L anima come passaporto di Marco Belpoliti

L anima come passaporto Nell'era dell'interconnessione globale si moltiplicano i conflitti: Fidentità risiede nelle differenze L anima come passaporto Marco Belpoliti N-l AZIONI che combattono tra loro e giustifìcano la propria esistenza territo�riale sulla baso di storie |(liv(ìri;i!nt.i (Israele e Gior�dania, Cambogia e Vietnam, Gre�cia e Turchia, Etiopia e Sudan). Paesi i�sono la maggioranza che non coincidono più con società culturalmente solidali fatta occezione forse per Giappone, Norvegia, Uruguay (se si esclude la comunità italiana). Nuova Zelanda (senza considerare i inaori). Slati in cui la lingua unisce e la religio�ne (livide (Ucraina), dove la religio�ne unisco e la cultura (livide (Alge�ria), la razza unisce e la regione (livide (Cina), la storia unisce e la lingua divide (Svizzera). Identità translocali come «arabo», «slavo», «curdo», «tamil» che sono distribui�te in più Stati e in diverse nazioni. «L'idea che il mondo si componga di nazionalità le une identiche alle altre come gli atomi è ormai diffi�cilmente sostenibile e sicuramen�te non difendibile». Chi scrive questa frase ò un antropologo americano, Clifford Geertz, forse il più importante della generazione successiva a Lévi-Strauss. Geertz, die ha pubblicalo opero fondamentali come Interpretazio ni di culture (il Mulino), ha raccol�to le suo rapido ed efficaci riflessio�ni sul rapporto tra la crescente globalizzazione dell'economia e dello comunicazioni e il moltipli�carsi dello differenze e dello divi�sioni sociali. In Mattai) cjlohali; mondilocalHir. il, A. Michloro M. Santoro, Il Mulino, pp. 127, lire Ili.1)00) l'antropologo americano analizza la dissoluzione di catego�rie conio «paese», «nazione», «Sta�lo», «popolo», che sono stale por due secoli le pietre miliari dell'ordi�no politico mondiale, e la contem�poranea esplosioni; dei conflitti etnici e religiosi, ha molteplicità delle culture è un dato in aumento e sfida le forze unificatrici della produzione industriale, del dena�ro, della mobilità dello persone e delle merci, tulli fenomeni tosi a creare connessioni: «Quantopiù le coso si avvicinano lo une alle altro, tanto più rimangono separalo. Il mondo dell'interconnessione glo�bale rappresenta una realtà tanto remota quanto lo è la società senza classi». Oggi la parola chiavo riguardo alle culture e alle società è «identi�tà», termine che non indica tanto un'idea di totalità monolitica, quanto piuttosto i rifiuti o le fratture che sono diventate l'ele�mento costante nel paesaggio con�temporaneo, Se c'è qualcosa che definisce l'identità nel villaggio globale, non è certo l'armonia su questioni di fondo, scrive Geertz, piuttosto qualcosa «che assomiglia al ritorno di differenze famigliari, all'ostinarsi di scontri e alla resi�dua presenza di minacce la convinzione che, qualsiasi cosa succeda, l'ordino delle differenze va mantenuto». Dall'India al Ban�gladesh, dal Biafra al Ruanda e al Burundi, dall'Angola allo Sri Lanka, dal Sudan al Medio Orien�te, da Beirut a Sarajevo e Mogadi�scio, una sola domanda sombra ossessionare popolazioni tanto di�verse: «Che cosa abbiamo in comu�ne?», «Cosa ci rende distinguibi�li?». Non è possibile pensare l'iden�tità, sostiene l'antropologia, senza tracciare un confine, fissando del�le diversità: l'uomo e il non uomo, l'uomo libero e lo schiavo, i vivi e i morti. Ogni cultura definisce alcu�ni principi baso por identificare i propri membri: l'identità è un fatto mutevole. Eric Hobsbawm ha fatto notare in un articolo pubblicato nel 1996 sulla New Left Review, come la comparsa dei termini «identità» e «etnicità» sia piuttosto reconte: