Kafka rischia sempre l'arresto

Kafka rischia sempre l'arresto Kafka rischia sempre l'arresto Grevi, un maestro del diritto avverte: giusto processo non vuol dire necessariamente giusta sentenza NON vi è alcun dubbio che sotto tutte le manifestazio�ni di questo tribunale, nel caso mio dunque sotto l'ar�resto e l'odierna inchiesta si nascon�di; una grande organizzazione. E quale h, signori miei, lo scopo di questa vasta organizzazione? Consi�ste nel far arrestare persone inno�centi e nell'istniire contro di esse una procedura insensata e per lo più, come nel mio caso, infruttuo�sa». Il processo di Kaflca, naturalmènte. Chi, in qualche ora notturna, non ha popolato i propri pensie�ri con scenari dove, sgomento, ha il vissuto la parabola di Josef K. che «senza avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestatp»? E chi, capitando per qualsiasi motivo in qualche palazzo di giusti�zia, non ha avvertilo quasi un senso di straniamente dalle quoti�diane percezioni, di espianto dalle umane rispondenze la dismisura che inevitabilmente vi regna. Tanto per cominciare aule dal soffitto altissimo, capaci di far sentire lilli�puziano (e dunque non solo eccessivamente minuscolo ma, come pro�pone Swift nel suo Gulliver, anche immensamente malvagio) chiun�que vi si addentri. E poi i bunker per i dibattimenti più impegnativi. L�le voci nonostante i più raffinati impianti di amplificazione sembra�no sempre sparire. Cadute in qual�che buco nero, sottratte da qualche forza oscura che sembra divorare smozzicati inlerrogalori, scosse de�posizioni, rotonde arringhe, pugna�ci requisitorie per poi ricucire il tutto in nuovi, infiniti, estenuanti amalgami processuali. Allra cosa: non è mai capitato che qualcuno, addentratosi per la prima volta in uno dei grandi palaz�zi di giustizia delle nostre città, non si sia perso tra corridoi, uffici, scaloni. Lo smarrimento, quello spa�zialo ancor prima che psicologico ed esistenziale, è lo scotto da pagare perentrare dove si celebra la giusti�zia. Fanno eccezione significativa a questa norma i «tradotti»': vale a dire i carcerali portati in dibaltimento e che, incatenati agli angeli custodi in divisa che li conducono davanti ai giudici, non possono deviare dal cammino prefissato. Persino gli itinerari che portano al vertice della Giustizia, a quella poltrona ministeriale cos�ambita e ostica al tempo stesso, non riescono a seguire retti percorsi. Come dimo�stra la recente crisi di governo dove chi come Marcello Pera si era retta�mente preparato, con anni di studio�sa applicazione, a reggere l'incarico di via Arenula si trova felicemente sbalzato al vertice del Senato. Men�tre al dicastero approda chi candi�damente ammette di non aver mai praticato temi giuridici né questio�ni processuali essendosi occupato prevalentemente di trasporti e di strade. Forse è un bene che sia andata così: poiché anche le questioni della giustizia (come la guerra per i gene�rali) sono troppo delicate perché vi si dedichino solo gli addetti ai lavori (anche quando sono pieni di buona volontà come Pera). Troppo cruciah per i cittadini di una comunità perché, diventino esclusivo appan�naggio di giudici (o di imputati) approdati alla pohtica. E tuttavia sarebbe bene che i cittadini, a cominciare da chi si trova per bizzarria del caso a regge�re il dicastero della Giustizia, s'ad�dentrassero in una materia cosi scivolosa e labirintica con qualche bussola d'insieme. Capace di riassu�mere in modo rigoroso e pacato almeno alcune delle grandi questio�ni che sono state all'ordine del giorno in questi ultimi anni. Altri, studiosi del diritto e interni alle discipline specifiche, diranno del volume con cui Vittorio Grevi, uno dei più importanti studiosi di proce�dura penale del nostro paese, ha raccolto i suoi interventi di un quinquennio sul tema del «giusto processo». Tema che a sussulti mediatici e intermittenze pohtiche viene rego�larmente agitato davanti ai cittadi�ni senza che poi si dia seguito a pacati approfondimento, alla mes�sa a fuoco dei punti nodali, dei conflitti e delle contraddizioni in corso. Da qui la sensazione, analoga allo smarrimento lungo le topogra�fie dei palazzi di giustizia, che il cittadino prova a cospetto delle questioni sollevate dal «giusto pro�cesso». E, se non l'esigenza di una bussola (perché per poterne dispor�re di veramente efficaci bisognereb�be che la rotta, su questi temi, fosse univoca e semplificata a dismisu�ra), certamente avverte il bisogno di un portolano. E 0 libro di Grevi lo è. Poiché il succedersi in ordine cronologico dei suoi diversi inter�venti finisce con l'abbracciare tutte le questioni fondamentali del «giu�sto processo» da quelle che spazia�no dalle «garanzie individuali ed esigenze di difesa sociale» alle «ga�ranzie difensive e misure cautelari personah», dalla «presunzione di non colpevolezza e efficienza del processo» alle «dichiarazioni deh' imputato su fatto altrui» offrendo un panorama prezioso. E non solo per gli addetti ai lavori, per i tecnici del diritto. E' un testo che apre finalmente una finestra preziosa per chi, su questa questione delle nuove proce�dure processuah, vorrebbe gettare uno sguardo trasparente e non semplificatorio. Né influenzabile da campagne di stampa, vicende processua i, fasi storico-politiche dove la bonaccia elusiva dello status quo viene rotta improvvisamente dal gonfiarsi di bufere giustiziahste che misteriosamente, quando si placa�no, ritrovano il vascello della giusti�zia in rada, davanti alle solite coste. Di fronte ad un orizzonte che ri�schia di assomighare assai a quello che si era pensato di avere lasciato alle spalle. In realtà con l'introduzione nella nostra Carta costituzionale dei prin�cipi specifici relativi al «giusto pro�cesso» il panorama è cambiato as�sai. E nel contempo si è fatto assai complicato poiché, come scrive Gre�vi nella sua introduzione, «siamo di fronte, dunque, ad un inedito model�lo di "giusto processo" nel quale i nuovi principi costituzionali ispira�ti alla logica accusatoria si sono sovrapposti, senza coordinamento, agli originali principi ispirati alla logica del "garantismo inquisitorio", determinando cos�una situazione di necessaria convivenza degli uni e degli altri nel seno del medesimo sistema processuale penale». Con conseguenze in coerenza e funzionalità, margini di elusione e vanificazione strumentale della stessa funzione del processo che anche i non addetti ai lavori comin�ciano a cogliere. C'è dunque un divario tra il modello costituziona�le del «giusto processo» e la concre�tizzazione legislativa di un «proces�so giusto» sul quale Grevi si sofferma non solo con il rigore dello studioso ma con la passione civile di chi, immerso nel proprio tempo, vorrebbe che tra il dire e il fare non ci fosse di mezzo tanto per cambia�re il mare. Quello del non fare. Dove partendo dal sacrosanto principio del «giusto processo» e procedendo attraverso il bilanciato e complesso sistema procedurale del «processo giusto» anziché alla «giusta sentenza» si approda all'ina�zione. E dunque ad una nuova forma di ingiustizia. Sottile e crude�le come quella che macina tutti gli' Joseph K. del mondo. DA LEGGERE Franz Kafka Il processo Mondadori. Milano 1971 Vittorio Grevi Alla ricerca di un processo penale "giusto" Giuffrè. Milano 2000

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