Tra i sopravvissuti di Grozny, città fantasma

Tra i sopravvissuti di Grozny, città fantasma LE TAPPE DILLA TRAGÈDIA Tra i sopravvissuti di Grozny, città fantasma Rovine e fame, mentre i ribelli tendono ancora agguati reportage Giulietta Chiesa inviato a GROZNY D IFFICILE dire se l'hanno voluta conquistare o di�struggere. Certo Grozny non esiste più. E' un deserto, inquieto e allucinante, percorso da colonne corazzate e da fanta�smi di vecchi coperti di stracci. Ma inquieto, perché il silenzio delle macerie annerite dal fuo�co, degli alberi spezzati a miglia�ia dalle raffiche e tagliati netti dalle schegge, è ancora rotto spesso dalle raffiche dei Kalash�nikov, e dalle serie discontinue delle artiglierie pesanti che mar�tellano le posizioni ribelli non lontane. Quel che resta di Grozny è indubbiamente in ma�no russa, ma nessuno è sicuro di nulla. Ieri sera il comando della zona Ottobre è stato mitra�glialo. Sparano e fuggono. «Non è ancora pace, alla pace siamo ancora lontani», dice il tenente Igor. «Di notte è terribile, un'an�goscia continua». I russi che ci accompagnano non sono tranquilli. La piazza Minulka è assolutamente deser�ta. Tutti i palazzi che ancora erano in piedi dopo la prima guerra, e che avevo visto restau�rali alla bell'e meglio nel 1997, quando Aslan Maskhadov fu eletto presidente della Ichkeria Indipendente, sono o sventrati o crollali su se slessi. Ci prega�no d�non allontanarci dal ca�mion con cui siamo giunti fin là. «Ci sono gli snaiper. i cecchi�ni, non possiamo garantire l'in�columità». La via Lenin, che da quella piazza che non c'è più conduceva al Palazzo presiden�ziale, che non c'è più, è ricono�scibile solo per una larga che pende sbilenca da un muro sbreccialo. Scende una notte senza nem�meno i latrati dei cani. Anche loro morti o fuggiti, perché non c'è niente da mangiare, e neppu�re da bere. Eppure qualcuno ha resistito. «Siamo qui da cinque mesi e ci facciamo il pane da soli, con l'acqua sporca di una vecchia cisterna. Pane e acqua marcia, nient'altro, capisci fi�glio?». Nina Idigova è seduta su un asse fuori da un ex palazzo di cinque piani, sventrato in più punti. Avrà 60 anni il 5 maggio prossimo. Sua figlia, il marito e il nipote vivevano al terzo pia�no, ma sono scappati in tempo in un villaggio di confine. Lei è rimasta perché non sapeva do�ve andare e voleva «guardare la sua roba». Inutile. Quello che non hanno distrutto le bombe l'hanno portato via i soldati russi. Tutto, frigo, mobili, vestiti, scarpe. I nostri angeli custodi russi non sono contenti di que�sta franchezza. Cercano di svia�re il discorso sui ribelli ceceni. Le altre donne, cinque-sei, rin�carano la dose. «Noi, i combat�tenti ceceni non li abbiamo visti. Ma quelli russi li abbiamo visti. Quando sono arrivati ab�biamo gridato aiuto, quelli spa�ravano. Solo più lardi due sono arrivali e scesi nella cantina. Erano stupiti di trovarci ancora vivi». La cantina della via Leonova 12 ospita una quindicina di persone. Solo gente di ferro poteva reggere in quelle condi�zioni, tra pareli che grondano acqua, pavimenti di terra, ov�viamente nessun riscaldamen�to. Del cibo si è detto. Solo in quella casa i morti civili sono stati sette. E adesso? «Da quattro giorni nessuno è venuto a portarci un po' di pane e acqua. E noi non sappiamo dove andare. Altri moriranno». Abujacid Darnov non morirà. E' un vulcano di improperi-contro. «Quelli del Cremlino» che hanno voluto questa guerra ìi sono messi d'accordo con Basaev». Sembra imfonnatissimo e si rapisce per�ché: aveva una provvista di pile. «Non faccio un bagno da tre mesi. Là sopra ci sono pulci e pidocchi grossi cosi. Ma io lo sapevo, che sarebbe venula la guerra. Bene? Abitavo qua so�pra e casa mia era già stala danneggiata dal '95 durante la prima guerra. Ebbene io non ho piantato un chiodo per riparar�la. Invece quei fessi di Maskha�dov (il presidente ceceno eletto, ndr), Arsanov e compagnia, si costruivano le loro ville. E io dicevo: fessi, verrà la guerra. E' venuta. E ce ne sarà ancora...». E' opinione diffusa anche fra i soldati e gli ufficiali russi. Solo gli incaricali di far propaganda danno per certa la fine della guerra, anche