«Sono il grande sconfitto, ma è un'ingiustizia» di Alberto Papuzzi

«Sono il grande sconfitto, ma è un'ingiustizia» «Sono il grande sconfitto, ma è un'ingiustizia» E Sofri chiama in causa il Pei: «Chi sa ora parli» Alberto Papuzzi inviato a FIRENZE «Io sono il grande sconfitto». Alle 12,10 in punto, conosciuta la sentenza (insieme ai figli Luca e Nicola), Adriano Sofri apre le porte della sua casa sui poggi di Tavernuzze, frazione dell'Impruneta, a giornalisti e operatori. Siamo una trentina. Ci accoglie nel portico, attorno a un grande tavolo, porta lui le sedie. Qui in agosto raccogliemmo le sue ri�flessioni dopo la scarcerazione. In maglioncino girocollo, è di nuovo ospitale, è sempre com�battivo, ma l'emozione controlla�ta sembra esprimersi in un velo di tristezza. Parla per un'ora e un quarto, interrotto solo dalle domande. E' la voce di un con�dannato che ha perso la residua fiducia nella giustizia, ma pensa di dover mostrare di crederci. Che cosa dice Sofri prima che arrivino i carabinieri? Guarda in faccia alla sua condizione: «Io sono il vero sconfitto del proces�so. Perché ho voluto metterci tutto l'impegno per difendermi. E mi dispiace per i miei amici coinvolti e travolti nella vicen�da». E' lui che si è voluto colpire: «Io sonp.quello.che è stato boc�ciato all'esame, mentre loro non hanno concorso». Però dice an�che che non si arrende: «Non esiste l'ultima puntata di questa enorme ingiustizia. Continuerò a battermi finché avrò forza e lucidità. Nessuna pietra tomba�le potrà calare su di me. Sul piano dei fatti, il processo di revisione è stato da noi stravin�to, perché ha spazzato via la pretesa spontaneità del penti�mento di Leonardo Marino». Il punto chiave è, ancora una volta, lo sbugiardamento di Ma�rino. Sul quale Sofri, per la prima volta cos�apertamente, chiama in causa gli ex dirigenti del Pei. Quando Marino si pre�senta spontaneamente ai carabi�nieri per confessare, secondo Sofri ha già parlato con Flavio Bertone, autorevolissimo comu�nista della zona di La Spezia, dove allora Marino si trovava. Domanda Sofri: è pensabile che Bertone (nel frattempo morto) non avesse riferito ai vertici del partito che c'era un tesserato che si dichiarava coinvolto nel�l'omicidio Calabresi per ordine di Sofri? L'avvocato Maris, difen�sore di Marino, anch'egli della vecchia guardia comunista, nel�l'ultima udienza ha ammesso che probabilmente il partito era stato informato. All'ammissione di Maris si aggrappava Sofri, citandola in tutte le interviste. «Io auspico che finalmente si dica che i carabinieri erano anda�ti da Marino perché avvertiti». Si prospetta un'intesa tra Stato e Partito per accollare a Lotta Continua la nascita del terrori�smo rosso. Sofri non lo afferma apertis verbis, ma dice che c'era chi sapeva: «Il fatto che queste persone abbiano taciuto ha con�sentito di montare la tesi di Marino come pentito spontaneo. Con un investimento morale, per cui Marino è l'autore di una confessione teologicamente bea�tificata, mentre noi diventiamo efferati delinquenti in servizio permanente effettivo. Nelle sen�tenze io sono il male biblico». Un processo politico: «L'impianto d'accusa è una interpretazione storica, in cui si dice che Lotta Continua, ritenendo possibile un'insurrezione, commise un omicidio per scatenarla. Questo delirio è la base delle condanne». Chi sapeva e non ha parlato? «Penso a Pecchioli, che non vor�rei citare perché è morto e io aborro da qualsiasi maramalderia. Ma penso a Pecchioli perché era il ministro degli Interni del partito comunista sulle questio�ni del terrorismo». E tra i dirigen�ti di allora ancora vivi? Forse Natta? «Non so. Mi auguro che di quelli che sapevano siano molti ancora vivi e vegeti. Mi sembrerebbe strano che Violan�te non sapesse queste cose, per il suo passato nella lotta al terrori�smo e per i legami con Pecchioli. Però immagino anche altri, che hanno taciuto