Carlo Tullio-Altan: «Siamo un Paese di trasformisti, teniamo famiglia» di Alberto Papuzzi

Carlo Tullio-Altan: «Siamo un Paese di trasformisti, teniamo famiglia» Carlo Tullio-Altan: «Siamo un Paese di trasformisti, teniamo famiglia» AQUILEIA L/ ANTICA grande casa colo�nica dei Tullio-Alian, into�nacala di giallo, sorge qua�si isolala nella crislallina campagna friulana, come un pun�to di confine dove s'incrociano i rami di una lunga storia genealogi�ca e culluralo. Siamo venuti in questa lembo di Nord-Esl, fra vestigia romaniche e influssi milleleuropei, per incontrare e inlervislaro Carlo Tullio-Allan, 84 an�ni, primo studioso italiano a inse�gnare antropologia culturale (nel 1962 a Pavia!. Nelle abitazioni ricavale dall'amica casa, vivono con lui il figlio pittore, che firma soltanto Allan le vignelle e storie a fumelli, un'altra figlia, una nipo�te e una pronipote: quattro genera�zioni in due cortili. Il professore ha appena pubblicalo un libro che si può considerare il punto d'arri�vo di una vita di ricerche, comin�ciala nel dopoguerra, dopo una laurea in giurisprudenza e selle anni di militare, fra le biblioteche e gli archivi di Vienna e Parigi: Gli italiani in Europa, un profilo slorico comparalo delle idenlilà nazio�nali europee, che traccia un qua�dro sconsolatamente realistico della nostra idenlilà e della nostra cultura, rispello alle tradizioni di altri paesi. Prima di parlare del libro, chia�riamo la questione del nome, perché forse serve a capire che cosa c'è dietro il libro. Come nascono i Tullio-Altan? «La famiglia Tullio ha fallo il suo patrimonio nel 700. Apparteneva alla piccola nobiltà friulana, con iniziativa imprendiloriale. Nella storia di Gorizia figura infalli un Burger Tullio che promosse la boni�fica del lerrilorio all'epoca di Maria Teresa. Invece gli Allan erano una famiglia aristocratica del Pordeno�nese, con radici nel Medioevo. Quan�do mio nonno, che era nato nel 1833, sposò l'ultima discendente degli Allan, aggiunse al proprio il cognome della moglie, che altrimenli non sarebbe soprav�vissuto alla decaden�za. Creandoci lei può immaginare quali pro�blemi: ah, ma Tullio non è il nome? EcceleINTERAlbPapEcco spiegato per�ché suo figlio ha scelto Altan come nome de piume. «Però mio figlio ha ereditalo la sua vocazione dal ramo materno della mia famiglia. Il mio bisnonno mater�no era infalli un pittore. Di famiglia risorgimenlale piemontese, i Vinay, fece la guerra d'indipendenza del '48. Suo figlio e mio nonno, Giusep�pe Scipione, fu assistente di Charcot alla Salpètrière e introdusse in Ita�lia l'ipnosi e l'idroterapia. Dunque mia madre rappresentava un filone borghese collo e progressista, men�tre mio padre esprimeva il grande conservatorismo». Veniamo al libro. Lei analizza le identità nazionali alla luce di cinque elementi simbolici: epos, ethos, logos, genos, topos. Vale a dire: memoria col�lettiva, valori etici, patrimo�nio linguistico e artistico, rap�porti di parentela, spazi pub�blici e privati. Si tratta di un canone coniato da lei o preso a prestito da altri studiosi? «Il mio canone è frullo di trent'anni di lavoro. Tutto nasce quando inse�gnavo a Trento nel '68-^9. Venni coinvolto in una grande ricerca sui comportamenti giovanili. Il campio�ne erano 7130 individui, il questio�nario comprendeva 45 pagine! Sco�primmo che la gioventù coinvolta nei movimenti e interessala dai cambimenti era soltanto una esigua minoranza, non più del 3-4 per cento. I risultali dell'indagine furo�no pubblicali da Bompiani nei volu�mi I valori difficili \ 1974) e ValoVISTA rto zzi ri, classi sociali e scelte polìtiche (19761. Allora mi resi conio che ci servivano slrumenli teorici per comprendere i fenome�ni del comportamento dal punto di vista dei valori. Si trattava di ri-;onoscere il peso decisivo del�l'esperienza simbolica nella fonrm zione dell'identità culturale d'un popolo. Ho enucleato questi prin�cipi in due libri di Feltrinelli: Soc;getto, simbolo e valore (I992Ìo Ethnos