« Nessuno voleva darmi retta » di Pierangelo Sapegno

« Nessuno voleva darmi retta » IL POPOLO DEGLI SCONFITTI CHE MUORE SULLA STRADA DEI SOGNI « Nessuno voleva darmi retta » «Ho girato il Paese per far avviare le indagini» reportage Pierangelo Sapegno inviato à LECCE ANCH'IO sono venuta come dovevanovenire loro. Una notte sul mare, senza dive una parola, il gommone che sobbalza, la paura che non conta e un freddo cane che ti toglie anche i pensieri. , Siamo immigrati, veniamo dalla miseria. Molli di noi non sono solo stranieri in Italia. Sono nemici. Quando si muore, però, si ha pietà di tulli. Anche dei nemici. Abbiamo girato tutta l'Italia per chiedere aiuto, dicendo che forse c'erano dei morti nel mare. Sinceramente: solo il Quotidiano di Lecce ci ha ascolta�lo. Nessun'allro ci ha dalo retta. Adesso chiediamo solo di avere la dignità di essere trattati come tulli gli altri almeno nelle tragedie. Non possiamo restare clandestini anche nelle disgrazie». Entela Lumani, da Korcia, Albania, la donna che a Capodanno denunciò la scomparsa del gommone albanese. Le hanno dato ragione 17 giorni doiw. 59 scomparsi. Sempre i soUti, il popolo della sconfitta: cinesi, albanesi, cur�di, e 4 ragazze moldave che doveva�no battere le strado d'Italia. Entela Lumani ha capelli scuri un po' disordinali, occhi socchiusi e il naso che sembra schiacciato co�me quello d'un pugile. Girava l'Ita�lia per chiedere aiuto e cliiamava di là, a Valona e a Tirana, alla polizia di Korcia e di Pogradec perché suo cugino era sparito su un gommone fantasma, e forse c'erano 50 moni. Che cosa le dicevano, Entela? «In Albania non ti rispondono neanche, quando vai a dire qualcosa del genere». Anche Miti Jakupi e il cugino di Cenci Cami sono andati a bussare dalla polizia albanese. Miti Jakupi ha un bar a Valona e uno che ha un bar a Valona è un signore, e perciò lo trattano bene. Nessuno gli ha chiuso le porte in faccia. Solo che facevano finta d'ascoltarlo. «Io par�lavo, e alla fine loro mi dicevano: eh, speriamo bone. Miti». Carni inve�ce è partito da Pogradec ed e sceso a Valona. S'è presentato al commissa�riato, e quelli continuavano a discu�tere fra di loro, come se lui non esistesse: «Cosa possiamo fare noi. Vada dagli italiani». Dice Entela: «In Albania sappiamo che è così. Ma neanche in Italia ci hanno preso sul serio. Se le ricerche fossero partile subito e fossero state fallo meglio forse si sarebbero potuti salvare quella donna che è rimasta legata al gommone e qualche altro clandestino. Mi chiedo: questo non conta niente per voi? Vi appassiona�te pergli amanti di Monlecaslrilli, e non vi interessano 59 morti?» La verità è che non c'è l'Italia cattiva o l'Albania crudele. C'è solo un popo�lo della sconfitta che arricchisce la , malavita, italiana e albanese, e che muore sulla strada del suo sogno. Il sogno che insegne è cosi squallido che ha una sola porla d'accesso: quello della povertà nel mondo dei ricchi. Non è soltanto una piccola noia, ma sul gommone affondato nella notte di San Silvestro mentre il mondo faceva oi^gia per il Duemi�la, c'erano appena 5 telefonini: 2 erano degli scafisti, e 3 di una ragazza, Cristina, probabilmente ima delle moldave ingaggiale per prostituirsi. Il cellulare è anche imo spartiacque ira miserabili. Uno de�gli scafisti, Elidon, 26 anni, da Valo�na, era abituato a chiamare casa appena toccata la costa italiana: avvisava ch'era arrivato e diceva quando ripartiva. I telefonini dogli scafisti non servono mai per le disperazioni