nell'Ox/brd English Dictionary all' inizio degli anni 70 il termine etnicità era parola rara e associata al paganesimo e alle superstizioni pagano. Nel suo scritto, lo storico inglese afferma che non esiste una sola identità bens�diverse. Per farsi capire usa una doppia metafo�ra: r«idontilà pellei: e l'«idontità maglietta». La prima s�fonda su elementi oggettivi condivisi dai membri di una comunità (colore della pelle, genero biologico ecc.); la seconda fi invece opzionale e intercambiabile. Dipende da alcu�ne scelte: identità di classo, nazio�nale, di fede politica, di passione sportiva ecc. Jean-Loup Amsolle, un africani�sta che insegna a Parigi, di cui la Bollali Boringhiori ha tradotto Lo�giche meticce (presentato e tradot�to da Marco Aimo, pp. 189, lire 38.000), sostiene che molte forme d'identità collettive sono prive di fondamenti storici reali e spesso sono solo il frutto di tradizioni inventale. Ricostruendo le vicen�de di alcuno popolazioni africane (puoi, bambari, malinko), Amsolle metto in luce come l'invenzione delle etnie sia stata l'opera con�giunta degli amministratori colo�niali, degli etnologi di professione o di persone che univano entram�be le qualifiche. Prima dell'arrivo di missionari, amministratori colo�niali e etnologi, l'Africa ora piena di società senza nomo, ha scritto Francesco Remotti, etnologo e doconlfi di Antropologia culturale all'Università di Torino, in Coruro l'identità (Laterza 1996), uno dei primi libri italiani a porre il proble�ma dell'identità proprio nel mo�mento in cui la «questione pada�na» era al suo culmino. Le popola�zioni peni, studiate in Africa da Amsolle, sono una vera e propria chimera. Il peul puro ò nomade, rosso, coi capelli lanosi. Ma già un altro studioso affascinato dai peul dichiara di averne incontrati noli' Ouassoulou e non parlavano certo la loro lingua. Anche sul termine «peul» non c'è accordo. Noi caso di questa etnia, come in quella dei luarog o nilocamitici, dico Amselle, è facile per gli etnologi o i saggisti lasciarsi andare ai loro fantasmi. Il nomadismo, ha dimo�strato Khazanov, non ò affatto una garanzia di autonomia e purezza. La definizione dell'identità è sempre un processo culturale, frut�to delle decisioni dello élite che inventano etnie, popoli e nazioni. Benedici Anderson, in un'opera purtroppo ancora poco conosciuta Comunità immaginate (Manife�stolibri 1996) -, ma a cui sia Geertz sia Amselle si rifanno nelle loro analisi sull'identità etnica, ha mo�stralo come la nascita di certe culture in Europa abbia obbedito al medesimo principio. Ad esem�pio, prima del periodo compreso tra il 1800 e il 1850, la lingua bulgara non era distinta dal serbo, dal croato e dallo sloveno, cosi come l'ucraino era una specie di russo e la lingua della Finlandia era lo svedese. Una parte dello lingue e delle culture europee sono slate create dall'opera congiunta di intellettuali: storici, linguisti, grammatici, filologici, lessicogra�fi, letterati, musicisti. Trascriven�do le lingue, le consuetudini, la musica, il folclore, e diffondendo i loro scritti in merito, costoro han�no contribuito in modo sostanziale al sorgere dei nazionalismi euro�pei tra il '700 e il '900, cosi come alla comparsa delle culture delle minoranze etniche. E non si tratta solo di un fenomeno europeo, se si pensa che l'emergerò deir«arabità» in Libano, scrive Amselle, fa parte del medesimo processo. Più in generalo, «la formazione delle di�verse culture non scritto del piane�ta è opera della dominazione euro�pea e di ciò che l'accompagna: la diffusione della scrittura, la scola�rizzazione, l'urbanizzazione, l'emergere di una classe di letterali e la creazione di