VIENNA a mosca deca con Haider

VIENNA a mosca deca con Haider Il viaggio del filosofo francese tra gli austriaci che non hanno votato per il leader della destra populista VIENNA a mosca deca con Haider Bernard-Henri Lévy VIENNA Non avevo mai colto questo dettaglio. Ma oggi salta agli occhi. Un segmento del «Ring», o «anello», che I sul tracciato delle antiche fortificazioni avvolge Vienna, si chiama boulevard Lueger, dal no�me del sindaco ani*^ fti» tisemita che guidò la città nei primi anni del secolo. Im�maginiamo, in Francia, una piaz�za Philippe Pétain. O un boulevard Edouard Drumont. Immaginia�mo un pezzo di périphérique (la superstrada che circonda Parigi, ndr) con il nome di un teorico dell'antisemitismo francese, mai «sbattezzato». Certo, è un detta�glio. Ma, nella città di Freud, non ci sono dettagli, per definizione. Al contrario, si ha la sensazione di essere immediatamente nel cuore del problema austriaco, (...) Ma è cosi semplice? Si può continuare a ripetere, come si fa da Parigi: «Il problema è l'Austria; è il passato nazista dell'Austria; è il fatto che l'Austria, nel 1938, al momento del plebiscito sull'Anschluss, per il 99,7 per cento ha votato per la riannessione alla Germania hitleriana; il problema è il fatto che, contrariamente alla Germania Ovest, l'Austria non ha mai lavorato sulla sua memoria minimale, cosa che permette a un popolo di mettersi a posto con la coscienza ed esorcizzare i demoni del passato»? Si e no, mi dice Silvio Lehman, uno dei più brillanti ani�matori dell'Offensiva democrati�ca, che ha organizzato la manife�stazione del 19 febbraio e che mi ha invitato con Michel Piccoli, i Klarsfeld (madre e figli), Michel Cullin, Laurent Dispot, Fodé Sylla, e altri a prendere la parola. Si e no. Perché, dice, siete cosi sicuri, tanto per cominciare, di dover prendere per oro colato i risultati di un plebiscito organizzato, con�trollato e, lo sanno tutti gli storici, truccato dai nazisti? E poi, argo�mento ancora più decisivo, perché tacere le altre cifre del nazismo austriaco: 200 mila deportati a Dachau nelle settimane successi�ve all'Anschluss; 3 mila sacerdoti arrestati; 2.700 partigiani giusti�ziati dal 1938 al 1944; i morti nei lager (16 mila) o nelle prigioni della Gestapo (10 mila); 130 mila ebrei sterminati; e poi, particolari�tà austriaca, i 120 mila uomini e donne che affrontano, nel 1938, la bella e pericolosa pratica di farsi radiare da Uste fiscali e di altro genere, testimoniando la loro ap�partenenza a una Chiesa cattolica che ha disonorato, alleandosi con il regime, il cardinale Innitzer? Ecco già due Austrie. Un'Austria zelante, iper-collaborazionista, che mette tanta foga nel gettarsi sui «beni dei giudei» per «arianizzarli» da obbligare lo stesso Goering, per calmare gli animi; e un'Austria vittima, che resiste, antinazista... (...). Visita alla cripta dei Cappuc�cini, dove riposano, in sarcofagi di piombo, i resti degli Absbui^o Francesco Giuseppe, l'Aquilotto, l'imperatrice Elisabetta con la sua affascinante bara, coperta di picco�le offerte come l'altare della princi�pessa Diana; Carlo e Zita; Rodolfo; Maria Teresa e il suo enorme mausoleo che sembra un immen�so dolce viennese, con profusione di armi, scudi, scene di battaglia, angeli guardiani, e proprio di fian�co il sarcofago austero, quasi gian�senista, di Giuseppe II; gli altri, tutti gli altri, che hanno sempre saputo e sanno ancora, che hanno trovato posto là, su quella pietra umida e gelata... Ombre di Joseph Roth, il grande scrittore conserva�tore, autore della Cripta dei Cap�puccini, dal cui conservatorismo venne spinto a rifiutare anche l'hitlerismo. C'è il sospetto, sessant'anni più tardi, che il gioco non sia molto diverso. Spezzare la destra per battere l'estrema de�stra. Trecentomila. Sono, secondo gli organizzatori, trecentomila uo�mini e donne riuniti qui, in questo prestigioso teatro imperiale, per�fetto per le manifestazioni poiché è stato previsto