ARKAN Ipotesi su un'esecuzione di Enzo Bettiza

ARKAN Ipotesi su un'esecuzione Il clan di Milosevic o la mafia dietro l'assassinio del «carnefice dalla faccia d'angelo» ARKAN Ipotesi su un'esecuzione personaggio Enzo Bettiza Ai1 KKAN, nome di battaglia che Zeliko Kaznalovic s era ito all'inizio delle ynerre in Croazia s in Bosnia, non aveva nionie di arcano, di leggendario, di balcanicamente omerico e lellurico. Il soprannome era sialo ricava�lo da un fumetto di gesta rambesche, d'ispirazione americaneggìante, che Zeljko, fanciullo olomo e megalomane, sfogliava fra una panila e l'altra ai tempi in cui capeggiava la tifoseria della Crvena Zvezda, la milica «Slolla Rossa» del mondo calcistico belgradese. Il ragazzo, ossessionalo fin dal�l'infanzia agiata da fantasie d'av�ventura 0 di crudeltà, non era mai inoito in lui. Anelli! le prime iniraprese commerciali che inaugurerà a Belgrado col danaro insanguina�to esimilo dalle razzie e dai sac�cheggi bosniaci, esibiranno nomi da fiaba infantile. Aprirà una mega�pasticceria nel centro della capita�le e, ispirandosi al racconto di Saint-Exupéry, la chiamerà lenoramento «Mali Prine», ovvero Petit Prince. Altrettanto dolco suonerò il nome floreale di «Dalija», perl'appunlodaliaogiorgina, che il peren�ne ragazzo auibbierà a una società apparentemente filantropica, dedi�ta agli aiuti per invalidi di guerra, che presto si rivelerà invischiata con milli! tentacoli in loschi affari mafiosi. Le suo pulsioni infantili iBggiungeranno il culmini! il giorno in cui, nel 1095, si unirà in matrimonio con la bella e popolarissima cantan�te «lurbofolk» Svelami Ceca Velickovic; lui, figlio di un austero soldato comunista, un colonnello montenegrino dell aviazione di Ti�ro, si presenterò alle nozze masche�ralo nell'unifomiG da generale vcterosorbo che Pietro I Knnidjordjevic usava esibire a cavallo o nelle trincee della prima guerra mondiale, Gli esponenti in vista di «tutta Belgrado», politici intimi di Milosevic, il capo dei radicali l'ascistoidi Seseli, il regista di Under�ground Hmir Kusturica, scrittori e giornalisti di fama, uomini d'affa�ri, capi di malia e contrabbandieri facoltosi fingereanno di prendere sul serio il travestimento marziale dell'inventore delle «purificazioni etniche» e condottiero esaltalo dal�le «Tigri». I giornali e le televisioni di regime celebreranno l'evento osaimando al condottiero camuffa�to da re patriarcale. Il luogo comune sulla «banalità del male» non sembra attagliarsi ad Arkan. 11 malo, a cominciare dalla sua faccia d'angolo, definita «baby face» diigli anglosassoni, o «visago poupin» dai francesi, sfug�ge ad ogni schematica semplifica�zione quando si parla di lui. Dal suo volto rotondo, dalla sua picco�la bocca capricciosa, dai suoi occhi allenii e spesso sorridenti, da quosl'insiome somatico che non rien�tra nei parametri antropologici lombrosiani, che evoca al massimo l'ilare ambiguità fisiognomica di un Poter Lorre, non spirava per niente l'aria burocratica o algida o perversa dei grandi delinquenti politici del Novecento. Il suo viso liscio, più imberbe che sbarbalo, era l'esalto contrario dei faccioni irsuti, minacciosi, briganteschi, che ostentavano enfaticamente i classici guerriglieri monarchici del generale Maihajlovic e che si pote�vano vedere ancora, qua e là, solo all'inizio delle guerre di Croazia e di Bosnia. Quello di Arkan era un volto allegro, cattivante, carico di vita e di felicità di vivere, un compagno di giochi e di bagordi generoso e prevaricatore, astuto e sornione. Un maturo capitano di ventura? Un adulto killer professionale? No. Piiiltosto un baby killer, che del�l'omicidio aveva fatto una prodez�za minorile, una fantasia semiarti�stica da play station, una scommes�sa a chi ammazza e si diverte di più. Era perfido e sregolato, ingor�do di riconoscimenti e di patacche, proteso proprio come un bambino vizialo al premio graiificanlo al lusso sfavillante. Perfino le parole d'ordine che imponeva alle sue brutali e fedelissime «Tigri» aveva�no il tocco irridente ed egocentrico del primo della classe di una scuola elementare. «Non avrete altro Dio fuori di mei». «Quando vi parlo io è come se vi parlasse Iddio!