SCUOLA 2001: la testa ben fatta e il computer

SCUOLA 2001: la testa ben fatta e il computer Varata in Italia la riforma dei cicli pedagogici, ma tutta l'Europa discute sul futuro dell'educazione SCUOLA 2001: la testa ben fatta e il computer Marco Belpoliti SCRIVEVA Montaigne che è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena. Cosa sia «una testa ben I piena» è evidente: una testa in cui il sapere è accumulato senza un principio di selezione 0 di orga�nizzazione che gli dia senso. La «testa ben fatta» ha al contrario, un'attitudine a trattare i problemi e insieme possiede i principi generali che collegano tra di loro le cose che si sanno, e insieme dà loro un senso, come scrive il sociologo ed epistemologo Edgar Morin nel suo recente libro (La festa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e rifor�ma del pensiero, Cortina, pp.138, lire 22.000). Il problema della «te�sta ben fatta» è all'ordine del giorno in tutti quei Paesi e sono numero�si, non solo in Europa che stanno riflettendo su come e perché rifor�mare l'insegnamento delle loro scuole sotto la spinta dei grandi cambiamenti culturali, economici e tecnologici degli ultimi vent'anni. Poche settimane fa in Italia è stata definitivamente varata la ri�forma dei cicli scolastici. La scuola dal 2001 sarà radicalmente diver�sa, prima di tutto nella sua organiezazione. Ma cosa si insegnerà nella scuola del futuro? Il dibattito è aperto da tempo. Per cercare di capire quali siano le diverse opzio�ni possibili, provia'mo ad esemplifi�carle ricorrendo a due libri. Il primo s'intitola Computer per un figlio (Laterza, pp. 137, lire 20.000) ed è un dialogo tra lo psicolinguista Francesco Antinucci, studioso dei processi cognitivi, e una coppia di genitori. Il secondo è un pamphlet di Lucio Russo che è andato in libreria un anno e mezzo fa e ha suscitato una forte discussione: Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola? (Feltrinelli, pp. 143, lire 22.000), ma le cui tesi sono state riprese e rinnovate da un altro volume uscito di recente, Sulla scuola di Antonio La Penna. Antonucci, che dirige la sezione «Processi cognitivi e Nuove Tecno�logie» dell'Istituto di Psicologia del CNR, appartiene al partito degli innovatori, quelli per cui le nuove tecnologie informatiche sono un elemento positivo e non certo nega�tivo. Nel suo dialogo cerca di spiega�re a due genitori perplessi e chi non lo è in materia di educazione? che i video giochi, i giochi elettroni�ci di simulazione, e dunque non solo il computer e Internet, sono un elemento importante nella fonnazione di un ragazzo di oggi. Giocare con un video-gioco non è affatto pernicioso, come si dice spesso, ma significa sviluppare un apprendi�mento basato sulle coordinazioni sen^b-motorie, né più né meno che giocare a pallavolo: è mettere in moto il più naturale e spontaneo dei nostri sistemi di apprendimen�to, quello basato sulla percezione e sull'azione. La nostra idea di ap�prendimento, dice Antinucci, si ba�sa su un pregiudizio, quello che vede nel sistema simbolico-ricostruttivo, fondato sul linguaggio e sullo studio, il principale strumen�to di conoscenza del mondo. Ribal�tando un luofjo comune, i sistemi interattivi dei computer sono per Antinucci fonte di esperienza, an�che quando questa è il risultato di una «simulazione». Il computer può rivoluzionare l'apprendimen�to, cos�come ha fatto a stampa. In questo senso, l'apprendimento me�diante lo studio, i libri, la lettura e l'uso della memoria è sostanzial�mente passivo e obbligatorio: «de�vo conformarmi ai contenuti e alla organizzazione decisa da chi ha scritto il testo; non ho alcuna liber�tà, non ho niente da scegliere, non ho niente da perseguire; devo sol�tanto cercare di capire ciò che mi viene presentato». La visione di Lucio Russo, che è un fisico di professione e insegna Calcolo delle probabilità all'univer�sità, è esattamente rovesciata: