Ibo, l'isola senza maniglie splendido guscio vuoto

Ibo, l'isola senza maniglie splendido guscio vuoto VIAGGIO NELLE FERITE DEL MOZAMBICO TRA INFERNO E PARADISO Ibo, l'isola senza maniglie splendido guscio vuoto REPORTAGE Maria Giulia Minetti VERSO sera l'isola di Ibo sem�bra un forte abbandonato in mezzo a una grande pietraia. La barca a vela s'inclina, il bilanciere striscia sulle pietre visci�de. Gli ultimi cinquanta metri si fanno a piedi, i barcaioli tengono in equilibrio sulla testa le borse dei passeggeri. La pietraia è il fondo marino scoperto dalla bassa ma�rea; l'oceano, senza rumore, lo ricoprirà durante la notte. Bisogna fare in fretta a raggiungere la casa di Jeanine, prima che il sole tra�monti e i sentieri di Ibo sprofondi�no nell'oscurità assoluta di questa notte senza luna. Piccoli rumori leggeri attraversano l'aria, poche persone in giro, il buio s'addensa forato appena dai fuochi dentro le case, fuochi minuscoli accesi in fornelli di terra sotto pentole roton�de. Eppure contro il cielo del crepu�scolo, turchino scuro, si distinguo�no bene i fili elettrici dell'illumina�zione cittadina; soltanto, hanno un aspetto inane, molli come corde rotte del bucato, qualcuno, slacca�lo e innocuo, penzola giù fino a sfiorare la strada. Da vent'anni, a Ibo, dell'elettricità è rimasto solo lo spettro. A due chilometri dalla costa, a cinquanta da Pemba, la capitale del Cabo Delgado, l'estremo stato set�tentrionale del Mozambico al confi�ne con la Tanzania, Ibo è il fanta�sma di tutti i fantasmi mozambica�ni, il relitto di un set abbandonato da una troupe in fuga, la carcassa spolpala d'un animale defunto. Nel sole del giorno successivo, lo stupo�re è ancora più grande. Vaste case con pavimenti in cotto o legno di lek, verande rette da pilastri in ferro battuto, giardini di alberi enormi e cespugli opulenti, negozi con latghi magazzini, un ampio lungomare terrazzato che conduce fino al forte arcigno e arroccato, spesse mura scandite dalle feritoie. Tutto più che derelitto. Non una maniglia, non un gancio è rimasto al suo posto, non una lampada, un tramezzo, una scala interna. L'ac�qua piovuta da tetti sfondali ha irroralo pavimenti divelti e grosse piante sono spuntate in mezzo a sale crollanti. Nei retri, famiglie vivono su stuoie. Nel cortile di quella che fu una casa coloniale di ricco impianto un piccolo Cessna monoposto si sgretola fra i fiori. Splendido e desolato guscio vuo�to, l'isola di Ibo era un tempo non molto tempo fa, fino alla fine degli anni Settanta centro di commerci e di scambi. Più che i portoghesi, erano gli indiani, qui come in tutta la costa dell'Africa sudorienlalo, a trafficare sisal avorio e legno, di�smessa l'antica, lucrosa tratta di schiavi. Di boi-ghesia benestante parlano le architetture della cittadi�na, protetta all'intorno dal mare. Fin�lutto dopo l'indipendenza.nel 1974, ma non subilo. Dapprima ci fu un periodo d'incertezze in tutto il Paese, un'emorragia di celo me�dio davanti alle nazionalizzazioni e espropriazioni volute dal Frelimo, che aveva vinto la guerra anticolo�niale con le parole d'ordine marxiste-leniniste, e le metteva in prati�ca rigidamente. Ma il colpo di grazia fu la guerra civile, quindici anni di massacri fra Frelimo e Renamo, e quando la guerra civile finì, nel 1992, anche il Mozambico era finito, squartato, divello e pron�to a saltare in aria per chissà quanti anni a venire, con due milioni di mine rimaste nascoste nei campi. E' bellissimo, il Mozambico. E' uno dei posti del mondo dove bel�lezza e tristezza si sposano in modo tanto struggente che uno vorrebbe calpestarne il suolo con passo legge�rissimo, e non per paura delle mine. Le mine minacciano chi abita nei territori dove si sono svolli gli scontri campali fra Frelimo e Renamo, e il turista può evitarli. Ma il turista che da Maputo arriva su verso l'estrema costa mozambi�cana, attratto da racconti di spiag;e immacolate e foreste ancora ussureggianti, il turista che accet�ta la prospettiva di ricoveri somma�ri (come, a Ibo, la casa di Jeanine, una francese arrivala con