«. «Gli albanesi del Kosovo? Semplici turi�sti in transito provvisorio fra i monastèri della Gerusalemme ser�ba!». «I.a Slovenia? Non può essere che sorba poiché vi sono nato io!». Era venuto infatti alla luce, dol tutto casualmente, noi 1952 a Lu�biana, dove il padre militare era sialo trasferito per servizio. Tuttavia Slobodan Milosevic e RadovanKaradzic dovevano accor�gersi quasi subito, al principio delle loro miro espansionistiche, che in quel baldo avventuriero montene�grino, ricercalo dalle polizie di moz�za Europa, covava in potenza il primo della classe delle imminenti operazioni sporche, necessarie per sloggiare col terrore cattolici e isla�mici dalle loro torre. Arruolano il figlio del disperalo colonnello in pensiono, che invano, por tanti anni, aveva cercalo di riportare il rampollo girovago sul sentiero doll'onoslaodellarispollabilila.Airancor giovano bandito intemaziona�le, che ha appena 37 anni, conforiscono mozzi logistici, basi operati�vo, danari, autorità, copertura e credenziali politiche. Il tulio impacchettato in una raffazzonala ideolo�gia pansarbiata nella quale l'ex grassatore e pistolero dell'Udba tildista, che spesso gli commissiona�va uccisioni all'estero di esuli serbi o croati ostili al regime, finge o addirittura si convince di credere. Alla materia pnma, gli uomini che trasformerà in belve efferate, ci pensa lo stesso Arkan: li assolda tra gli ulira delle curvo Sud e li mula in una soldataglia paramilita�re moderna, mercenaria, quale non s'era mai vista nella romanti�ca tradizione guerrigliera balcani�ca dei comitati e delle bande celnicho. Niente barbe e bandoliere incrociate, ma crani rasati e rico�perti da baschi neri, corpi imbottiti in tute nere, volti inguainati in spettrali passamontagna neri. La truce fantasia fumettistica di Arkan non sembra avere più freni. La truppa speciale e spietata, da lui inventala con un tocco di sinistra artisticità, è una sorta di ibrido che ricorda in una volta le SS, gli usuisela croati, i legionari della Decima Mas, i para francesi d'Alge�ria, le leste di cuoio delle gendarmerio europee. Spicca o, meglio, si vede appena in quest'assetto castrense ultramo�derno, che vorrebbe scimmiottare quello dei corpi d'elite occidentali, un piccolo particolare, uno solo, che di colpo ci riporta con l'immagi�nazione e la memoria nel medioe�vo dei genocidi balcanici d'epoca ottomana. Le Tigri portano infilalo nella cintura, fra la pistola e la bomba a mano, uno strano cucchia�io dagli orli affilati come rasoio: primordiale utensile chirurgico per estrarre gli occhi dalle orbile delle vittime. Tale dettaglio mini�mo, quanto terrifico, fa capire che i battaglioni delle tigri non sono stati croati por ordinari scopi e scontri di guerra, ma che in parte sono stati ricalcati sul modello degli Akindjije turchi: soldataglia paramilitare alla quale il pascià, impegnalo nella «ripulitura» di una provincia ribello, affidava il compito di seminare il panico fra la popolazione civile prima di far marciare l'esercito regolare contro il nemico. Era questo il ruolo dei nuovi cercheranno di imitare quelle di Raznalovic, le «Pantere» di Ljubisa Savie, alias Mauser, oppure le -.