echiltà (19951». Riassumo la sua analisi degli italiani: non abbiamo un epos, il nostro ethos è il trasformi�smo politico, privilegiamo i lo�calismi, difendiamo il famili�smo, anteponiamo gli spazi pri�vati a quelli pubblici e istitu�zionali. E' così, non c'è mente da fare? Siamo l'Italia dei di�svalori? «Allo slato delle cose, si. Ma le diagnosi vengono fatte per cambia�re». Ma perché vicende storiche come il Risorgimento e la Resi�stenza, con i monumenti e le celebrazioni, non possono es�sere considerate le basi di un'epica nazionale? «Non si può suscitare un sentimen�to nazionale semplicemente con la propaganda. Il Risorgimento e la Resistenza sono stati entrambi feno�meni elitari, minoritari. Il nostro nazionalismo si manifesta con il calcio: è allora che l'Italia e vissuta come un valore comune». Perché il trasformismo ha un peso cos�rilevante nella no�stra cultura politica? «Perché il nostro Stato è nato senza una vera classe dirigente. La respon�sabilità primaria ò imputabile al cattolicesimo. Noi abbiamo avuto in casa questa grande forza che ha impedito la fonnazione di un'elite. Di fronte alla necessità di fare le riforme, in mancanza di un consen�so sui valori civili, si è usalo il metodo di trasformare le opposizio�ni in appoggi governativi. Una prati�ca portala ali esasperazione da Giolitti, che era un Andreotti con una marcia in più. Naturalmente si sono fatte anche grandi riforme, ma inde�bolendo vieppiù la classe dirigente. Per cui il nostro è un paese dove si va a casa perché si governa bene non ( uando si governa male». Allude a Prodi? «E' solo l'ultimo evidente riscon�tro». Perché il familismo è soprav�vissuto sebbene l'Italia sia di�ventata un grande paese indu�striale? «Non c'è solo il familismo contadi�no, studialo da Banfield. Se lei legge i Litri della famiglia di Leon Batti�sta Alberti, scoprirà che anche una illuminata personalità del secolo d'oro della civiltà italiana, apparte�nerne a una famiglia di mercanti e finanzieri, è un teorico della "masse�rizia", cioè dell'arte di usare la famiglia per fini mercantili. Se da noi anche gli imprenditori portano con so il familismo, e inevitabile ritrovarlo nella vita politica». Che fare, infine, professor Tul�lio-Allan? «Non tocca a me dirlo, se non per ciò che conosco, lo conosco la scuola. Insegnare è stato il mio mestiere. Perciò penso che la scuola debba porsi l'obiettivo di (ormare la co�scienza civile degli italiani». Che accoglienza ha avuto il suo lavoro nel mondo accade�mico? «Io sono un isolato. La mia analisi è respinta dalla destra, perché i panni simrchi vanno lavati in casa, ma anche dal populismo di sinistra, dal punto di vista ideologico. Sono po�sto sotto silenzio». Le capita di vedere rispecchia�ta la sua visione pessimistica nei disegni satirici di suo fi�glio, nel rassegnato realismo dei suoi Cipputi o delle sue sfatte donne mgioiellate? «Direi di sì. Solo che mio figlio è un poeta». Incontro con lo studioso nella sua casa di Aquileia, 84 anni, il primo italiano a insegnare antropologia culturale, un «isolato» respinto dalla destra ignorato dalla sinistra Dalle ricerche sui comportamenti giovanili nella Trento del '68 a quelle sui valori, le classi sociali e i comportamenti politici Un pessimista che si ritrova nelle vignette del figlio Francesco, il disegnatore di Cipputi: «Ma lui è un poeta» L'IDENTITÀ' DEGLI ITALIANI, UN POPOLO CHE ANTEPONE IL PRIVATO AL PUBBLICO, SENZA UNA VERA CLASSE DIRIGENTE: «LA RESPONSABILITÀ' PRIMARIA RISALE AL CATTOLICESIMO» UltAUAMO fc UM POftXO 5Tf2AC«D5WAg|, M» PIAC6Re»e6 TAKJtO CHE FOSSE VW POfOLO WORMAt-E. Una vignetta di Altan. Accanto, il padre Carlo, 84 anni, primo studioso italiano a insegnare antropologia culturale (nel 1962, a Pavia). ,. '|'-"' ^ Carlo Tullio-Altan Gli italiani in Europa il Mulino, pp. 260, L. 30.000 SAGGIO INTERVISTA Alberto Papuzzi

Persone citate: Andreotti, Burger Tullio, Carlo Tullio-allan, Carlo Tullio-altan, Maria Teresa, Mulino, Prodi, Quan, Vera Classe