per le sfilate milita�ri! Cifra che, riportata su scala francese, significherebbe due mi�lioni e mezzo di persone... E' già bello che tanti abbiano risposto presente. Ma che possano ascolta�re qui, su questa piazza, i rappre�sentanti delle comunità ebree di Francia, Germania, Austria e Bel�gio; che possano acclamare Karl Stoiker, vecchissimo tzigano che somiglia a Ignatz Bubis e che alza improvvisamente una manica per mostrare, in un silenzio terribile, il numero di matricola di Au�schwitz tatuato sull'avambraccio. Sulla prima pagina, questa mattina, dalla Kronen Zeitung, il grande giornale popolare di Vien�na: «Belgien schlagt uns ins Gesicht», letteralmente «Il Belgio ci dà uno schiaffo in faccia» eco al comunicato con cui il Municipio di Bruxelles informava i diplomati�ci austriaci che erano indesiderabi�li alle cerimonie di lancio di «Bru�xelles 2000, capitale dell'Europa». Che un affronto diplomatico passi cosi facilmente per catastrofe na�zionale può essere visto in due modi. Cioè: attenzione a non umi�liare gli austriaci; attenzione, san�zionando i dirigenti, a non ferire i diretti. Cioè: gli austriaci sono come il portiere del Sacher, terri�bilmente snob, gente che attribui�sce importanza estrema a sapere chi è ricevuto e chi no, con quale etichetta e pronti a rivoltarsi, di colpo, contro padroni abbastanza volgari per essersi messi nella condizione di essere trattati da paria. Di Winifred Wagner si dice�va che aveva reso al giovane Hit�ler, ricevendolo a Bayreuth, l'ine�stimabile servizio di renderlo un personaggio salonfcOxig, letteral�mente «salottizzabile», ovvero «mostrabile nei salotti». Alla radio, l'inno nazionale. Su una musica di Mozart: «Au�stria piena di gloria, Austria piena d'imprese, Austria amatissima, cuore potente al centro del conti�nente». Nazionalismo o desiderio d'Europa? Sciovinisno recuperabi�le dall'Fpò o modo di dire: «Noi austriaci siamo l'Europa e, poiché siamo l'Europa, poiché siamo il cuore pulsante del continente e poiché vi guardiamo, popoli ami�ci, dall'alto di cinquecento anni di doppia monarchia, d'impero absburgico e di diplomazia professio�nale, non permettiamo ai populi�sti di basso rango di liquidare una cos�bella eredità e di portarci fuori dell'Unione»? Ecco le due strade. Plausibili sia l'una sia l'al�tra. Siamo al Bràunerhauf, il caf�fè preferito, a Vienna, da Thomas Bernhard. E' qui che si è arbitrato, sotto l'occhio invisibile di questo terzo uomo, Thomas Bernhard, che ha posato cosi spesso il gomito sullo stesso angolo dello stesso tavolo e il cui nome viene subito alle labbra dei due protagonisti, è qui che si è arbitrato, ci giurerei, il dibattito che opponeva Gerard Mortier e Lue Bondy, il Belga e lo Svizzero, ancora due francofoni e, a dar retta alle gazzette, due posi�zioni diametralmente opposte sul fatto di sapere se bisogna 0 no «boicottare l'Austria». Conciliabo�li, in effetti. Risate comphei. Accor�gersi, parlandosi, che questo dibat�tito è un falso dibattito, che ha senso caso per caso. Il Burgtheater sta all'Austria come la Comédie-Frangaise sta alla Francia. E' anche, come l'Ope�ra, im luogo deputato della monda�nità viennese uomini in frac, grandi sarti, ogni serata è di gala, ogni levar di sipario una lezione d eleganza e di teatro, etichetta, riluali, proibizione agli artisti di concedere più di un bis, mai fra�stuono, mai eccessi. Che sorpresa, allora, vedere che ha finito per accogliere, questa sera, il nostro dibattito suir«altra Austria», con una piccola atmosfera da Odèon 68 giovani, jeans e scarpe da tennis, prese di parola spontanee, applausi mostruosi per Michel Pic�coli, risate, rabbie. E anche sorpre�sa, un po' più tardi, quando balza sulla scena un gruppo di «autono�mi» di Lipsia coi capelli rasati e le giacche di cuoio: «Tutti in strada! Basta con le parole! La polizia fascista ha pestato a morte cinque nostri compagni!». Buona reazio�ne di Lue Bondy, che, con una maestria da sessantottardo