(Aquile bianche» di Vojislav Soselj, divenuto vice primo ministro del governo serbo e oggi, si dice, pure lui candidalo a una possibile morte violenta. Ma nessuna formazione assassina è riuscita ad eguagliare per rapidità operativa, risolutezza esecutiva, capillarità di saccheggio lo indomile Tigri di Arkan. Condan�nalo segretamente nel 1997 dal Tribunale Intemazionale dell'Aja, per crimini contro l'umanità, oggi l'Arkan morto, che nella memona occidentale resterò soltanto come un delinquente impunito, è nondi�meno celebrato da molti serbi co�me un eroe popolare: un crociato della guerra santa contro gli infede�li, quasi un emulo del mitologico Mako Kraljevic che affrontava i turchi a mani nude come Ercole. Ora sul suo funerale plana l'aria del mistero. Autorevoli giornalisti americani scrivono sul «New York Times» che mandanti dell'assassi�nio non potevano essere che certi responsabili del regime vicini alla famigha Milosevic. Altri alludono a intrighi e vendette di mafia. Belgrado in questi giorni sembra più cupa, più enigmatica, più vio�lenta e più insicura della Mosca affaristica e terroristica che ha accompagnato e forse costretto Eltsin alle dimissioni del 31 dicembre. Certo è che Arkan sapeva troppo. Sapeva tutto sulla realtà e sui retroscena delle «pulizie etniche», sulle improvvise ricchezze costrui�te sui miti del Kosovo e della Grande Serbia, sulle contiguità oblique fra i bassifondi malavitosi e il ceto politico che sta riducendo la Serbia alla fame salvando solo alarne oasi d'ingloriosa onnipoten�za miliardaria. Arkan ha sempre negato di essere un criminale al servizio della politica granserba. Milosevic ha sempre altres�negalo di avere a che fare qualcosa con Arkan e le sue Tigri. Ma quando nel 1995, nei giorni di Dayton, il negoziatore americano Richard Holbrooke pose d'improvviso so�pra il tavolo durante un pranzo col presidente serbo un documento particolareggiato stilalo dalla Cia sui massacri bosniaci Milosevic si rabbuiò e continuò a mangiare. Non volle leggere quel documento d'accusa in cui, sia pure indiretta�mente, compariva il nome di Arkan. Ricorda Holbrooke nel suo libro di memorie TTze end a war: «Io insistetti perché desse almeno un'occhiata al foglio di carta. Ma lui continuò a rifiutare. Si sarebbe detto che non voleva neppure toc�care il foglio, come se temesse di venire fisicamente contagiato dal�le accuse in esso contenute». Prima di Arkan erano spariti non meno misteriosamente altri personaggi coinvolti nelle guerre e nelle fulminee fortune belgradesi. Capi di polizia, uomini d'affari, noti giornalisti, ambigui oppositori, ca�pi di mafia e gestori di contrabban�do. A Belgrado ormai dormono son�ni d'incubo sia coloro che sono stati troppo vicini a Milosevic, sia coloro che gli sono stati troppo contro. La sopravvivenza, per tanti, è divenu�ta puro azzardo. L'ultimo mistero, degno di un grande giallo, è appena arrivato da fonti greche: iWno ucciso nel salone dell'Intercontinental non sarebbe stato Arkan ma un suo sosia. Il vero Arkan si troverebbe al riparo ad Atene, dove le grandi banche e le cosche affari�stiche lo conoscevano e apprezzava�no da lungo tempo. Probabilmente, o certamente, è soltanto una voce romanzesca. Ma basta, anche se non vera, a dirci quanto il clima balcanico sia diven�tato viscido, sfuggente, fantomati�co negli ultimi dodici mesi. Quan�do spuntano dall'ombra i sosia autentici o immaginari che siano, vuol dire che dietro l'angolo è in agguato l'assassino. L'ultimo mistero arriva dalla Grecia Il capo delle «Tigri» non sarebbe morto L'uomo ucciso all'Intercontinental sarebbe un sosia E lui si troverebbe al sicuro ad Atene efice dalla fa all'Intercontinental sarebbe un sosia E lui si troverebbe al sicuro ad Atene Da sinistra, Arkan con un cucciolo di tigre simbolo della sua milizia e II presidente jugoslavo Slobodan Milosevic Il disegno è di Ettore Viola