea pop di Domenico Gnoli o di Claes Oldonburg. Bolero elabora temi circoscritti, ben identificabili e che possano «essere capili da lutti». Molta critica è cattiva, feroce e si sente offesa per lo stratagemma del grasso, per quest'idea antiteti�ca e semplicistica, por questo gioco doU'abnonne come facile veicolo di ambigua attrazione. Non gli si perdona neppure il totale disimpe�gno dal sociale, la mancanza di cura per la condizione umana co�rno egli incautamente dichiara. «Nella mia vita ho sempre fallo quello che non si doveva fare e jM-r questo ho fatto fatica. Ma quando nel 1961 il Moma acquista un mio quadro la strada si è falla d'un tratto più scorrevole. Ho esposto in tutti i maggiori musei del Mon�do, dalla Russia al Brasile, dagli Stali Uniti al Giappone». Gli chiedo che ne pensa delle case d'Asta non sempre cristalline, delle quotazio�ni sposso artificiose. «I prezzi li fa il pubblico» taglia corto. «I critici non mi hanno capito, i direttori dei Musei hanno fallo il mio succes�so». Adesso io voglio ancora sapere dell'ironia, della comicità del suo teatro, di quei personaggi monu�mentali che saturano gu spazi, li colmano con gli spropositi dei volu�mi. «Per me dice ancora non sono altro che la porticina aperta verso il cuore degli spettatori». Nelle sale di Palazzo Bricherasio è allestita con grande competen�za una mostra magnifica, che offre la possibilità della lettura quasi definitiva dell'opera di un artista smaliziato e sorridente die ha at�traversalo continenti e mode cultu�rali chiuso nella fortezza della propria maniera, spingendo senza troppa fatica una schiera di solidi messaggeri, una folla senza fine di cardiopatici felici. Boterò mi guar�da, la definizione gli piace, ci salu�tiamo con il sorriso sulle labbra. Fernando Boterò nelle sale del Palazzo Bnchcrasio di Tonno, dove fino al 4 giugno saranno visibili 120 opere. nell'ampia retrospettiva curata da Daniela Magnetti. La mostra permette di ripercorrere anraverso dipinti, bozzetti e sculture l'intera carriera dell'artista. Si potrà visitare tutti I giorni dalle 10 alte 19. il lunedi dalle 14 alle 19. Sono Ugo Nespolo