Un inverno sul Mar Nero in compagnia di Ovidio
Un inverno sul Mar Nero in compagnia di Ovidio IN PELLEGRINAGGIO SUI LUOGHI DELL'ESILIO Un inverno sul Mar Nero in compagnia di Ovidio REPORTAGE Mario Bnurilno PUBLIO Ovidio Nasone guar�da corrucciato il Mar Nero; alle sue spalle l'edifìcio con torricelli e arnhetti assai orientali che ospita il bel museo archeologico romano. A sinistra una grande moschea, un edifìcio in rovina e un palazzo nuovo in fase di costruzione. Davanti le voragini di un cantiere percorso da una banda di cani randagi, la scarpata che guarda sul porto, l'acqua color petrolio sotto un volo rumoroso di cornacchie. Fa freddo, non come leggiamo nelle sue Epistole dal Ponto, ma lo spettacolo ha sicura�mente qualcosa di cupamente su�blime. Qui si consumò l'esilio del poeta romano, fra il 9 e il 17 d.C, quando Tomi era una guarnigione romana popolata da barbari appe�na ellenizzati. Ceti e Sarmati, che si aggiravano con lunghe barbe e frecce avvelenate nella faretra, mi�nacciosi e minacciati a loro volta da altri barbari ancor più bellicosi, che calando dal Nord stringevano periodicamente d'assedio la città. D'inverno, quando il mare gela�va e le orde potevano arrivare da qualsiasi direzione, le difese natu�rali non servivano quasi più a nulla. Tomi era costruita su un promontorio a forma di penisola, alto sul mare. Ora cjuella zona, con un bel mosaico pavimentale scava�to dall'antico porto, è il centro di Costanza, la seconda città romena, 500 mila abitanti e un grande porto commerciale ora in crisi, tra una selva di gru che non scaricano quasi nulla, a poco meno di 300 chilometri da Bucarest. Sedeado accanto al monumento, la cui lapi�de cita quattro versi dei «Tristia», Elegia III (Hic ego qui iaceo tenerororum lusor amorum...), un epitaf�fio scritto in vita nei giorni della più cupa disperazione, viene da dare in tutto ragione all'antico poeta, cui gli studiosi rimprovera�no di aver un po' esagerato le durezze soprattutto climatiche del luogo per commuovere Augusto. Costanza d'inverno non è certo la città che divenne grande duran�te l'Impero Bizantino, il porto babe�lico che porta il nome di Costantino e ospitava tutte le lingue e le comunità del Mar Nero, luogo di miti, di leggende e di tradizioni almeno dal viaggio degb Argonauti in poi, fra l'altro ricostruite benissi�mo in un recente libro uscito per Einaudi, «Mar Nero» di Neal Ascherson. Costanza d'inverno, no�nostante le sue stradette turistiche con bar e negozietti, ricorda sini�stramente e in modo non privo di grandezza quel luogo ai confìni del mondo che Ovidio vide in Tomi. Abbandono, buio, scogliere gialla�stre e desolate che scendono sul mare, il cui colore è affettivamente bruno come leggiamo nei Tristia, perché il grande afflusso di acqua dolce dai fiumi crea uno strato superficiale che fa perdere il tipico colore azzurro e gela con maggiore facilità. Ma non ci sono gelate in questo per ora tiepido inverno romeno. Non c'è la neve che secon�do Ovidio non smetteva di scende�re, neanche in estate, per anni di fila; non ci sono le barbe gelate, il suolo perennemente duro per il ghiaccio. Ma in una sera a cavallo del Millennio, nella «sua» piazza deserta, il viaggiatore non può provare che solidarietà, e forse compassione, per quell'Ovidio eter�namente disperato, per quella sta�tua che è un monumento all'esilio. Grandi sarcofaghi di età romana allineati accanfo al museo in un torvo giardinetto mostrano con un certo fervore i tori di Mitra, che però non ce la fanno proprio a promettere credibilmente calore e rinascita. Tomi forse era davvero il luogo più desolato del mondo. Costanza, nonostante la difficile transizione a dieci anni dalla caduta del regime comunista, a ben guardare non lo è affatto. Ovidio stesso si sarebbe forse stupito d'essere innanzi tutto attorniato dalle sue memorie (a lui è intitolata l'Università, che ha naturalmente un cattedra d'italia�no), dall'amore dei discendenti di quei barbari Ceti per i quali sosten�ne d'aver anche poetato (nella loro lingua), e soprattutto da