soprattutto per�ché era un'abitudine del partito tenere una sua segretezza». Ed ecco l'appello.che investe. la politica: «Io li invito a non lasciare in piedi una bugia su cui è costruita una falsificazione della storia. Per cui io sono costretto a difendere non solo la mia persona, ma la memoria delle migliaia di persone che erano come me». Volenti o nolen�ti, è di nuovo una turbolenta storia politica il vero senso delle carte d'un processo: «Ciascuno di noi ammette Sofri viene da lontano. Il pg di Venezia si chia�ma Caizzi e, come sapete, era il sostituto procuratore che per primo archiviò l'indagine su Pi�nelli. Non c'è nessuno, in questo processo, che non si trascini dietro il suo trenino di vagoni del passato». Parla anche di altre cose, Adriano Sofri. Ricorda, en passant, che nel 1988, quando tutto comincia, il suo amico Claudio Martelli era vicepresidente del Consiglio. Una ragione in più perché la storia di Marino fosse «un boccone ghiotto, e forse avvelenato». Contemporanea�mente suggerisce di non raziona�lizzare troppo: «Non sono dise�gni a priori. Sono aggiustamenti a posteriori. Tenete conto che in questi 12 anni l'Italia è stata più volte rovesciata come un calzi�no». Ribadisco il no alla grazia: «E' un concetto diverso di giusti�zia». Non rinuncia al sarcasmo: «Potete dire agli italiani di slare tranquilli, perché non è vero che si liberano facilmente i delin�quenti. I carabinieri sono già venuti due giorni fa a controlla�re che ci fossi». E confessa l'orro�re che prova per il carcere, che si appresta a varcare: «E' una tor�tura fisica, quella di cui si occu�pa Amnesly. Passerò sette giorni per avere una penna stilografi�ca. E venti giorni por ottenere un cuscino per i dolori alla cervica�le. Perché il carcere è un luogo di ignominia». Il sole scalda il prato davanti alla casa. Arrivano amici, anche Sergio Staino, quindi Paolo Men�del. Staine dico: «Non è lui lo sconfitto. E la giustizia che ha perso. Lui ne esce circondato dalla simpatia di tanta gente». C'è una certa rassegnata inquie�tudine. Sofri ha già proparalo il borsone e non ci sono più molto cose da raccontare. Tanto che a un certo punto dico con un mozzo sorriso: «E' uno dei casi in cui non si vede l'ora che arrivino i carabinieri». I quali si fanno vivi allo 14,25, nelle perso�ne del capitano Mauro Masich della Compagnia Oltrarno e del maresciallo Sandro Papa della Stazióne di Impruneta. Tutto si svolge in una decina di minuti, nell'ingresso living della casa rustica, fra due bassi divanetti coperti di cuscini di lana. L'uffi�ciale consegna a Sofri l'ordino di carcerazione della Procura Gene�rale di Milano. «Vedo che c'è un calcolo: devo faro ancora anni 17, mesi 2, giorni 7». Firma. E' seccato perché lo portano al carcere Sollicciano di Scahdicci, il più vicino, da dove sarà poi smistato, forse, a Pisa. Sono lo 14,38. Sofri indossa un giubbino verde. «Sombra che devo andare», dice a Luca e Nicola. Va a salutare Bandi, la sua compagna, nella casa vicina. Torna. Prendo il borsone. «Pove�ro cane», dice a Felix, il suo lupo, che si è rovesciato sulla schiena per farsi accarezzare. do VOlutO mettere tutto il mio impegno per difendermi in questo infinito processo Ora mi dispiace per i miei amici coinvolti e travolti nella vicenda» «Adesso finalmente spero che dicano che i carabinieri andarono da Marino perché avvertiti Com'è possibile che Botteghe Oscure non fosse stata informata?» «Mi sembrerebbe molto strano che Violante non fosse a conoscenza di queste cose, per il suo passato di lotta al terrorismo e per il legame con Pecchioli» Adriano Sofri abbraccia il figlio Luca prima di lasciare la casa di Tavernuzze per ritornare nel carcere di Pisa. Prima di arrivare al «Don Bosco», i carabinieri ieri pomeriggio l'hanno accompagnato all'istituto di Sollicciano. alla periferia di Firenze

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