«Noi, ingegneri dei miracoli rimettiamo i corpi a nuovo» di Pierangelo Sapegno

«Noi, ingegneri dei miracoli rimettiamo i corpi a nuovo» VIAGGIO NELL'OSPEDALE DELL'INTERVENTO RECORD «Noi, ingegneri dei miracoli rimettiamo i corpi a nuovo» reportage Pierangelo Sapegno invialo aUOMI A guardarlo da fuori, con que�sto sue mina spesse, questi colori grigi e pallidi che in�combono sulle nostre paure, sem�bra solo un ospedale come tanti, come co ne sono da noi, nicnl'altro che un luogo di dolore più che di speranza. E' un giorno che c'è foschia, che ci si potrebbe perderò. Uno elitra e chiede del Padiglione V, subito dopo la sbarra, «Ve Gom�mo Victor)), e sorridono subilo, mentre corridoi infiniti si parano davanti, sorridono e vengono fuori dai gabbiottì, puntando ima mano direzione Est, finestre chiuse, gran�di vetraio, alti soffitti, pavimenti che luccicano come in un aeroporto giapponese. Non vediamo infermie�ri. Sologenlechc pulisce por terra e spazzola, che fa scrosciare l'acqua dai secchi posali vicino alle pareli. «Secondo piano», dice una biondi na con il camice e In cuffia sbilenca sulla lesta. Sorride anche lei. Soni dono tutti, i maini i in vestaglia appoggiati alle porto, l'infermiere die li sgrida mentre spinge un carrello. Onesto è l'ospedale dei miracoli. A Lione, città degli ospe�dali (ce ne sono f): danno lavori) a .'tf) mila persone), lo chiamano som plicemenle «bacile, e, hache» che' sono le iniziali di II ' opital Edouard Herriot. Un giorno capire�mo che i miracoli vengono sempre dopo il dolore, o assiemial dolore, e che le cose più belle sono quelle senza dolore. Un giorno. Adesso sorridiamo anello noi, [Ipadiglione Ve il reparto specie le dell'ospedale, quello dove miraco�lano gli uomini e li robotizzano, (inolio dove gli cambiano gli organi, li rimettono insieme, gli ridanno coloree movimenti, e li fanno riveni n; al mondo cosi, lasciando loro gesti un po' sincopati e un po' freddi, inavvertili, al termine di un intervento estenuante, fatto d�inca�stri perfetti, che riannodano nervi, muscoli, tendini, piccoli licci di vile o corpi diversi. Il padiglione V è questo. Un silenzio gentile. Maiali che aspettano un reni!, un pancreas: se sono qui, e perché l'hanno trova�to. Venticinque pazienti, e una lista d'attesa lunghissima, infinita. Per�ché è pieno di gente che vuole un organo nuovo: quelli che mancano sono i donatori. Anche l'ultimo mira�colalo, l'uomo che ha riavuto due mani e due avambracci, ha aspetta�lo quasi 4 anni. Nel padiglione V, i donatori sono come i medici e gli infermieri dell'equipe di Jean Mi�chel Dubernard: gli angeli del fuiuin. Sorridono perfetti. A noi fanno un po' paura. Sonideranno anche i donatori, dal loro letto di morto. Ci hanno spiegalo che non bisogna aver paura dell'orrore. Perche la scienza ci marcia insieme. Jean Pierre Brochet, pigiamo avorio, un occhio sulla porta e l'altro sul taccui�no, dice di aver letto che Clini. Ilallam, il primo uomo al quale rimisero una mano nuova, «può fare solo ampi gesti con il braccio e non riesce a coordinare il cervello con le sue dita. Può fare cosi» dico allargan�do la mano destra e avvicinandola lentamente al taccuino, «ma non può prendere una penna con le dita, non può toccare una donna per farle piacere». A Glint ridonerò una mano nel settembre del '98, in questo ospeda�le, sopra, al padiglione, dice Bro�chet lasciando la soglia vuota. Era l'equipe di Jean Michel Duber�nard, Il primo miracolo. Marwan Dawahra, 44 anni, il chirurgo che espiantò la mano del donatore, responsabile dell'unità .i