Dieci anni all'ex capo della mobile
Dieci anni all'ex capo della mobile Dieci anni all'ex capo della mobile Palermo, musato dai pentiti: morbido con i boss Imo Abbate PALERMO I collaboratori di giustizia sostengo�no che Ignazio D'Antone, ex capo della squadra mobile di Palermo ne�gli Anni 80 era «disponibile» nei confronti di alcuni boss mafiosi. Il tribunale di Palermo, ha creduto a queste affermazioni, alle accuse che sono state mosse in aula da altri funzionari di polizia, alla testimo�nianza di familiari vittime di mafia, come la vedova del vice questore Ninni Cassare, ma sembra non aver tenuto conto delle parole di chi ha difeso l'imputato: vedi il capo della polizia Gianni De Gennaro, il suo vice Antonio Manganelli ed il prefet�to Arnaldo La Barbera. I giudici, dopo due giomi di came�ra di consiglio, hanno condannato D'Antone a dieci anni di reclusione per concorso in associazione mafio�sa. Per la corte avrebbe contribuito dal 1982 in poi a ((favorire la mafia» a Palermo, prima da capo della Mobile e poi da dirigente della Criminalpol della Sicilia occidentale. D pm Nino Di Matteo che ha sostenuto l'accusa in aula insieme alla collega Annama�ria Picozzi, ha sottolineato di avere affrontato il processo «con uno spiri�to laico», con l'atteggiamento «del magistrato dice Di Matteo che non vuole sposare tesi precostituite e vuole cercare di approfondire a 360 gradi, anche eventualmente per co�gliere questi dati probatori in ipotesi favorevoli all'imputato». Lo «spirito laico» a cui fa riferi�mento il pm, si riferisce al fatto di capire se D'Antone possa essere stato vittima di complotti, di vendette da parte dei pentiti, di dichiarazioni compiacenti degli stessi collaborato�ri, di testimonianze false, e magari ispirate da rancore personale. Que�sto pericolo, sostiene la procure, è stato scongiurato. Tutte le dichiara�zioni sono state riscontrate. Alla fine l'impianto accusatorio che si è forma�to rappresenta solo un quarto (per numero di pentiti, accuse, testimo�nianze, accertamenti fatti) di quello che è stato il processo ad un altro funzionario di polizia accusato di concorso in associazione mafiosa. Bruno Contrada, condannato in pri�mo grado a dieci anni di reclusione e assolto in appello. Le udienze (oltre 50) del processo a D'Antone erano cominciate nel giugno del '98 ed i testi citati dall'ac�cusa e dalla difesa sono stati 62. I pm avevano chiesto la condanna a 12 anni di reclusione. La difesa, sostenuta dall'avvocato Ninni Rei�na, ha sempre sostenuto l'assoluta estraneità dell'imputato ad ogni accu�sa. Sospeso dal servizio quando ven�ne indagato, D'Antone (mai arresta�to) era stato reintegrato da alcuni mesi. Nei confronti del questore, che rimane libero, visto che il Tribunale non ha ritenuto di emettere alcun provvedimento insieme alla senten�za, né la procura l'aveva chiesto, sono state prodotte dall'accusa an�che le dichiarazione dei pentiti Salva�tore Cucuzza, Francesco Di Carlo e Angelo Siino. Fra tutti gli episodi contestati al funzionario, su due in particolare si sono soffermatiipih. Si tratta in entrambi i casi delle modali�tà degli interventi di polizia che avrebbero consentito la fuga di lati�tanti. II primo episodio si riferisce a un blitz nell'albergo Costa Verde di Cefalù dove era in corso, nell'84, un banchetto per il matrimonio tra il figlio del boss della Kalsa Tommaso Spadaro, Antonino e Anna Scavone. L'allora capo della squadra mobile Ninni Cassare, poi assassinato dalla mafia, aveva organizzato un'irruzio�ne ma alla vigilia dell'operazione D'Antone, a quel tempo dirigente della Criminalpol, lo aveva inviato per servizio a Catania. Per l'intervento degli agenti gli invitati al ricevi�mento protestarono e D'Antone con�sent�la prosecuzione del banchetto. Gli investigatori attesero per due ore fuori dalla sala e questo, secondo l'accusa, consent�a due latitanti di allontanarsi. Tra le persone da arre�stare c'era il boss Tommaso Spadaro, padre dello sposo. In un'altre occasione il questore D'Antone avrebbe consentito la fuga del boss Pietro Vemengo. L'episodio è stato riferito dall'agente Roberto Antiochia, ucciso con Cassare, alla madre Saveria che a sua volta lo ha raccontato in aula ai giudici. Antio�chia e il commissario Beppe Monta�na, pure ucciso dalle cosche, sarebbe�ro andati nel Natale '83 nella chiesa della Magione, certi di trovare Vernengo al battesimo del nipote. In chiesa avrebbero però incontrato D'Antone che gli avrebbe ordinato di allontanarsi. Il nome del questore viene collega�to a un altro blitz che nel 1983 interruppe un summit di mafia nella borgata di Villagrezia. Il pentito Di Carlo ha riferito che D'Antone avreb�be fatto giungere le sue «scuse» agli uomini della cosca di Santa Maria di Gesù. Tramite un giornalista, avreb�be fatto sapere di essere stato «co�stretto a intervenire a causa di una telefonata giunta al centralino e regi�strata». Ignazlo D'Antone è accusato di concorso in associazione mafiosa. Il processo era cominciato nel giugno 1998
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