un'orga�nizzazione umanitaria, che ha ri�messo un po' a posto una dimora sul mare, e offre un rifugio ai dispersi) vive in bilico tra esaltazio�ne e disperazione. Metti una sera alla Pengao Lete di Mucimboa da Praia, ultima citta�dina prima del confine tanzaniano. Alla mattina da l�sei andato fino al faro tre ore di jeep per ima trentina di chilometri, le strade sono ex-strade, da queste parti sei sceso alla spiaggia costellata di pure conchiglie bianche, chilome�tri di bianco e turchese e azzurro, un villaggio di frasche sotto le palme... Adesso sei seduto sul balco�ne della pengao, e una donna li porta da mangiare, un piallo pieno di pollo fritto (l'hanno sgozzato per te, al momento) e palale fritte. Birra. La donna indugia. La donna ha tre figli piccoli, il marito è morto sei mesi prima. «A doenga», spiega, la malattia. La malattia per antono�masia, la malaria. Qui la malaria e il colera sono come le piogge e il vento, fenomeni naturali, inevitabili. Vecchi non ne vedi in giro. Medicine non ce n'è. Non ci sono ospedali, né dispensa�ri. Ci fossero, non ci sono soldi neppure per la meno costosa delle pillole. L'Aids galoppa, nelle città pateti�ci fogli appiccicati sui muri invita�no a usare i preservativi. Quali preservativi? Chi li distribuisce? Chi ha i soldi per comprarli? Chi va nel «malo», nella boscaglia, a inse�gnare a usarli? Chi legge gli avvisi governativi in un Paese all'BO per cento analfabeta? Ancora: chi com�pra il pesce di questo mare che ne pullula? Dove sono i frigoriferi per stivarli, i camion per trasportarli, le strade per farci passare i ca�mion? Che fine faranno i bambini della donna? Scendete giù, sotto Ibo, sotto Pemba, giù giù fino a Nampula, puntale di nuovo verso il mare. Ecco davanti a voi l'Uba de Mogambique, scrostala dai secoli, e tutta�via ben salda dentro lo mura mici�diali della «fortaleza», le più anti�che l�dal 1508, quando il coman�dante Duarte de Melo gettò le basi della roccaforte che piantonava l'Oceano Indiano nel nome del re del Portogallo. Nell'Ilha la vita persiste, miracolosamente le case della città, molte con le travi a nudo, i muri fessurati, gli intonaci scorticali sono ancora in piedi, ma negli enormi magazzini settecente�schi, dove s'accumulavano i tesori trasportali da Goa, adesso s'accam�pano i poverissimi senza dimora, che hanno diviso gli sterminati pavimenti ergendo paletti e reti; dentro i comparti famiglie intere, i fumi dei fuochi che si perdono nelle volle altissime. Si può preservare l'Ilha traendola dal degrado? L'Unesco l'ha già dichiarata patrimonio dell'umani�tà, qua e là lavori di restauro sono in corso. Esiste un'alternativa tra un futuro da gliello-museo per viaggiatori di lusso (isole meravi�gliose la incorniciano, lungo la ter�raferma corrono i nastri candidi delle spiagge) e la morte della vita locale? Uno riparte da questi luoghi con l'impressione di avere sfioralo un bambino ammalalo che dorme. Mani leggere ci vorrebbero, per svegliarlo e curarlo. AL CONFINE CON LA TANZANIA, E IL VERO FANTASMA DI TUTTI I FANTASMI DI UN PAESE DIVORATO DALIA GUERRA CIVILE, IL RELITTO DI UN SET ABBANDONATO DA UNA TROUPE IN FUGA Non molto tempo fa, fino alla fine degli Anni Settanta era un grande centro di commerci e di scambi Più che i portoghesi erano gli indiani a trafficare sisa avorio e legno dopo aver dismesso l'antica, lucrosissima tratta degli schiavi mm^m afpmL(le liba de Mo^ambique: la Porta delle Armi vista dall'interno della Fortezza fatta costruire nel 1508 dal comandante Duarte de Melo per piantonare le rotte dell'Oceano Indiano in nome del re del Portogallo IL VERO EDEN a Se il turismo sapesse muoversi con passo leggero, il Nord de! Mozambico potrebbe diventare l'eden di cui ci raccontano Ingannevoli i «depilanti» turistici di tanti luoghi rovinati dall' industria delle vacanze. Qui dal mane scaturiscono apparizioni talmente imprevedibili da far sbattere gli occhi.

Persone citate: Delgado, Duarte De Melo, Maria Giulia Minetti, Paradiso Ibo, Pemba, Vero Fantasma

Luoghi citati: Africa, Maputo, Portogallo, Praia, Tanzania