Fermate la SCUOLA, voglio scendere di Alberto Papuzzi
Fermate la SCUOLA, voglio scendere Sono molti in Italia i ragazzi che rinunciano ai percorsi formativi tradizionali. I risultati di un'inchiesta Fermate la SCUOLA, voglio scendere Alberto Papuzzi TORINO ESSERE drop-out è diventato normale. Gli abbandoni, i fallimenti, la condizione di individui tagliati fuori, non sono più il frutto delle contraddizioni. E' come se la (società italiana, dopo le battaglie contro la disuguaglianza degli anni settanta e dopo l'illusione di un benessere collettivo degli anni ottanta, si sia rassegnata ad assorbire e gestire, con le possibile garanzie assistenzialistiche, una quota fisiologica di insuccessi. I quali si integra�no con i meccanismi di una società scolarizzata e consumistica. I nuovi drop-out, che non fanno scandalo, nascono soprat�tutto in quel 30 per cento di giovani che in Italia non rag�giunge il diploma, come mostra�no dati statistici, oggetto di una serie di recenti ricerche, fra cui il volume della sociologa torinese Adriana Lucia�no Imparare lavorando (Utet Libreria). Infatti su 100 ragazzi che escono dalle scuole medie, circa 90 si iscrivono a qualche istituto di istruzione superiore, ma soltanto 68 arrivano alla maturità. Che cosa succede degli altri 32? 10 escono da qualsiasi circuito formativo, 10 approdano a corsi di formazione professionale, 12 diventano apprendisti in piccole aziende. Qui cominciano i perorisi dell'esclusione. Ma sarà vero che abbandonare la scuola senza un diploma comporta rischi di esclusione socia�le? La questione è controversa. Nei giovani italiani fra i 15 e i 29 anni il tasso di disoccupazio�ne è più alto fra quanti sono diplomati (27,70tl) che fra chi si è fennato alle medie (24,G"»). In regioni come Lombardia, Veneto, Emilia, Piemon�te è molto alta la percentuale dei giovani che trovano lavoro già fra i 16 e i 17 anni. Ma l'esclusione non si misura soltanto sulla disoccu�pazione (che fra i giovani italiani e comunque del 340* contro una media europea del 19nii), bens�su molte altre cose: bassa qualificazione, mancanza di futuro, povertà di vita sociale, penuria di risorse culturali. Come intervenire? L'innalzamento dell'obbli�go scolastico non ha offerto prospettive di miglioramento: le ricerche dicono che la scuola si limita a trattenere ciò che prima respingeva. Però gli studiosi sono convinti che la chiave del problema sia nelle politiche dell'istruzione e nei sistemi di avviamento al lavoro. Si tratta di investire nei processi di formazione, puntando in particolare sull'alternanza fra attività di studio e di lavoro, con inserimenti in azienda e rientri in formazione. Una delle autorità europee in questa materia, il professor Bertrand Schvvarz dell'Uni�versità Paris Dauphine, parteciperà al convegno «Un futuro per i giovani», organizzato il 21 febbraio dalla Regione Piemonte a dall'Universi�tà di Torino (con l'Ateneo di Bologna, Cattolica di Milano, Isfol e Corep). Il convegno si concluderà con una tavola rotonda dedicata al libro di Adriana Luciano e alle sue storie di nuova esclusione raccolte nei quartieri della peri�feria torinese. Da queste storie abbiamo tratto quattro modelli dei drop-out del 2000. Molti ragazzi preferiscono costruirsi percorsi di formazione alteri iòtivi a una scuola che trovano non risponda più ai loro interessi
Persone citate: Adriana Lucia, Adriana Luciano
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