la scuola fondata sull'uso del compu�ter condurrà a una istruzione com�pletamente passiva, incapace di andare al di là di generici contenu�ti, priva di un vero ancoraggio epistemico. Uno dei punti cruciali della perorazione di Russo è l'inse�gnamento del latino e del greco, lo studio della storia antica e U mante�nimento dell'insegnamento della geometria fondala sulla dottrina di Euclide, sull'uso degli «enti teori�ci», indispensabili per imparare a ragionare. Una scuola che «mo�stra» invece di «far ragionare» è una istituzione che ha abdicato al suo compilo. Le pagine in cui Rus�so mette alla berlina l'uso dell'ingle�se l'angloilaliano dell'informatica sono efficaci perché ridicolizzano il bisogno di attualità che, dopo decenni di immobilismo, sembra aver contagialo ampi settori non solo della società italiana, ma an�che della scuola e dello stesso Ministero della Pubblica istruzione fino all'altro giorno un dinosauro di immobilismo. L'analisi impietosa che il fisico veneziano fa della scuola italiana coglie nel segno, anche se egli pare ignorare molte cose della scuola media superiore, e persino della scuola elementare (definizioni ormai superate dalla riforma) che è invece una delle migliori del mondo, e che in questi involge ernet uzionari stampa? ultimi dieci anni ha subilo una trasformazione davvero straordi�naria. Si badi bene, Lucio Russo non è un conservatore dal punto di vista politico, cos�come non lo è La Penna. La linea di confine non passa qui, ma riguarda piuttosto le idee della cultura. Ad esempio. Russo, che è anche storico della scienza, non sembra dedicare mol�la attenzione alla cultura visiva; pri�vilegia infatti gli aspetti logici e con�cettuali e non par�la mai invece dell' aspetto visivo im�plicito in ogni atti�vità umana, che in�vece uno scrittore come Italo Calvi�no, cui certo non si può rimproverare di mancanza di solidità culturale, ragionamento lo�gico o scarso amore verso i «classi�ci», segnalava come decisivo. Del resto, Russo, che pure si soffenna con enfasi sul pericolo del tramon�to della nostra cultura nazionale, non si rende conto che la fonte prima della nostra identità e della «sensibilità italiana» è prima di tutto un efiétto del paesaggio, lo stesso che si ritrova nelle pitture medievali e rinascimentali, oltre che nei versi dei nostri maggiori poeti. D'altro lato, Antinucci. che pure ha scritto un libro che toglie di mezzo molti luoghi comuni sul computer (fa malo ai giovani? è un cattivo compagno?), non sembra considerare tra i fattori cognitivi l'aspetto affettivo, la componente emoliv.i che è fondamentale nell'apprendimenlo. Esiste, dicono gli psi�cologi, un'intelligenza emotiva che non è meno importante di quella logica 0 linguistica o percettiva, e che è posseduta, seppur in misura diversa, da tutti. L'altro aspetto che lo psicolinguisla non considera abbc\stanza ò l'impor�tanza ricoperta dal�lo spazio nell'ap�prendimento; non solo il tempo, ina anche la dimensio�ne spaziale la terza dimensione è molto importante per stabilire ge�rarchie intellettive e modi di cono�scenza. L'antropologia lo ha spiega�to molto bene: i simbolismi spaziali sono ira i primi a sorgere e determi�nano molte delle cose che sappia�mo 0 conserviamo nella memoria individuale e sociale. Edgar Morin, nel libro citato all'inizio, parla della trasmissione culturale come di un' arte, oltre che di una tecnica. Plato�ne aveva indicalo come condizione indispensabile per l'insegnamento ' l'eros, «che è allo slesso tempo desiderio, piacere e amore, deside�Il sociologouna sfida cin un receè riformar rio e piacere di trasmettere amore per conoscenza e amore per gli allievi. L'eros permette di tenere a bada il piacere legalo al potere, a vantaggio del piacere legalo ai do�no. E' ciò che in primo luogo può suscitare il desiderio, il piacere e l'amore dell'allievo 0 dello studen�te». Non credo che il computer, per quanto