nuove nazioni». Il libro dell'africanista francese è un atto di accusa contro l'antro�pologia e l'etnologia europee, da lui interpretate come l'effello di ritorno della dominazione delle culture scritto su quello orali. Lo slesso relativismo culturale, a cui spesso ci si rifa por proclamare che nessuna cultura è superiore alle altre, ò per Amsolle il risultato di questo medesimo processo. Gli an�tropologi europei nel corso degli ultimi due secoli hanno identifica�to una serie limitata di società; alcune di queste sono scomparse perche si sono estinti i loro mem�bri o perché non sono riuscite a diventare «culture» nel senso euro�peo, cosa che accade infatti solo se attori sociali intellettuali, ad esempio non le hanno riconosciu�te e spinte sulla scena sociale e politica. In altri termini, hanno trionfato solo le culture, come il caso della Jugoslavia dimostra in modo lampante, che si sono tra�sformate in nazionalismi, e questo mentre proprio l'idea stessa di nazione è entrata in crisi. Che cos'è un paese?, si domanda Geertz a un certo punto del libro. Sono quei «popoli» che riescono a riunirsi in una struttura economi�ca e politica utilizzando una corni�ce narrativa di tipo storico, ideolo�gico, religioso o quant'altro che la giustifichi. Se solo pensiamo alla nostra storia, quella stessa che veniva insegnata fino a poco tem�po fa nelle scuole elementari, met�tendo l'accento sulle guerre di indipendenza dall'SOO alla prima guerra mondiale, sorvolando inve�ce sul fascismo e la seconda guerra mondiale, si comprenderà come non sia lontana dal vero l'afferma�zione di Anderson secondo cui «le nazioni vengono immaginate e, in seguito, modellate, adottate e tra�sformate». Forse la stessa idea del separati�smo leghista, oltre che per eviden�ti difficoltà orografiche, è fallita proprio perché non c'è stato nes�sun gruppo intellettuale di qual�che peso capace di immaginare una nuova nazione padana. Esiste una via d'uscita dalle logiche dell' identità? Amselle e Remolti non a caso studiosi d�società africane in cui l'identità non è un'ossessione come per la cultura europea sostengono di sì. Entrambi fanno un elogio della precarietà. Amselle scrive che tra i diritti delle mino�ranze ci dovrebbe essere anche quello di rinunciare alla loro cultu�ra, salvo il fallo che �dominanti non dovrebbero avere la possibili�tà di scegliere al posto loro che tipo di cultura o di lingua sia più conveniente avere. Remotti è più possibilista, ma mette in guardia su un fallo: credere pervicacemen�te nelle proprie forme di identità rende le società più difficili agli scambi e alle ibridazioni. Non è detto che questa via sia quella che ci salva, ma, scrive, certo l'osses�sione della purezza e della diversi�tà è quella che ha prodotto in Europa, e non solo qui, le maggiori rovine. La nuova antropologia alle prese con la dissoluzione di categorie tradizionali come «paese», «popolo», «nazione». Che cosa c'è sotto i separatismi egli Haider del mondo a rto Un poster della manifestazione «Identità e differenze", che si è tenuta lo scorso autunno a Torino. Credere tenacemente nella propria identità rende le società più diffìcili agli scambi e alle ibridazioni. Ma, sottolinea l'antropologo Francesco Remotti, l'ossessione della purezza e della diversità ha prodotto in Europa le maggiori rovine. Un poster della manifestazione «Identità e differenze", che si è tenuta lo scorso autunno a Torino. Credere tenacemente nella propria identità rende le società più diffìcili agli scambi e alle ibridazioni. Ma, sottolinea l'antropologo Francesco Remotti, l'ossessione della purezza e della diversità ha prodotto in Europa le maggiori rovine.