se a scadenze incerte. Gli esperti, chi più chi meno, si spendono in lunghi giri di parole. I ceceni fanno paura anche da morti. Nel quartiere che si chiama�va Primato, perché era tutto composto di case monofamilia�ri, di ceto medio-alto, quello ano i: «Non o giorni» che ha sopportato il colpo mag�giore dell'offensiva russa prove�niente da Nord-Est, la resisten�za cecena è stata preparala con eccezionale maestria tecnica. La via Serzhen-Jurtovskaja è rasa al suolo, ma si vedono ancora le trincee quasi invisibi�li, le feritoie millimetriche con cui un solo cecchino o mitraglia�trice potevano spazzare le vie circostanti per centinaia di me�tri. E le trappole esplosive co�mandale a distanza, che hanno fallo strage di mssi che avanza�vano a piedi in piccoli gruppi. Quanti ne siamo morii, da una parte e dall'altra, nessuno lo saprà mai. Le cifre degli uni e degli altri sono false. Ma la faccia del colonnello Kli* mashkin, che queste vie le ha falle in salila, è buia quando ci spiega che otto commilitoni so�no rimasti sotto le macerie di una casa fatta esplodere da un collimando ceceno che si ora fallo inseguii^ fino a quel pun�to. I russi questa volta non sono però ricaduti nella tremenda ingenuità della prima guerra cecena. I carri ar�mati li hanno la�sciati indietro e usati come arti�glieria. Lo prova il fallo che le vie di Grozny ilbn so�no piene di car�casse dei mezzi blindali russi. ! comandi questa volta han�no semplicemente deciso che bisognava annientare ogni cosa prima di avanzare anche solo di un passo. Questo spiega perché Grozny non c'è più. Poi è acca�duto che i ceceni non si sono arresi lo stesso e che, quando si è dovuto far avanzare la trup�pa, i morti sono caduti a grappo�li. Meno che nel 1994-1996 ma non meno di duemila soldati e ottomila feriti. Oltre almeno 10-12 mila moni civili. E i 220 mila profughi che hanno spopo�lalo la Cecenia. E se si scoprisse che questa guerra è slata inscenala dal Cremlino con l'aiuto di Shamil Bassaev, doppio o triplo agente, per vincere le elezioni? «Può darsi risponde cupo uno degli ufficiali con cui abbiamo occa�sione di parlare, ma che vuole restare anonimo ho sentilo anche io questa versione. Noi aspettiamo solo il 26 marzo, per vedere se Putin ci libererà dagli oligarchi». Woi si capisce. Vuol dire noi militari. E se si scopris�se che Putin è uno di loro, cosa fareste? «Non so. Davvero non so. Ma so che la Russia non ha più molto tempo da spendere. Poi sarà finita, con o senza Cecenia». Da una cantina spuntano quindici civili spauriti: «Non mangiamo da quattro giorni» DAGHESTAN Dopo un primo colpo di mano nel gennaio del 1996 in Daghestan (con la presa di centinaia di ostaggi a Kizlìar e Pervomaiskoe), nell'agosto '99 i guerriglieri indipendentisti ceceni comandati da Shamil Basaiev (nella foto con un cocomero in spalla) tornano ad attaccare la Repubblica della Federazione Russa E' la scintilla che innesca nel giro di un solo lustro la seconda sanguinosa guerra cecena dalla quale Basaiev uscirà amputato di una gamba TERRORE A MOSCA Nel settembre scorso alcuni attentati in diverse città della Russia (nella foto un palazzo sventrato da una bomba nella capitale) attribuiti ai separatisti islamici uccidono oltre 300 persone Il I ', ottobre i russi entrano in Cecenia : : ASSEDIO AGROZNY Dopo aver raggiunto il 6 dicembre Grozny i russi l'assediano lanciando un ultimatum ai civili perché abbandonino la città entro il giorno 11. L'aeroporto militare viene conquistato il 12 dicembre, mentre la capitale viene bombardata a tappeto dal cielo e da terra (nella foto un carro armato spara con il cannoncino verso la città). L'assalto a Grozny ha inizio il 25 dicembre e dura un mese e 10 giorni Il primo gennaio i ribelli annunciano il graduale ritiro «ABBIAMO VINTO». Vladimir Putin annuncia la fine delle operazioni a Grozny il 6 febbraio. Nella foto un gruppo di civili davanti a un muro di Grozny con la scrina indirizzata ai russi «Benvenuti all'inferno, atto secondo» Il riposo di due soldati russi tra le macerie di Grozny: la lunga battaglia per la conquista della capitale è finita, resta da -ripulire» il resto della Repubblica ribelle