dei viaggiatori. Nessu�no si degnò di chiamare un soccorso qualsiasi quando a una mamma curila mor�pietrificata dal freddo la piccola di sei mesi: «Seppellisciia qui, senza storie», le dissero. Però, altre volto, sui tabulati sono regi�stralo le bestemmie dei papponi agli scafisti quando affonda qual�che gommone: «Le puttane si sono salvale?» Risala: «Loro sì». Questa volta, nel viaggio di San Silvestro, i telefonini non hanno mai chiama�lo, e i parenti e gli amici degli scafisti dopo 10 giorni hanno comin�ciato a darsi da faro. I gommoni costano: sono un capitalo da salva�re. Racconta il padre di Elidon: «Min figlio è partito il 30 dicembre. Erano le 22 e sul gommone erano in 59. Il tempo (;ra brullo, ma hanno voluto partirò lo stosso. L'ho scon�giuralo di non farlo. Anche altri scafi haiuio preso il largo. Alcuni, una volta doppiata l'Isola di Basano, sono tornali indietro: ora troppo pericoloso affrontare quel maro in temposia. Mio figlio ò tra quelli che hanno continuato». L'altro scnfisln, Amed. 26 anni, di Valona, aveva il cellulare e lOnumer�di telefono, in Italia e Albania, per i soccorsi. Non è mai arrivato nessun appello. Quand'e cos�nei clan si piangono i gommoni ponimi. E si sostituisce lo scafista: questo non è im problema. Poi ci sono gli altri, il jxipolo miserevole degli sconfitti, chiamali da tutto il mondo in questo angolo di Modilerraneo perché alcuni scia�calli hanno capito che c'era da lucrarci bene, assieme al traffico della droga e delle armi. Sono i nuovi schiavisti dol Duemila. Gli sconfitti vengono, spariscono, muo�iono e non hanno nemmeno un gommone da piangere. Quando so�pravvivono fanno come Entela Lu�mani. Vivo vicino a Siena. La matti�na lavora come insoi-vionte in un albergo fino al primo pomeriggio. Alla sera lavora in una pizzeria fino a tarda notte. In (inosli giorni, lui trovalo puro il tempo di correre da una parte all'altra dell'Italia cercan�do una speranza per suo cugino. Cenci Lenja, «e por lutti quei pove�retti che orano a bordo con lui». Dice che «formalmente» ha fatto la denuncia solo a Bari. «Ma abbiamo girato le polizie di frontiera di tutto l'Adriatico Ci dicovano di non sape�re nulla e di non poter fare nu la. Abbiamo telefonato ai telegiornali della Rai e di Mediasol. Ci hanno risiwsto che non era una notizia interessante». Alla tino, Entela ha avuto solo la riconoscenza della verità. Non le rimane che questa compagnia crudele e noi non possia�mo fare altro che registrarla: «Una tragedia ò sempre una tragedia, nessuno può averla voluta volonta�riamente. La colpa magari è un po' di tutti. Ma quando si traila di immigrati si complicano sempre le cose. Eppure siamo esseri umani come gli altri. Venissero a vedere conio passo lo giornate, lavorando dallo 7 di mattina a notte fonda. Vivo con lo mio braccia o lavoro per due persone». E' come se noi giorni dnlla verità agli sconfitti fosse con�cosso d'urlare. Tulio qui. Loro han�no bisogno degli schiavisti per so�gnare. Domani a Valona compreran�no un altro gommone. «Non tutti fra noi soriano l'Italia come un paese per fare soldi. Abbiamo vissu to urta vita ingiusta, lu sogno l'Ita lia per trovare quella giustizia che qui non troverò inai)'. Adrian Agai, da Pier, Albania, morto il 17 aprile 1997, prima dipartire, La cugina di uno degli albanesi morti: «Se le ricerche fossero partite subito, forse si sarebbero potuti salvare alcuni dei 59 clandestini»

Persone citate: Adrian Agai, Amed, Basano, Entela Lumani, Jakupi, Lenja, Miti Jakupi