Nel Novecento in versi brilla la luce dialettale di Lorenzo Mondo

Nel Novecento in versi brilla la luce dialettale Nel Novecento in versi brilla la luce dialettale SFOGLI e leggi questa antolo�gia della poesia italiana del�l'Otto ù Novecento, terzo volu�me di un'opera dirotta da Cesa�re Sogre e Carlo Ossola. E cominci con l'osservare che dello 1730 pagi�ne dedicato ai testi, più di mille toccano al Novocnnlo. Viene da pensare cho il secolo appena trascor�so sia slraordinariamonto fecondo di risultati, anche rispetto all'Otto�cento che puro conta quei tali gigan�ti. Tanto più che Pascoli e D'Annun�zio, assegnali all'altro secolo, «libe�rano» uno spazio non indifferente. Tanto più che questo Novecento ospita, insieme ai poeti ormai consi�derati classici, solo cjuelli nati pri�ma del 1930. E' un criterio economicamonto acccitahilc, e. non impedi�sce cho un altro volume ci aggiorni sull'Ultimo scorcio dol secolo. Appa�ro comunque ovidenlo la ricchezza dol prelievo. Che può essere favori�to, oltreché da un persuaso apprez�zamento, da comprensibili ragioni esterne; la naturalo cautela dei contemporanei Dell'escludere; il calore affettivo, lo frequentazioni, non so�lo di lettura, nell'includero. Soprat�tutto per gli anni più vicini, una antologia lascia cogliere nella sua trama anche la biografia intellettua�le od esistenziale doi curaiori. L'antologia si apro dunque, por la parto cho più slimola la curiosità, con Cozzano cho, a dirla con Monta�le, ha attraversato D'Annunzio por approdare alla modernità; e si chiude con Giovanni Giudi�ci, con le suo contra�stanti pulsioni tra poe�sia civile e poesia reli�giosa. Dentro ci stanno lutti i maggiori, che attraggono nella loro orbila, per affinità o per contrasto, figure meno rilevale di crepuscolari, futu�risti, vociani, ermetici, eclettici. A me spiace soltanto che in tanta abbondanza siano lasciali fuori un Teslori e un Volponi. Le presentazio�ni dei singoli poeti sono slese da specialisti, ineccepibili per la loro dottrina, per la competenza filologi�ca, metrica, stilistica: come dire RECENLorMo che, lasciando i testi annoiati al comune uso e diletto, si rivolgono provalentomonte agli studiosi. Per concludore, un vero o proprio monu�mento, poetico e critico (appena scalfito dai fretiuenti refusi tipogra�fici...). Raccolgo, qua e là, ({ualche stringonto definizione, qualche meno astratto risonlimento. «L'eversione di Palazzeschi e mollo più affine, tra i linguaggi dell'avanguardia, al paradosso e all'insensatezza dadai�sta, con la quale condivido la folle e funambolica leggerezza, il gusto distruttivo di gioco e risala» (Clelia IONE nzo do Marlignoni). «Introdur�re al "Porlo sepolto" (di Ungaretti) con una cita�zione che presenta il nomade già in viaggio, in esodo, verso una "Terra promessa", si�gnifica proporre al let�tore la visione non già di un incipit, ma di un'origine; attestare non tanto un"'opera pri�ma", ma il nucleo generatore più fecondo dei grandi miti ungarelliani di "riconoscimento" e di "quéte"» (Carlo Ossola). Il «Diario postumo» di Montale che ha scatenalo una ribollente polemica sulla sua atten�dibilità? Laura Barile avanza'una «sommessa» ipolesi, che l'eventua�le gesto montaliano sia assimilabi�le, con una più di grottesca irrisio�ne, a quello estremo di Tolstoj che fuggo da casa, spogliandosi di lutti i sogni esterni delle sue opere e della sua fama per potersi «presentare con l'anima leggera, o almeno alleg�gerita, dinanzi al giudico supremo» (cosi Leon Sestov). Betocchi realizza nelle prove ultime «una sotta di impossibile incontro tra la nuda catena umana della "Ginestra" di Leopardi e l'animismo finalistico di Tcilliard de Chardin..., meditante eco novecentesca dell'eterno grido lancinante di Giobbe» (Paolo Zublena). Nel saggio d'apertura dell'intera opera. Ossola abbozza una conclu�sione. Segnala nel Novecento una «vigile presenza più del veglio che dell'avanguardia», vede i rinnova�menti generali quasi sempre «dal culminare di radicale esperienze, più che dal prorompere di nuove». Lo sorprende anche, in Caproni e in Luzi, la ripresa di una aspirazione al poema, in una «scia metafisica che mai ha abbandonato il Novecen�to». A me pare che abbia una specia�le importanza la nutrita, ragguarde�vole presenza dei dialettali (da Di Giacomo a Guerra, da Marin a Loi): che certo hanno trovato legittimità e onore ergendosi sulle spalle ro»uste di un Porta e di un Belli, ma danno voce a una inquietudine tut�ta nostra. Il dialetto diventa espres�sione e simbolo di una civiltà minac�ciata, sembra quasi allungare sul�l'italiano l'ombra della sua sconfit�ta come lingua della realtà, il baglio�re di una erta, solitaria fierezza: «... negando la tradizionale opposizio�ne fra dialetto e lingua letteraria, Zanzotto li vede soccombere dinan�zi a una barbarie tecnologica che depaupera l'espressione verbale co�si come devasta la natura» (Pietro Gibellini). E' l'interrogativo che in�sorge nel congedo dal Novecento, da questo affollarsi di immagini, sogni e suoni in cui sembrano distil�larsi gli archetipi di una civiltà. Ci si chiede, volgendosi ai tre volumi antologici, a che cosa approderan�no, nell'era promessa a Internet, due millenni di poesia, di parole «inutili». «Una vigile presenza più del veglio che dell'avanguardia» negli ultimi cento anni. Accolti, oltre ai classici, gli autori nati prima del 1930 SI CONCLUDE L'ANTOLOGIA DELLA POESIA ITALIANA DIRETTA DA CESARE SEGRE E DA CARLO OSSOLA: DOMINANTE IL NOSTRO SECOLO RISPETTO ALL'OTTOCENTO ***:H •-«fflimmm ^ VlR^Wwf ' ir—^ X: Tre poeti dialettali presenti neir«Antologiai. del Novecento italiano curata da Ossola e Segre per i Meridiani: da sinistra Salvatore Di Giacomo, Tonino Guerra, Biagio Marin .1 ^:;?r" V Cesare Segro Carlo Ossola Antologia della poesia italiana. Voi. I Einaudi, pp. 1946, L. 180.000 ANTOLOGIA RECENSIONE Lorenzo Mondo

Luoghi citati: Cesa, Ossola