del padi�glione V, coordinatore dell'Luropean Trapiant Group, ha dello che da allora, da quel giorno, «siamo come coloro che stanno per andare dove nessuno è andato prima». E' la medicina che vola su un pianeta. Dawahra ha ricordalo che «Glint fu solloposlo a un lunghissimo, delica�to processo riabilitativo, e a forti terapie immunodepressive». Passò il tempo con uno psichiatra esperto di «bodythinking», di psicologia del proprio coq», perché doveva ripro grammare il suo cervello sulla corleccia di destra che sovrintende ai movimenti della mano sinistra, giacché quella destra, prima, non c'era pili: adesso, doveva riabituar�si alla mano destra che c'era di nuovo, li' lutto cosi complicalo. (Ili chiesero: non è impossibile per il cervello? Ila sorriso: «Anche andar sulla Luna è slato complicalo». Dice Dawara: «Porse osare è etica�mente discutibile. Ma non lo è scientificamente. Anche il primo chirurgo che effettuò un trapianto di rene fu trattato corno un folle». Ora, in questo ospedale, e in questo padiglione, l'equipe dei medici del tìituro ha lascialo alle spalle la bellezza di 3500 trapianti di rene, e quasi 350 di pancreas. Jean Michel Dubernard, raccon�ta Michèle liielry, aveva comincia�lo nel H)7() con un doppio trapian�to di fegato e di pancreas: fu un successo, e lui ora come un ragazzi�no, non aveva che 33 anni. Da allora non ha fallo che inseguire quest'uomo robotizzato, da rico�struire in una sala di chirurgia, aspettando magari un giorno di inventarlo qui o in qualche altra parte del mondo. Dal 1998, da quella volta che mise insieme la nuova mano di Glint Hallam, ha dato una spinta unica alla Francia, che censisce un milione e 400 mila di casi traumatizzati della mano Ogni anno: 400 dita sono rimpianta�le. Lo fanno anche qui, ma non solo. Qui, spiega il professor Jean Yves Alnot, hanno trovato il modo di evitare il rigetto della mano. Era dal 1962 che ci provavano, il proble ma era sempre lo stesso: il rigetto. Perché ridare una mano a un uo�mo, «in fondo non è cosi difficile», sostiene il professor Mimoun: «Il brutto viene dopo. Come far accet�tare al sistema immunologico un cosi importante conio estraneo?)) Solo Dubernard c'è riuscito con una combinazione di 4 farmaci. Poi cos'è rimasto? Clini è vivo, ha ancora queste mani che gli ha regalato Dubernard. Può aprire una porta. Può tenere un libro in mano. Ma non può sfogliarlo, l�non può abbottonarsi'la camicia, l'uo tenere un bicchiere con le dita solo so lo sorregge con l'altra mano. Ha la sensibilità per accorgerei del fuoco sullo dita. Ma non quella per comandarle. Tulio questo è un grande mira�colo, come dice Dawara. Solo che ci vorrà altro tempo. E forse degli uomini migliori, scelti per la loro tenacia, per la forza di volontà. Nell'ospedale dei miracoli un gior�no faranno anche questo: sarà l'ul�tima occasiono lasciata alla natura. Oliando lo dici al medico di turno, li guarda con scandalo: ((Perché? Noi non stiamo aiutando la natu�ra?» Ce ne andiamo che puliscono ancora i pavimenti. Non c'è nem�meno una sedia fuori posto. L'ordi�ne dev'essere la prima frontiera dei miracoli. «11 brutto viene quando Disegna lar accettare all'organismo le mani di un altro. Ci siamo riusciti grazie a quattro farmaci» Uno dei chirurghi: «Siamo quelli che vanno dove nessuno è mai andato prima. Osare è necessario per la scienza» I sanitari In due momenti dell'Intervento per l'impianto degli avambracci. l'equipe dei dlclotto chirurghi era coordinata da Jean Michel Dubernai d

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