consu�mato, s'impadronisce del microfo�no per, primo, concedere «equa�mente» la parola fra i disturbatori della sala; secitndo, dare mandato a una «commissione» costituita da Jack Ralite e Harlem Désir e incari�cata di fare un'indagine su questa diceria alla fin fine falsa del pestaggio; ferfio, condannare, con grande gioia della sala, la violenza «da qualunque parte essa proven�ga», inclusa, beninteso, quella dei provocatori che tentano di «sabo�tare il dibattito» e di «screditare il movimento». Quel che mi ha colpito delle ragazze di Get to attack. L'umori�smo. L'insolenza. La leggerezza offensiva e derisoria. Le «cento e una scusa (di essere razzisti! che non accettiamo più». Le nuloreg(jonli scocciate, per strada, sulle borsette delle donno. «L'arte del momento è la resistenza», scritto sui muri dei musei. «La gentilezza e. sempre fruttuosa», oppure «Il fascismo costa sempre troppo». 1 volantini distribuiti ai turisti: «La cultura austriaca non è solo Mo�zart, è anche la xenofobia». Le manifestazioni indette per e-mail e per cellulare. L'assenza di gerar�chia. La tecnica detta degli uccelli migratori una testa va in ritirata, un'altra la sostituisce, e poi un'al�tra, e un'altra ancora, senza che lo stormo cambi strullura o direzio�ne. La città come un teatro. Il paesaggio urbano come un formi�dabile campo di manovre. Radica�lismo jiortaio al tempo d'Internet 0 della «nuova economia». Politica postmoderna e magari postpolitica. Haider ono, Haider che preval�ga 0 che finisca por crollare, questi giovani sono all'origine di una militanza che troverà presto sen�za dubbio i suoi limiti (conio impe�dire per esempio che in una una manifestazione convocata per e-mail possano infiltrarsi la poli�zia o i provocatori?! ma che ci allontana e non è un malo dai grandi discorsi di sinistra del seco�lo passato. Sacher. Opera. Bighellonare nella Vienna che amo. Si danno il camliio, lettore gialle sul fondo scuro del piccolo pannello ester�no, vicino ai camion dello sceno�grafie, le cinquanta si cinquanta! opere della stagione. Mi accorgo che la piazza, di fronte all'albergo che, nel mio ricordo, non ha mai avuto un nome e che di colpo ne ha uno: quello del celeberrimo Generalmusikdiroctor, chiamalo Staatskapellmeistor per decreto dello stesso Hitler e iscritto prima di allora, a partirò dall'aprili' 1933, e a due riprose, al partito nazista Herbert von Karajan, E mi rendo anche conto che la strada che va dall'Opera alla cattedrali;, il viale più commerciale di Vienna, questi «Champs-Elysées» su cui tutti gli innamorati di Vienna amano pas�seggiare, si chiama Karnler Stras�se, via Carizia, il Land di cui Haider è governatore. Perché non c'è, a Vienna, una via Sigmund Freud? Doron Rabinovici e Silvio Leh�man, un'ultima volta, prima di partire. Lo scopo è far cadere questo gover.-v ? No Non esatta�mente. Lo scopo è croare «un clima di anormalità». Dico Schiissel: torniamo alla normalità. Ebbe�ne no, giustamente. Creiamo esat�tamente il contrario: un clima di tensione ininterrotta, di crisi laten�te, d'inquietudine sorda, di guerri�glia culturale. Come gli Indiani metropolitani nell'Italia degli An�ni 60? Come i surrealisti che sogna�vano uno stato permanente di eccezione? Ritorno a Parigi. Haider si è dimesso. Manovra? Falsa uscita? Ritirata strategica? Trucco? Certa�mente, A meno che non ci sia un'altra ipotesi, cioè quella dell'al�tra Austria che non resisto al piacere di evocare. Silvio, Mary, le adolescenti di Get to attack, anche le sanzioni, forse hanno comincia�to a destabilizzarlo. Deriso, incal�zato, tormentato dall'esterno e soprattutto dall'interno, Haider, come Waldheim, ha ceduto. Copyright Le Monde Gli artisti austriaci Viktor Rogy e Isabella Ban solidarizzano, il 19 febbraio davanti al loro caffè di Klagenfurt in Carinzia, con i manifestanti anti-Haider: nei poster alle loro spalle i membri della coalizione governativa sono stati raffigurati con baffi «alla Hitler" i fti»