maestro elegante ed eflìcace, cui tutti ci affidiamo per molte funzioni quotidiane, possa arrivare sino a tanto. La testa ben fatta nasce anche dall'invito, quello di un ministro francese a riflettere sulla riforma del sapere nei licei d'oltralpe. E insomma un rapporto sul sapere contemporaneo che è, in una certa misura, il proseguimento e il rovesciamento della Condizio�ne postmoderna che il governo canadese aveva commissionalo al�la fine degli Anni Settanta al filoso�fo Jean-Frangois Lyotard. Cosa so�stiene Morin? Egli parte da una semplice constatazione: l'inadegua�tezza sempre più ampia e profonda tra i saperi disgiunti, frazionali, suddivisi in discipline, da un lato, e la realtà 0 i problemi polidisciplinari, trasversali, mullidimensionali, transnazionali, globali, planetari, dall'altra. Morin è un pensatore della complessità, ma fa proprie le due celebri frasi di Eliot: «Dov'è la conoscenza che perdiamo nell'in�formazione?»; e: «Dov'è la saggez�za che perdiamo nella conoscen�za?». Tuttavia per lui «l'informazio�ne è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare; la conoscenza deve esse�re costantemente rivisitata e rive�duta dal pensiero; il pensiero è oggi più che mai il capitale più prezioso per l'individuo e per la società». Non esiste una disciplina o una materia che prevalga sulle altre, il sapere umanisiico non è più impor�tante di quello scientifico. Il socio�logo francese sottolinea la fecondi�tà che hanno.avuto le singole disciplinc chimica, storia, matemati�ca, filosofia nel determinare i domini di competenza, senza i (ina�li la conoscenza non sarebbe neppu�re possibile, ma d'altra parte in assenza di un'apertura interdisci�plinare là disciplina resta fine a se stossa. Il nocciolo di chiesta proposta per una rifonna dell'insegnamento non è tuttavia né nelle idee interdi�sciplinari né nella «teoria sistemi�ca», che Morin fa risalire a Pascal prima che a von Bertalanffy (per pensare le parti, bisogna pensare il tutto, e per pensare il tutto bisogna pensare le parti). Quello che rende convincente la posizione di Morin, nonostante gli slanci eccessivamen�te ottimistici che si colgono qui e là nel libro, è l'afflato etico che percor�re lo sue pagine. E' l'etica del pensiero, la quale si fonda sulla convinzione che «il contributo più importante del sapere del XX seco�lo è stata la conoscenza dei limili della conoscenza». La razionalità critica e autocritica, scrive, permet�te di auto-osservarsi e favorisce la lucidità: «Le ideo non sono sola�mente mozzi di comunicazione con il reale, esso possono diventare dei mezzi d'occultamento. L'allievo do�ve sapere che gli uomini non ucci�dono soltanto nella notte delle loro passioni, ma anche al chiarore del�le loro razionalizzazioni». La sua è una proposta forte in un momento in cui i problemi dell'educazione, come ricorda Morin stesso, tendo�no a essere ridotti in termini quanti�tativi: meno materie, più crediti, più insegnanti, meno vincoli, più valutazioni, ecc. Per riformare le istituzioni bisogna riformare le menti. Ma come? Morin enuncia sette regolo e insieme ci ricorda una frase di Freud, secondo cui esistono tre compili impossibili: educare, governare e psicoanalizza�re. Egli invoca l'educazione e l'inse�gnamento usando un'espressione che ci può suonare desueta: missio�ne. Insegnare è una missione alla trasmissione. Senza eros, senza missione e senza fede non si può insegnare. Ne terranno conio gli esperti e legislatori quando stende�ranno i programmi per la scuola del futuro? Il dibattito è serrato e coinvolge l'uso dell'elettronica. Internet e video-giochi sono rivoluzionari come l'invenzione della stampa? Il sociologo Edgar Morin lancia una sfida controcorrente. Sostiene in un recente saggio che insegnare è riformare le menti: una missione Nella nuova scuola il computer renderà arcaica una scena come questa?

Luoghi citati: Cortina, Europa, Italia