un'allegra baraonda estiva. Perché Costanza è il centro di snodo turistico del Mar Nero, sulla costa dove i rome�ni che se lo possono permettere affollano le spiagge di Marnala, Mangalia, Neptun, Venus, Olimp, Eforie, nomi che sono stati a loro modo celebri negli anni del comuni�smo, per le vacanze all'Est, e ora forse lo sono meno, con gli hotel un po' acciaccati dalle architetture squadrate e non proprio invitanti. Dove Ovidio batteva i denti per il freddo, le famiglie romene prendo�no la tintarella, in una sorta di festa popolare (ci assicurano colo�ro che ci vanno nella giusta stagio�ne), di panze all'aria e bambini dovunque, insomma un po' Ostia e un po' Fregene, quasi una Rimini crepuscolare e arrugginita. In compenso, i prezzi sono otti�mi (per i romeni) e abbastanza buoni per gli stranieri. A Costanza, poi, c'è un bell'acquario marino, un casinò, un aeroporto, insomma tutto quel che Ovidio non avrebbe mai potuto immaginare. In com�penso non c'è nulla salvo il cielo, l'atmosfera, e una buona dose di romanzi dedicali al suo esilio (da «Ovidio in esilio» di Vintilia Moria non sembra essere più disponibile in italiano a «Nel mondo estremo» di Christophe Rasmayr ed. Leonar�do, al capolavoro di David Malouf, «Vita immaginaria», ed. Nie) che ci riportino al primo secolo dopo Cristo. I grandi simboli di Costan�za, la statua della Fortuna e il serpente eliconio, scultura delica�tissima e fiera, che bene rappresen�ta quel senso di frontiera tra Ovest ed Est, sono di due secoli dopo. Ma, almeno per il visitatore italiano, c'è qualcosa di molto più recente che vale la pena d'essere esplorato: sono i discendenti di gruppi di contadini e scalpellini veneti e friulani immigrati sul Mar Nero nella seconda metà dell'Ottocento, quando la città passò dall'Impero Ottomano alla Romania. Hanno conservato lingua e cul�tura, e ancor oggi sono riuniti in una associazione, la «Comunità italiana Ovidio». Sono cittadini ro�meni, si sentono italiani. Non sono i soli: piccole comunità del genere sono sparse in vari centri della Dobrugia, per un totale di centina�ia di famiglie. Fino al comunismo avevano scuole proprie e contatti con l'antica Madre Patria, poi è sceso il sipario. Nel '47 furono posti davanti alla scelta se emigra�re per sempre o restare dimentican�dosi l'Italia. Ora si sono riorganiz�zati, accogliendo nei loro gruppi anche cittadini italiani che si sono stabiliti in zona, e romeni che amano il nostro Paese. Vorrebbero tante cose: una sezione staccata dell'Istituto di Cultura, ad esem�pio, e la rinascita della «Casa d'Itaia» che adesso è vuota anche se in parte ristrutturata. Cittadini rome�ni di nazionalità italiana come dice il loro passaporto romeno provano un certo choc quando facendo il visto per l'Italia devono ovviamente scrivere che sono di nazionalità romena. Non vogliono emigrare, vogliono essere un ponte tra i due Paesi. Proprio come Ovi�dio. Fa freddo, non come leggiamo nelle sue Epistole dal Ponto, ma lo spettacolo ha certo qualcosa di cupamente sublime: subito la fantasia corre indietro nel tempo, a quando il mare gelava e le orde potevano arrivare da qualsiasi direzione m&i ; ^qpppgg, ppp1 sasass^ Al centro veduta della città di Costanza con il porto sul Mar Nero; a sinistra il Casinò; a destra la statua che ricorda il poeta Ovidio, esule nell'antica Tomi, davanti al Museo archeologico IMPERATORI E SULTANI a Non si sa con esattezza quando la città abbia cambiato nome. I testi bizantini spesso usano sia Tomi sìa Costanza fino al decimo secolo. Quando fu conquistata dal Turchi divenne Kustendje. Solo nel 1878, quando tornò alla Romania indipendente, recuperò l'antica, ma non antichissima, denominazione. COSTANZA, NONOSTANTE LE STRADINE PIENE DI BAR E NEGOZI, RICORDA IN MODO SINISTRO MA NON PRIVO DI GRANDEZZA IL LUOGO Al CONFINI DEL MONDO CHE IL POETA VIDE IN TOMI
Persone citate: Christophe Rasmayr, David Malouf, Dove Ovidio, Einaudi, Mario Bnurilno Publio, Mitra, Neal Ascherson, Publio Ovidio Nasone, Turchi
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